NAPOLI. VERSO UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE CONTRO IL BIOCIDIO

“Tra la vita e la morte, non c’è mediazione!”.

È questa la condizione in cui si trova buona parte della popolazione campana, stretta tra i rifiuti interrati dalla camorra e – come dire – “approvati” dallo Stato e una crisi della sanità locale di proporzioni bibliche. Nel presentare alla stampa l’assemblea di sabato 30, in Galleria Principe, i rappresentanti dei Comitati, oltre che di Usb, Medicina Democratica e Ross@ non usano mezzi termini. Hanno alle spalle lo straordinario successo della manifestazione del 16 novembre – 100.000 persone in piazza, a Napoli, non si vedevano da decenni – e il silenzio dei “poteri criminogeni” al comando: partiti politici, media, Coldiretti, oltre che dei fiancheggiatori della camorra. Egidio Giordano (Stop Biocidio), Gaetano Morati (Usb), Michele Franco (Rete dei Comunisti), Francesco Piccioni (Ross@) toccano i vari aspetti della tremenda vicenda della “Terra dei fuochi”, principalmente nell’agro tra Napoli e Caserta, dove la camorra ha cominciato a sotterrare rifiuti tossici provenienti da imprese italiane (soprattutto settentrionali), europee e persino di Stato (centinaia di fusti contenenti polveri tossiche recavano ancora il marchio “Sip”, nome che ha preceduto quello più moderno: Telecom). Manca solo il medico Paolo Fierro, assente giustificatissimo perché chiuso in sala operatoria a fare il suo lavoro. C’è la dimensione storica locale, ovviamente, con i casalesi per anni intenti ad avvelenare la terra dove vivevano anche loro, le loro
famiglie, cittadini ignari e altri intimiditi con le armi. Ci sono le confessioni del pentito Carmine Schiavone, addirittura nel 1997, su cui lo Stato ha per 16 anni taciuto, evitando di avviare una mappatura del territorio inquinato in base al principio omicida “ci costerebbe troppo” bonificare. C’è il ruolo delle lobby agricole, timorose di perdere quote di produzione mortifera, che “minimizzano” la portata del disastro ambientale. C’è il ruolo storico della Chiesa, con preti di paese in strada con i parrocchiani, quasi in “libera uscita” col benestare del cardinale Sepe; ma pronta a rientrare nei ranghi della “normalità” una volta spentesi le telecamere.
C’è dunque immediatamente una dimensione nazionale, politica, che investe i governi degli ultimi venti anni, che hanno tutti indistintamente fatto finta di non sapere cosa stava avvenendo in un territorio dove la popolazione – anno dopo anno ha preso ad ammalarsi di tumore (di ogni tipo di tumore) in proporzioni assolutamente superiori alla media del paese. Non è prò solo un problema del passato, ma anche del presente; tra minimizzazione dei danni, volontà di non fare nemmeno una mappatura attendibile degli “interramenti” e tanto meno una bonifica. Per negare la quale si invocano i “vincoli di bilancio”, pronti però – ove si trovassero un po’ di fondi – a far intervenire magari quelle stesse “imprese” che hanno smaltito lì i propri rifiuti tossici, o finanche la malavita organizzata (specializzata da decenni nel “movimento terra”). E c’è la dimensione europea. Non solo perché buona parte dei veleni provengono da “rispettabili” multinazionali tedesche, olandesi o francesi, ma per le politiche economiche folli che va promuovendo: “vincoli di bilancio” imposti ai singoli Stati, ma anche “direttive” tese a promuovere le solite “riforme strutturali”: privatizzazioni e tagli alla spesa pubblica. Ma proprio la vicenda “Terra dei fuochi” è  l’esempio fulgido del carattere criminale di queste “indicazioni”. Qui la camorra ha effettivamente “privatizzato” il business dello smaltimento rifiuti, “socializzandone” le perdite a tutta la popolazione. Su questo crimine arriva poi lo Stato “europeizzato”, che taglia i fondi alla sanità e impedisce dunque di affrontare le conseguenze dell’avvelenamento sia sul piano della prevenzione che su quello delle terapie. “Nel dramma campano – spiega Morati – la gente scopre che la sanità locale non è più in grado di far fronte a questi problemi; e nel frattempo la politica’ locale va avanti con l’inaugurazione di altri reparti intramoenia a pagamento e mettendo ‘tetti’ agli interventi permessi ai medici di base”. È qui che il dilemma “vita o morte” si mostra in tutta la sua concretezza e quindi impedisce anche solo di pensare a “mediazioni”; non si può certo accettare di morire in silenzio per “non disturbare il manovratore”. Chiunque esso sia. Per questo l’assemblea di sabato diventa importante. Per far fare al movimento quel “salto di qualità” capace di imporlo come una “vertenza nazionale”, non semplicemente “locale”. Come è avvenuto con la Val Susa, nonostante criminalizzazioni complici e media servili.