PAROLE, PAROLE, PAROLE…

Ieri pomeriggio le televisioni scoppiavano. Fiumi di parole inondavano
le case degli italiani. Il padrone dell’elettrodomestico più amato da
isolani e insulari certificava la sua uscita parlamentare. Una vecchia
canzone recitata in tandem da Mina e Alberto Lupo ben si addice al
mantra giornalistico di queste ore soprattutto quello catodico:
“Parole, parole, parole, soltanto parole….Caramelle non ne vogliamo
più…” E’ mancato solo il plastico e la scrivania da Vespa ed avremmo
avuto lo spettacolo di cui ci ammoniva Guy Debord. Tuttavia nonostante
il profluvio nessuno che tentava una analisi plausibile di un
ventennio pieno di consensi, di adorazione. L’altro ventennio finì
diversamente, dove parte della popolazione prese coscienza e insieme
agli alleati liberò l’Italia dall’ignominia del fascismo e della
guerra. Un secondo Risorgimento. Oggi siamo lontanissimi da quella
stagione. La fine di papi probabilmente ci consegnerà un personaggio
simil-arcoriano, con la sola differenza che invece di parlare
brianzolo, la cadenza sarà toscana. Glottologia. Un paese alla deriva,
povero Dante. Senza più una grande industria, auto, chimica,
telecomunicazioni, siderurgia, informatica, evaporate in nome di una
modernità senza senso. Che rimane di tanta attività? Vuoti a perdere.
Il nuovo che avanza al vecchio telefona. Pensando alla poesia di
Trilussa “Il Telefono” sul più bello chiami la Merkel e ti risponde il
duo Letta-Renzi. La modernità ragazzi!

Alfonso de Amicis