Alle 14.30 Rossoblù impegnati in Campania contro la Nocerina

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Questo pomeriggio alle 14.30 i rossoblù saranno impegnati sul campo della Nocerina. I campani tornano davanti al pubblico di casa dopo le note vicende che hanno coinvolto la tifoseria molossa e la squadra rossonera in occasione della trasferta di Salerno. Gara vinta dai padroni di casa a tavolino a causa della farsa inscenata dai giocatori della Nocerina rimasti in 6 dopo appena venti minuti di gioco. L’Aquila calcio chiamata a riscattarsi dopo lo scivolone contro il Gubbio sarà seguita in Campania da oltre 100 tifosi.

le probabili formazioni

L’AQUILA Calcio 1927 (4-3-3) Testa; Scrugli, Pomante, Zaffagnini, Dallamano; Gallozzi, Carcione, Del Pinto; Ciciretti, De Sousa, Frediani.
A disposizione:Ursini, Di Maio, Ligorio, Agnello, Ciotola, Triarico, Infantino. All. G. Pagliari

Nocerina: (4-4-2) Russo; Rizza, Sabbione, Kostadinovic, Lepore; Ficarrotta, Palma, Remedi, Cremaschi; Danti, Evacuo.
A disposizione:Esposito, Kamana, Crialese, Vilkaitis, Cristofari, Malcore, Jogan. All. G.Fontana

Preturo la vicenda delle assunzioni: il lavoro ai tempi di Renzi

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Di Tina Massimini e Alfonso De Amicis
ROSS@ L’Aquila

Non c’è dubbio che il capitalismo nella sua forma matura ha assunto la
fisionomia di una religione monoteista. La sua ossessione:fare soldi
e trasformare tutto in merce a qualunque costo.
Il nostro è il tempo in cui i giovani, in preda alla disperazione intrappolati
tra odiosi ricatti, lavoro nero o fortemente sottopagati, si vedono costretti a
sottoporsi a colloqui e a forme concorsuali notoriamente manipolati
pur di accedere ad un lavoro purchessia.
E sempre con la speranza di non scoprire l’inganno o gli inganni.
La vicenda delle assunzioni presso l’aeroporto di Preturo è la
fotografia emblematica di questo schema istituzionale e produttivo.
Infatti alcuni giovani, pur in possesso di professionalità specifiche e assunti
a tempo indeterminato grazie ai contributi regionali finalizzati per
incentivare l’occupazione giovanile, nel giro di poche ore si sono trovati
costretti a trasferirsi in quel di Palermo con uno stipendio di 1000 euro al
mese.
L’alternativa: l’allontanamento dall’agognato lavoro.
Questo si apprende dal giornale online New Town. Troviamo grottesco che la
notizia sia stata relegata nel campo della cronaca, piuttosto che su quella del
lavoro o nello spazio della politica. Forse è il segno dei tempi caratterizzati
da una subalternità verso lo strapotere dell’economicismo e del mercantilismo.
dell’economicismo e del mercantilismo.silenzio del sindacato, ormai ruota di scorta
delle politiche di austerità imposte dall’eurocentrismo a conduzione tedesca.
E’ evidente invece la lungimiranza del filosofo sloveno Slavoj Zizek su
quanto da lui scritto più di dieci anni orsono sul “divorzio tra capitalismo e
democrazia”. Interrogato l’altra sera alla conduttrice di Fahrenheit su
questo presunto divorzio egli ha cosi risposto: “se ieri aveva i segni di
una ipotesi di studio di approfondimento, oggi siamo di fronte ad una strategia
circostanziata, soprattutto europea dove democrazia e sviluppo capitalistico
seguono strade opposte e contrarie”.
Ma la barbarie può e deve essere arrestata per non essere sopraffatti da
nuove forme di schiavismo e di asservimento. Esistono strumenti legislativi e
politici affinché vengano rispettati i minimi contrattuali? Se il sindacato, le
istituzioni amministrative e politiche, se il sindaco e le cosiddette forze
politiche – di maggioranze e minoranze – si mostrano assenti o distanti
esistono forze, centri di difesa giuridica che possono frapporsi allo
strapotere di queste organizzazioni feroci ed inumane?

E’ nata a Pisa la rete “Le Città in Comune”, unite per un’altra idea di città.

debito

Rete “Le Città in Comune”

Disobbedienza al Patto di Stabilità, rigenerazione e valorizzazione sociale del patrimonio immobiliare in disuso, difesa dei beni comuni e dei servizi pubblici. Queste sono le tre melodie composte a Un’altra musica in Comune – l’appuntamento promosso da 11 liste di cittadinanza a cui si sono aggiunte altre esperienze amministrative provenienti da sud a nord.

I tre giorni di assemblee hanno visto la partecipazione attiva di numerose “Città in Comune”, tra cui: perUnaltracittà (Firenze) – Ancona Bene Comune – Appello per L’Aquila – Brescia Solidale e Libertaria per i Beni Comuni – Brindisi Bene Comune – Cambiamo Messina dal basso – Cittadinanza e Partecipazione (Feltre) – Imperia Bene Comune – Una città in comune (Pisa) – Repubblica Romana – Sinistra per Roma – Sinistra per Siena.
La tre giorni è stata piena di dibattiti, tavoli di lavoro e seminari che si sono conclusi con l’elaborazione di tre campagne che sin dai prossimi giorni troveranno concretizzazione dentro e fuori le aule consiliari.

La prima centrata sul dovere dei sindaci di fare fronte all’emergenza sociale e di tutelare la sicurezza idrogeologica del territorio e delle scuole, ponendole su di un piano superiore al mandato di rispettare i vincoli di bilancio imposti dal Patto di stabilità.

La seconda sul federalismo demaniale e sul patrimonio immobiliare pubblico e privato da riutilizzare – a partire dalle caserme in dismissione – per creare lavoro, cultura, nuovo welfare e rispondere all’emergenza abitativa che cresce nelle città.

La terza riguarda la ripubblicizzazione e la trasparenza di gestione dei servizi essenziali – come acqua, trasporti e gestione dei rifiuti – attraverso mobilitazioni, interrogazioni, proposte di delibere e di modifiche degli Statuti comunali, per attuare in ogni città le intenzioni espresse nell’esito referendario del giugno 2011.

Le liste di cittadinanza riunite si sono date il nome di “Le Città in Comune”, per sottolineare una verità semplice oggi negata: le città sono di tutte e tutti coloro che le abitano, servizi essenziali e spazi pubblici sono proprietà collettive da amministrare per il bene delle e dei cittadini e non per quello delle banche e dei costruttori, anche prevedendo azioni di “forzatura” legislativa se necessarie. Autonomia della politica dall’economia di mercato, lotta culturale e politica ai vincoli di bilancio “imposti” alle amministrazioni locali, perché le città siano teatro di un’alternativa alle politiche di austerità e alle larghe intese. Non a caso si è scelto anche di aderire alla campagna contro la povertà promossa da Libera, “Miseria Ladra”.

Da Pisa le città iniziano un cammino per una nuova pratica del “comune”, che muove dal radicamento territoriale e guarda con attenzione e partecipazione a tutte le forme di autogoverno e di buone pratiche che si stanno moltiplicando nella nostra società. L’incontro avrebbe dovuto svolgersi all’Ex Colorificio della città toscana, sgomberato un mese fa, caso esemplare di come un luogo abbandonato possa essere riportato in vita grazie all’attivismo sociale e di quanto sorda possa essere un’amministrazione comunale davanti alle nuove esperienze di uso civico degli spazi abbandonati.

Intervista con Terenzio De Benedictis sul Rugby e dintorni

terenzio

a cura di G.J.


Terenzio De Benedictis è nato all’Aquila il 29 Giugno del 1960 ed è certamente tra i migliori tecnici italiani in circolazione. Vanta un curriculum di altissimo livello in cui figurano la guida della nazionale italiana di rugby under 16 dal 1994 al 1998, la panchina della Polisportiva L’Aquila Rugby 1936 nella stagione 1998/99, la vittoria dello scudetto Under 20 con la giovanile neroverde nella stagione 1996/97 e il tricolore Under 15 alla guida dei giovanissimi cussini nel campionato 1986/87, importanti inoltre le esperienze sulle panchine di Rieti, Teramo,Cesena, Stompers rfc Malta, Sulmona e Tornimparte.

com’è cambiato il rugby italiano negli ultimi trent’anni?

Il cambiamento principale è stato l’ingresso nel 6 nazioni nel 2000, iniziato con tappe di avvicinamento dal 1995 con un torneo parallelo. A livello internazionale la prima considerazione importante avvenne con la partecipazione ad invito nella prima Rugby World Cup del 1987 ovvero i primi mondiali di rugby in assoluto che furono giocati in Nuova Zelanda . Personalmente fui accreditato dalla IRB e mi rimane la soddisfazione di essere stato uno dei pochi italiani a seguirla. Furono 25 giorni memorabili. Un tripudio di amicizie, di conoscenze, di confronti sereni. Quel momento sancì la fine del dilettantismo mascherato e permise di avviare il processo verso la fase professionistica. In Italia prima dell’avvento del 6 nazioni questo era, di fatto, uno sport giocato da pochi ma aperto a tutti. Aveva intrinsecamente una componente “rebelde”, i pochi praticanti erano sportivi leali e nello stesso tempo diversi. Diversi perchè in rapporto agli altri sport il rugby era fatto di regole non scritte e di forme associative di vita partecipata non riscontrabili in altre situazioni. C’era molto rispetto e considerazione per ogni componente: giocatori, arbitri, tecnici e dirigenti. Era facile stabilire momenti di scambi culturali, sportivi con grosse ricadute in ambito sociale. Oggi con le risorse disponibili, derivanti dal grande sviluppo in termini mediatici, si sono create, inevitabilmente, situazioni di conflitto d’interesse, spaccature e divisioni interne al movimento. C’è stato un aumento considerevole del numero di partecipanti e questo ha fatto sì che le accresciute problematiche generino situazioni di malessere. Alcune caratteristiche, sia culturali che sociali, di questo sport talvolta vengono bypassate o ritenute obsolete, in considerazione del fatto che oggi “il più” è mosso dal solo interesse economico. E’ una realtà in cui molti addetti ai lavori hanno preso atto e purtroppo tendono a disaffezionarsi a questa disciplina.

2) quanto e dove deve migliorare la nazionale italiana per vincere il primo 6 nazioni?

E’ difficile azzardare previsioni. Personalmente ritengo che se dovesse accadere sarebbe più per demerito altrui che per qualità raggiunte dal nostro movimento. Nelle altre nazioni del torneo la disciplina del rugby si pratica a livello scolastico ed è diffusa in termini culturali cento volte in più in rapporto al nostro paese. L’organizzazione di alto livello sportivo italiano ha permesso di ridurre notevolmente il gap mediante la naturalizzazione di giocatori stranieri, l’equiparazione, norme ad hoc per gli oriundi e via così di seguito. C’è un progetto federale delle Accademie che come fine ha la formazione di atleti performanti ma è ancora troppo presto per verificare la qualità della produzione. Nel frattempo non è che gli altri stanno a guardare ed ad aspettare che noi diventiamo forti per competere con loro. E’ giusto precisare che se una Federazione investe tutto sull’alto livello, lasciando le briciole al movimento, rischia che la gestione della coperta corta diventi un’arma a doppio taglio perchè se la base comincia a depauperarsi successivamente con quali giocatori si andranno a formare le Accademie?

3) la cultura del rugby può rappresentare un valore di crescita per un bambino/a che si avvicina a questo sport?

Sicuramente a patto che si definisca a monte cosa ci s’intende per cultura del gioco del rugby. Passa ultimamente un concetto molto stereotipato talvolta distante e poco consono alla dimensione della proposta educativa e pedagogica, in termini filosofici della quasi bisecolare disciplina del rugby. Ritengo che i decantati valori siano ultimamente molto snaturati. Il percorso formativo di un bambino non può essere fine a se stesso, occorre comprendere le varie fasi dell’infanzia, della pubertà, dell’adolescenza. La proposta qualitativamente alta presuppone una serie di componenti umane, in termini relazionali, che non possono limitarsi alla sola pratica sportiva. Quest’ aspetto ha fatto di me e di molti altri allenatori di rugby un prototipo di figura che ha avuto la propria miglior performance soprattutto negli aspetti formativi intesi come crescita sociale e culturale prima ancora del mero risultato sportivo.

4) Cosa ti ha dato il rugby in termini di approccio psicologico agli altri e cosa credi di essere riuscito a tramettere tu ai tuoi atleti?

Il mio approccio con il rugby da allenatore è stato per certi aspetti “rivoluzionario”. Grazie alla linea filosofica del “jeu total, jeu de mouvement” portata in Italia da Pierre Villepreux nel 1977. Ho acquisito un modello che mi ha ispirato l’iniziative che ho intrapreso in questi trentacinque anni, oserei dire, di partecipata militanza. Ho cercato di trasmettere un’ idea affascinante fatta di sfide impossibili non solo sportive. Negli anni 50 e 60, il rugby in Italia e a L’Aquila maggiormente, era uno sport di ricchi aperto all’elitè dei buoni salotti culturali. Negli anni 70 molti ragazzi dei ceti meno abbienti si avvicinarono a questo sport e diversi divennero atleti di grande valore, mancava però lo sbocco per tutti gli altri. All’epoca le juniores ed i ragazzi venivano curati dalla Pol. L’Aquila rugby e noi che giocavamo nel Cus eravamo diversamente protagonisti. Avevo 19 anni quando mi fu data la possibilità di iniziare l’avventura. Raccolsi l’invito ed immediatamente la prima sfida era aggregare i ragazzi su altri temi ovvero dare a tutti una chance. A tutti significa ancor oggi andare a fare proselitismo nelle aree di difficoltà sociale e nei quartieri popolari. In breve tempo il numero dei partecipanti crebbe a dismisura. A dir la verità il primo gruppo di ragazzi apparteneva ad un ceto medio benestante. Fortunatamente non mi ci volle molto per stabilire delle regole di partecipazione in cui erano assenti privilegi, favoritismi e compiacenze. In meno di 4 anni divenimmo la prima forza nel centro sud. Decine di tornei vinti in tutta Italia, due coppe Italia U.15 città di Rovigo nel 1984 e 1985, uno scudetto Under 15 nel 1987. Grandi risultati sportivi ma una partecipazione valorizzata di tanti ragazzi che provenivano da tutti gli strati sociali. Realizzammo diverse iniziative con molte tourneè e scambi culturali all’estero. Soprattutto per lunghi 15 anni si è divenuti egualmente protagonisti non solo alla pari ma spesso sopra il livello delle altre squadre cittadine. Cosa ho trasmesso ai miei atleti? Intanto la definizione miei non mi piace ed è impropria. Come in tutte le cose della vita e della società contemporanea non tutti comprendono il valore della proposta. I modelli culturali propinati negli ultimi vent’anni sono in netta contrapposizione a quanto ho proposto e confido ancora di fare, appena ne avrò possibilità.

5) terzo tempo, rispetto dell’avversario e valori etici sono stereotipi o valori sostanziali di questo sport?

Il terzo tempo di cui tutti parlano è un’altra cosa rispetto al concetto culturale dello stesso. Storicamente il “terzo tempo” rappresentava, per gli anglosassoni e relativi domini dell’emisfero australe, il modo e la maniera per scambiare opinioni, doni, ringraziare il paese ospitato ed organizzare la tournèè successiva. La cosa avveniva per sincerare un’amicizia e la possibilità reale di continuare a praticare uno sport in termini differenti dagli altri. Divenne un protocollo ufficiale nell’organizzazione dei tornei sia del 4, poi con l’ingresso della Francia del 5 nazioni. La cosa più importante era lo scambio d’informazione e l’attivazione di processi comunicativi che mantenessero integro il concetto ed il valore formativo della proposta rugby. Non a caso il rugby divenne materia importante in ambito di College e Università nei paesi del Commonwealt. Oggi il terzo tempo è confuso con una bevuta ed una mangiata comune dove tutto il resto è noia. Stessa cosa sui decantati valori, rimasti inalterati a prescindere, occore un’attenta riflessione. Oggi sia un professionista sia un non professional player o semplicemente un giocatore del “social pub level”, difficilmente, compie gesti violenti o si lascia andare a scorrettezze. Ci sono telecamere e videofonini in tutte le partite. Questo è un buon deterrente per coloro che valicano il limite dell’aggressività che è una componente fondamentale di questo sport ma che non può trascendere in gesti sleali o scorretti. Questo rimane un principio universale che ha connotato, connota e connoterà questo sport in termini differenti sempre ed ovunque. L’altro principio etico che ha contraddistinto questo sport è il concetto del sostegno. Un principio diverso perché si materializza concretamente: senza sostegno perdi palla, possesso e territorio. Tradotto nella vita di tutti i giorni, in cui si riceve tanta solidarietà ma poco aiuto concreto, questo principio assume ancor più valore perché fa la differenza. Oltremodo s’intende un aiuto prima ancora che la situazione diventi compromessa. E’ un grande valore che in termini relazionali, fuori dal campo, non sempre trova la reale applicazione pur nello stesso ambito.

6) L’Aquila Rugby, Gran Sasso Rugby e tante altre società gravitano nel mondo della palla ovale aquilana ma i risultati ai massimi livelli mancano. Perché? questione solo economica o movimento in crisi?

Per i risultati di massimo livello ci vogliono ingenti risorse. Questo non toglie che una gestione non eccellente della cura e valorizzazione delle risorse umane presenti nel territorio abbia fatto sì che bisogna acquistare molto di più di quanto si produce: purtroppo da diversi anni. Il movimento non è in crisi, i numeri dicono il contrario. La contraddizione è che ci sono più squadre seniores (9 in provincia) che Under 12 (quattro con numeri esigui). La crisi prima ancor che tecnica è dirigenziale. Molti quadri dirigenti sono fermi, immobili, impauriti di dover lasciar la poltrona, sono padroncini di orticelli improduttivi legati a logiche di clan dove il bene comune viene dopo l’interesse personale. Stessa cosa in ambito federale regionale dove regna incompetenza, ignoranza e logica del favore. Purtroppo 20 anni di Silvio e affini meno L, si ripercuotono, culturalmente, nei modi e nelle logiche del potere di basso profilo. Ci sono poi i “mammasantissima” che solo il sottoscritto e pochi altri mettono in discussione, a cui tutto è dovuto e, cosa grave, tutto è concesso. Questo compromette la possibilità di favorire l’opportunità d’inserimento di forze nuove con idee diverse. La mancanza di una democrazia interna è un problema di tutto lo sport italiano: la dice lunga ancora l’istituzione CONI , unico organismo a che non trova riscontri normativi a legittimarne l’esistenza a nessun livello al mondo.

7) qual’è la situazione degli impianti sportivi all’Aquila e nel suo territorio?

Incredibile ma vero meglio del pre terremoto, fermo restando che purtroppo la politica favorisce un uso per i soli amici, per pochi eletti e, come al solito, con concessioni e convenzioni favorite da intrecci politici che tutto salvaguardano tranne il bene comune. Devo registrare una sconfitta per tutti coloro che dopo il terremoto pensavano che ci si potesse riappropriare di spazi che le Amministrazioni Comunali avevano dato agli amici degli amici e poter ottimizzare una serie di proposte sportive e sociali alternative. Invece peggio di prima. Lo sport per tutti non esiste, costi elevati d’accesso, limitazioni al nuovo associazionismo, solite regalie a chi gestisce le scartoffie del PRG, poca sensibilità all’ iniziative di carattere sociale. Solo business con compiacenza dell’area nobile della sinistra. C’è chi lo sport solidale lo predica e chi lo realizza. Da un paio di mesi un gruppo di ragazzi stranieri che vivono nelle “case famiglia” è stato coinvolto dal Elio ” maracatù” Tazzi nella Under 16 del Cus L’Aquila: tutti i ragazzi oggi giocano senza costi per loro per questa nuova squadra. Ma eventuali premi, contributi e riconoscimenti vari, a fine anno andranno solo a chi raggiunge il mero risultato sportivo. Non è questo il modello sociale e culturale valido che mi proponevo di trasmettere agli inizi della mia attività. Se poi vado a guardare i giocatori aquilani che negli 15 anni hanno vestito la maglia azzurra, per la gran parte, sono figli di primari e professionisti importanti, mi convinco sempre di più che questo sport sia diventato uno sport per soli ricchi ed il conflitto interiore mi aumenta in termini esponenziali perché non trovo risposta al fatto che decine di ragazzi di ceti meno abbienti non hanno trovato la giusta affermazione.

8) il giocatore più forte che hai allenato?

Roberto D’Antonio in primis.. pur avendo avuto la fortuna di avere nelle squadre giovanili dell’Italia Under 16, che ho allenato dal 1994 al 1998, i giocatori più noti al grande pubblico. Ho fatto un solo nome perché è stato il giocatore che aveva l’estro, la fantasia, il gesto e l’intelligenza di gioco che garantiva a me di poter inventare nuove proposte di gioco, nuove soluzioni in attacco ed in difesa, di battere strategicamente avversari molto più forti di noi. E’ ancora un grande aggregatore di rugby. Competenze innate e creatività totale: un rugby fuori dagli stereotipi e dalle strutturazioni di gioco, prima ancor mentali che tecnico-tattiche. Quel qualcosa in più che se avesse avuto una contaminazione a livello locale e nazionale avrebbe garantito il piacere, lo spettacolo, il gusto di fare del movimento l’espressione più grande in senso universale della poesia di questo sport.

9) ti manca la panchina?

Assolutamente no. E’ il momento di passare il testimone e di dedicarmi ad altre cose. Quando ero all’apice della considerazione nazionale mi ero ripromesso che a 50 anni mi sarei impegnato a formare e trasmettere ad altri quanto più potessi a partire dal mio vissuto. Il terremoto mi ha riportato con i piedi per terra. Ho accettato di collaborare in progetto di rugby a Malta nel 2011 con il club Kavallieri proprio perché sapevo che alcune chance non passano tutti i giorni. Fare il Director of rugby in un team che vedeva oltre ai locali tre inglesi, quattro gallesi, due scozzesi, un brasiliano, tre Kenyani, un italiano ed uno spagnolo è stato un suggello a tanti anni di attività in cui ho avuto la fortuna di partecipare nei vari campionati nazionali di A e B. Personalmente mi ha permesso di uscire dalla penombra visto che dal 2006 mi ero dedicato a promuovere il rugby in quel di Tornimparte. Eppure non era nata male nemmeno quell’impresa, peccato che amministrazioni comunali inconcludenti hanno impedito ed impediscono lo sviluppo delle iniziative sportive. Il campo e la struttura annessa sono inutilizzati e chiusi da cinque anni. E pensare che al secondo anno avevo portato un paesello a giocare contro 8 capuologhi di Provincia di cui due di regione (Ascoli, Fermo, Ancona, Perugia, Pescara, Teramo, Chieti, Macerata) e squadre di località di grande risonanza turistica come Gubbio, Recanati, Falconara oltre alle sfide locali con Gran Sasso, Paganica, Avezzano mi mette ancora rabbia. Quando si dice la lungimiranza della politica.

PAROLE, PAROLE, PAROLE…

Ieri pomeriggio le televisioni scoppiavano. Fiumi di parole inondavano
le case degli italiani. Il padrone dell’elettrodomestico più amato da
isolani e insulari certificava la sua uscita parlamentare. Una vecchia
canzone recitata in tandem da Mina e Alberto Lupo ben si addice al
mantra giornalistico di queste ore soprattutto quello catodico:
“Parole, parole, parole, soltanto parole….Caramelle non ne vogliamo
più…” E’ mancato solo il plastico e la scrivania da Vespa ed avremmo
avuto lo spettacolo di cui ci ammoniva Guy Debord. Tuttavia nonostante
il profluvio nessuno che tentava una analisi plausibile di un
ventennio pieno di consensi, di adorazione. L’altro ventennio finì
diversamente, dove parte della popolazione prese coscienza e insieme
agli alleati liberò l’Italia dall’ignominia del fascismo e della
guerra. Un secondo Risorgimento. Oggi siamo lontanissimi da quella
stagione. La fine di papi probabilmente ci consegnerà un personaggio
simil-arcoriano, con la sola differenza che invece di parlare
brianzolo, la cadenza sarà toscana. Glottologia. Un paese alla deriva,
povero Dante. Senza più una grande industria, auto, chimica,
telecomunicazioni, siderurgia, informatica, evaporate in nome di una
modernità senza senso. Che rimane di tanta attività? Vuoti a perdere.
Il nuovo che avanza al vecchio telefona. Pensando alla poesia di
Trilussa “Il Telefono” sul più bello chiami la Merkel e ti risponde il
duo Letta-Renzi. La modernità ragazzi!

Alfonso de Amicis

 

NAPOLI. VERSO UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO IL BIOCIDIO

“Tra la vita e la morte, non c’è mediazione!”.

È questa la condizione in cui si trova buona parte della popolazione campana, stretta tra i rifiuti interrati dalla camorra e – come dire – “approvati” dallo Stato e una crisi della sanità locale di proporzioni bibliche. Nel presentare alla stampa l’assemblea di sabato 30, in Galleria Principe, i rappresentanti dei Comitati, oltre che di Usb, Medicina Democratica e Ross@ non usano mezzi termini. Hanno alle spalle lo straordinario successo della manifestazione del 16 novembre – 100.000 persone in piazza, a Napoli, non si vedevano da decenni – e il silenzio dei “poteri criminogeni” al comando: partiti politici, media, Coldiretti, oltre che dei fiancheggiatori della camorra. Egidio Giordano (Stop Biocidio), Gaetano Morati (Usb), Michele Franco (Rete dei Comunisti), Francesco Piccioni (Ross@) toccano i vari aspetti della tremenda vicenda della “Terra dei fuochi”, principalmente nell’agro tra Napoli e Caserta, dove la camorra ha cominciato a sotterrare rifiuti tossici provenienti da imprese italiane (soprattutto settentrionali), europee e persino di Stato (centinaia di fusti contenenti polveri tossiche recavano ancora il marchio “Sip”, nome che ha preceduto quello più moderno: Telecom). Manca solo il medico Paolo Fierro, assente giustificatissimo perché chiuso in sala operatoria a fare il suo lavoro. C’è la dimensione storica locale, ovviamente, con i casalesi per anni intenti ad avvelenare la terra dove vivevano anche loro, le loro
famiglie, cittadini ignari e altri intimiditi con le armi. Ci sono le confessioni del pentito Carmine Schiavone, addirittura nel 1997, su cui lo Stato ha per 16 anni taciuto, evitando di avviare una mappatura del territorio inquinato in base al principio omicida “ci costerebbe troppo” bonificare. C’è il ruolo delle lobby agricole, timorose di perdere quote di produzione mortifera, che “minimizzano” la portata del disastro ambientale. C’è il ruolo storico della Chiesa, con preti di paese in strada con i parrocchiani, quasi in “libera uscita” col benestare del cardinale Sepe; ma pronta a rientrare nei ranghi della “normalità” una volta spentesi le telecamere.
C’è dunque immediatamente una dimensione nazionale, politica, che investe i governi degli ultimi venti anni, che hanno tutti indistintamente fatto finta di non sapere cosa stava avvenendo in un territorio dove la popolazione – anno dopo anno ha preso ad ammalarsi di tumore (di ogni tipo di tumore) in proporzioni assolutamente superiori alla media del paese. Non è prò solo un problema del passato, ma anche del presente; tra minimizzazione dei danni, volontà di non fare nemmeno una mappatura attendibile degli “interramenti” e tanto meno una bonifica. Per negare la quale si invocano i “vincoli di bilancio”, pronti però – ove si trovassero un po’ di fondi – a far intervenire magari quelle stesse “imprese” che hanno smaltito lì i propri rifiuti tossici, o finanche la malavita organizzata (specializzata da decenni nel “movimento terra”). E c’è la dimensione europea. Non solo perché buona parte dei veleni provengono da “rispettabili” multinazionali tedesche, olandesi o francesi, ma per le politiche economiche folli che va promuovendo: “vincoli di bilancio” imposti ai singoli Stati, ma anche “direttive” tese a promuovere le solite “riforme strutturali”: privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica. Ma proprio la vicenda “Terra dei fuochi” è  l’esempio fulgido del carattere criminale di queste “indicazioni”. Qui la camorra ha effettivamente “privatizzato” il business dello smaltimento rifiuti, “socializzandone” le perdite a tutta la popolazione. Su questo crimine arriva poi lo Stato “europeizzato”, che taglia i fondi alla sanità e impedisce dunque di affrontare le conseguenze dell’avvelenamento sia sul piano della prevenzione che su quello delle terapie. “Nel dramma campano – spiega Morati – la gente scopre che la sanità locale non è più in grado di far fronte a questi problemi; e nel frattempo la politica’ locale va avanti con l’inaugurazione di altri reparti intramoenia a pagamento e mettendo ‘tetti’ agli interventi permessi ai medici di base”. È qui che il dilemma “vita o morte” si mostra in tutta la sua concretezza e quindi impedisce anche solo di pensare a “mediazioni”; non si può certo accettare di morire in silenzio per “non disturbare il manovratore”. Chiunque esso sia. Per questo l’assemblea di sabato diventa importante. Per far fare al movimento quel “salto di qualità” capace di imporlo come una “vertenza nazionale”, non semplicemente “locale”. Come è avvenuto con la Val Susa, nonostante criminalizzazioni complici e media servili.

L’AQUILA CALCIO: LA CITTA’ HA BISOGNO DI UN SOGNO

Chi avrebbe immaginato, solo otto mesi fa, che nel giro di una ventina di partite avremmo ottenuto una storica promozione sul campo del Fattori e che, dopo quasi mezzo campionato di Lega Pro 1, saremmo stati soli in testa alla classifica e con la B nel mirino. Il 9 Aprile 2013, giorno in cui Giovanni Pagliari assumeva l’incarico di guidare i rossoblù, in pochi credevano possibile che con quella squadra completamente svuotata di energie fisiche e psicologiche e con una piazza che si preparava a vivere l’ennesimo finale di stagione amaro questo allenatore schietto, umile e determinato sarebbe riuscito a creare l’alchimia vincente con tutte le componenti dell’ambiente calcistico e della città. A ripensarci l’impresa sa veramente di miracolo sportivo. Mister Pagliari subentrava al pur bravo Maurizio Ianni che guidava una squadra ormai in caduta libera in classifica e che forse, già due anni prima nel drammatico finale di Prato, aveva esaurito la sua parabola in rossoblù. L’allora neo-tecnico presentò la sua eloquenza tra lo scetticismo generale dopo la prima vittoria sul campo campano dell’Aversa Normanna, ultima in classifica e già retrocessa, dicendo: “Abbiamo scalato L’Everest” per sottolineare quanto fosse bloccata la squadra a livello mentale e quanto difficile sarebbe stato il suo lavoro. Pochi osavano sperare che dopo quella prima impresa per il popolo rossoblù si potesse aprire il ciclo di gioie e soddisfazioni culminato nella promozione in C1 e nel grande avvio di quest’anno. L’allenatore di Tolentino insomma si è dimostrato da subito l’uomo giusto al posto giusto. In questi pochi mesi di lavoro con il suo modo di vivere e comunicare ha saputo trasmettere valori anche extra-calcistici alla piazza, infondendo nei suoi interlocutori, calciatori, tifosi, società e ambiente una fiducia nei propri mezzi e nel futuro di cui, in questa città in crisi e ancora ferita nel corpo e nell’anima, c’è terribilmente bisogno. Nell’Aquila di oggi, nervosa e arrabbiata, la serenità che il Mister sa dare alla squadra e a chiunque si avvicini alle vicende della Valorosa contrasta con i toni, spesso aspri e violenti, ai quali siamo abituati da anni di divisioni e interessi contrastanti. In sostanza in pochi mesi Pagliari è riuscito in un capolavoro non solo professionale. Risultato che però è maturato sui campi di calcio e, bisogna dirlo, non sarebbe mai arrivato senza l’aiuto dei suoi ragazzi a partire da Testa che con le sue parate vale almeno 10 punti a stagione, passando per le prestazioni di Capitan Pomante, di Carcione e di Saveriano Infantino che con la sua indimenticabile linguaccia al Teramo nella finale play off resterà nella storia del club. In questa stagione i gol di De Sousa, dell’aquilanissimo Lorenzo “il Magnifico” Del Pinto, l’infaticabile corsa unita alla classe di Ciccio Corapi insieme ai valori di un grande gruppo proseguono nell’impresa di fare più grande il calcio nel capoluogo d’Abruzzo . Poi qualche parola va spesa per la società, per Elio Gizzi che in anni difficili da solo ha tirato avanti la barca garantendo il calcio professionistico, per Corrado Chiodi che ha portato solidità, entusiasmo e organizzazione, per Ercole Di Nicola che al netto di contestazioni subite, più o meno condivisibili, ha sempre costruito squadre in grado di lottare per il vertice. Uno staff di soci capitanato dal vice presidente Massimo Mancini e collaboratori di grande livello chiudono il cerchio di una compagine sociale che così nell’Aquila Calcio 1927 forse non c’era mai stata. Infine i tifosi, noi, stupendi, presenti su tutti i campi e non da ora. Il gruppo storico dei Red Blue Eagles, in 35 anni di attività, ha seguito la Valorosa ovunque: in Sicilia, in Sardegna, dai campi polverosi dell’eccellenza agli stadi più prestigiosi della serie C come la Favorita di Palermo, il Partenio di Avellino, il Cibali di Catania e tanti altri. Sempre al seguito della maglia (a parte la parentesi di due anni di contestazione alla tessera del tifoso). Dai 5000 di Avellino all’unico in trasferta a Gela lo striscione Rbe1978 ha sempre accompagnato le sorti di questi colori nelle vittorie e nelle sconfitte. Lodevoli inoltre le tante iniziative benefiche che la curva aquilana porta avanti senza farsi con esse pubblicità, ma che rappresentano il modo sincero e appassionato degli Ultras rossoblù di vivere il calcio e la società moderna. Oggi questa nostra città piena di problemi, che vanno addirittura oltre una già di per sè durissima crisi economica, si scopre protagonista in un campionato di calcio importante grazie a un gruppo di ragazzi giovani, molti dei quali di grande prospettiva come i baby terribili scuola Roma Frediani e Ciciretti, guidati da un uomo sereno, competente e  soprattutto capace di unire la nostra collettività lacerata, divisa e litigiosa nell’inseguimento di quello che per ora è solo un sogno sportivo.
Restiamo con i piedi per terra ma godiamocelo questo sogno, ne abbiamo bisogno!

Goffredo Juchich

SUI RIMBORSI IRPEF AI LAVORATORI DIPENDENTI TERREMOTATI

Ecco un esempio di come la macchina burocratico – amministrativa è diventata  un pachiderma che si auto riproduce e autoalimenta a tal punto che ormai temiamo non riuscirà più a dimagrire anche a causa di una classe dirigente  troppo spesso inadeguata se non addirittura inetta, come pure di un mondo impiegatizio – certamente avvilito, mortificato e vilipeso – ma anche pesantemente appiattito ad un quieto, stanco e apatico lavorare e che non è mai riuscito a condizionare ne’ a  modificare la perversa macchina di cui è parte.
Questa breve premessa solo per raccontare la degenerazione e la vessazione che la burocrazia, attraverso i suoi dirigenti e impiegati, è capace di produrre –  forse con l’obbiettivo di scoraggiare? – in occasione di un banale rimborso IRPEF relativo al mese di aprile e maggio 2009 limitatamente ai lavoratori dipendenti residenti nel cratere terremotato.
Lunghi tempi di attesa all’Ufficio delle Entrate per presentare il previsto modulo –  forse il pachiderma burocratico ritiene che qualche lavoratore potrebbe non volere qualche decina di euro in più?  Eppure paradossalmente occorre fare richiesta   anche per l’ovvio.
Dopo le tante pretese riforme della Pubblica Amministrazione e dopo le tante pompose promesse di semplificazione e trasparenza,  sarebbe stato ragionevolmente ovvio e banale che quei lavoratori dipendenti  avessero ottenuto automaticamente il beneficio direttamente in busta paga piuttosto che produrre ripetutamente una documentazione complicata da ritrovare.
Quanti dipendenti, nello sconquasso del post-terremoto, hanno ritrovato e conservato  i cedolini del 2009? Da precisare: nel 2009 non c’erano ancora i cedolini on-line.
Passivamente tutte le lavoratrici e lavoratori dipendenti, con supina rassegnazione, continuano a  piegarsi ad ogni richiesta della Pubblica Amministrazione  di cui spesso fanno parte.
Sarebbe stato sufficiente che l’Ufficio delle Entrate si fosse messo in contatto con l’Ufficio del Tesoro per conoscere tutti i dati,  cedolini e CUD, necessari per la contabilizzazione del rimborso!
Nemmeno il sindacato, ed in particolare la CGIL di cui siamo iscritti, è stato capace d’intervenire in modo tale da  semplificare le procedure di una normale restituzione di tasse non dovute. E questo è tanto più grave perché, mentre da un lato ha perso ogni potere contrattuale dall’altro, in nome di una ipotetica crescita, grida per ottenere la riduzione delle tasse sul  lavoro piuttosto che pretendere gli aumenti salariali dei lavoratori.
Inoltre vale la pena rilevare come la vita degli abitanti del cratere sia diventata difficile, irrazionale, dissociata e schizofrenica per cui una Pubblica Amministrazione razionale ed efficiente sarebbe un gran sollievo per ogni cittadino di questo territorio.
L’Aquila, 20.11.2013
                                                          Alfonso De Amicis e Tina Massimini
                                                             (iscritti della CGIL – FP di L’Aquila)

EMERGENZA CLIMA

Il quinto rapporto del GIEC (Esperti Internazionali sull’Evoluzione del Clima) lancia di nuovo l’allarme sulle condizioni del nostro pianeta. Gli scienziati prefigurano consistenti aumenti delle temperature e del livello dei mari nei prossimi decenni.
Purtroppo gli unici a dar loro considerazione sono coloro che fanno profitti sui disastri ambientali. Gli autori del rapporto sono convinti che il riscaldamento è dovuto principalmente alla “attività umana”. “I fattori naturali giustificano un aumento di temperatura di 0,1 °C del periodo preindustriale. Poca cosa rispetto all’aumento osservato che è di 0,85 °C”.
Insomma nei prossimi decenni l’aumento dovrebbe essere di 4 °C e gli Oceani dovrebbero alzarsi da più uno a tre metri. La minaccia contro le zone costiere dove vive la maggior parte dell’umanità è fonte di forte inquietudine. Così come forte inquietudine destano gli impatti dovuti alle modificazioni del clima: più desertificazioni nelle regioni aride, più precipitazioni nelle regioni umide, accentuazione dei fenomeni metereologici estremi, acidificazione degli oceani, indebolimento delle correnti marine. Il pianeta affonda ma nessuno sembra preoccuparsene. Tuttavia, sono convinto che solo la  presa di coscienza della parte più responsabile e attiva del mondo del lavoro può mettere fine a questa corsa verso la catastrofe. Bisogna abbandonare la stupida rivendicazione economicistica dei sindacati ormai subalterni alla logica del profitto che prevede la “riformistica ripartizione dei frutti della crescita” e invece, va favorita e attivata una contestazione dell’attuale modello di accumulazione capitalistico che ormai sta esaurendo qualsiasi fonte di ricchezza naturale. Dall’acqua al petrolio. Così come vanno respinte al mittente le cosiddette quote verdi di carattere europeo che non sono altro che sfruttamento di risorse comunitarie volte al solo scopo di mettere su impianti falsamente innovativi, cavalli di “Troia” per trasformare quest’ultimi in bruciatori di rifiuti.
La strada per una riconversione economica passa per una strategia eco-socialista che elimini anche l’alienazione produttivistica-consumistica e quindi soddisfare i bisogni democraticamente discussi  e determinati.
Tempera (AQ), 17 ottobre 2013

Alfonso De Amicis