LA BANALITA’ DEL MALE

ACER

 

 

 

 

 

 

 

 

 

tratto dalla pagina fb di Maurizio Acerbo

 

 

L’amico V.  mi spinge a ritornare sul caso dell’arresto di Andrea D’Emilio. V. mi obietta che avendo andrea commesso un reato (resistenza a pubblico ufficiale) non potevano non perseguirlo. Certo ma il problema viene prima dell’arresto e cioè al comportamento di chi amministra la Provincia di Pescara. Un giovane si incatena per protestare per l’abbandono in cui si trova la biblioteca pubblica senza fondi in conseguenza della legge Renzi-Del Rio e del ritardo della Regione nel farsi carico del servizio finora di competenza delle Province.

Se io fossi stato Presidente della Provincia non avrei chiesto alla Polizia di portare via Andrea D’Emilio ma a costo di passare la notte con lui sarei stato a discutere per convincerlo a desistere perchè i dipendenti avevano il diritto di andare a dormire (è probabile che mi sarei unito alla protesta ma non pretendo che un presidente dell’ex-Margherita faccia come Maurizio Acerbo)
Dato che Andrea chiedeva che il Presidente D’Alfonso assumesse impegni precisi mi sarei attaccato al telefono finché il presidente o un suo vice non fosse arrivato. Lo avrei messo in contato telefonico con il Presidente se proprio al presenzialista per eccellenza era impossibile essere presente.

Prima di far denunciare penalmente un cittadino che protesta bisogna pensarci un milione di volte.
Soprattutto se la situazione che denuncia è vera e la responsabilità di quel problema è del partito che rappresenti.
Anche in questa occasione il PD ha dimostrato che con una sensibilità di sinistra non c’entra più niente.

Domenica 17 maggio ore 21.30 presso il piazzale del RE-PUBLIC PUB di Coppito (AQ), il gruppo musicale aquilano PARNASSIUS

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Domenica 17 maggio ore 21.30 presso il piazzale del RE-PUBLIC PUB di Coppito (AQ), il gruppo musicale aquilano PARNASSIUS presenterà un Omaggio al MAESTRONE, al BURATTINAIO DI PAROLE della canzone d’autore italiana FRANCESCO GUCCINI.

Nel corso dello spettacolo i musicisti aquilani ripercorreranno la vita artistica del cantautore di Pavana dagli esordi fino all’ultimo lavoro “L’ULTIMA THULE” con il quale Guccini si è congedato definitivamente dal suo amato pubblico.

i PARNASSIUS sono:
DIEGO DEL VECHIO voce-chitarra
LEONARDO FURORE chitarre
RICCARDO PEZZOPANE pianoforte-tastiere
CRISTIAN RANTUCCI sax
FRANCESCO RAPINESI basso
MICHELE MUSTI batteria

nel sandwich della “ricostruzione”

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L’Aquila – Cede il tetto che ha ospitato il Salone della ricostruzione
e un operaio precipita e muore
Si chiamava Adrian Claudiu Breban, l’operaio di 45 anni, romeno, che
ha lasciato ieri una moglie e
una figlia piccola dopo un volo di 6 metri dal tetto del capannone
ex Agriformula a Bazzano.
L’operaio, dipendente della Sac Srl, azienda della famiglia
Specchio, lavorava da solo su quel
tetto che ha ceduto, per riparare una perdita di acqua. Il
capannone, di proprietà di alcuni
membri della famiglia Specchio, ha ospitato l’ultima edizione del
“Salone della ricostruzione” e
ora la parte non interessata dal crollo del tetto e dell’operaio, si
prepara ad accogliere gli
alpini in occasione del “grande evento” aquilano: l’88° adunata nazionale.
Su alcuni membri della famiglia Specchio, sono già state inoltrate 2
inchieste: una, archiviata,
per inquinamento del sito (fino a metà degli anni ’80, l’ex
stabilimento Agriformula produceva
pesticidi e fertilizzanti), l’altra per presunte irregolarità sulle
leggi in materia di sicurezza
negli ambienti di lavoro, approdata da tempo in sede dibattimentale
e condotta dal pm Roberta
D’Avolio, la stessa a cui è stata affidata l’inchiesta per la morte
dell’operaio.
Questo per la cronaca.
Fuori della cronaca c’è la propaganda
Quella di un “Salone della ricostruzione”, un evento fieristico
dedicato alla ricostruzione
post-sisma, che mette insieme tutte le istituzioni, gli ordini
professionali e le associazioni
imprenditoriali di settore, impiegate nel più grande cantiere di
edilizia residenziale in Europa
per i prossimi 10 anni (soldi per i costruttori e per le banche)
Quella di un “grande evento”, l’88° adunata nazionale degli alpini a
L’Aquila, con la celebrazione
pseudo-patriottica dello stato dei padroni e della militarizzazione
(in realtà la febbre che si
respira in città è legata alla speranza di poter cavare dai
visitatori dell”evento’ un po’ di
soldini, senza pensare che quei soldini saranno comunque a carico
dei cittadini)
In questa propaganda si inserisce, come un microbo, la morte per il
profitto di Adrian Breban
operaio, a cui le fanfare mediatiche non dedicheranno più di una
pagina, per più di un giorno.
Ma verrà il giorno in cui tutti i microbi come Adrian Breban,
operaio, prenderanno la parola.
E noi, operai, disoccupati, siamo già tutti con te, con tua moglie e
con la tua piccola

 

  Luigia Slai Cobas s. c. AQ

I figli uccidono i padri

alfons

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il declino politico di un uomo può essere misurato con diverse
gradazione e in diversi modi. In effetti Sivio Berlusconi ruma dentro.
Un uomo, cullato creciuto e pasciuto dalle sue televisioni lo imita e
lo supera abbondandemente in fantasia e consenso. Il Piccolo Lord di
Rignano ha tutti giornali o televisione come sponsor ossesivi delle
sue politiche. Tutti a tessere le lodi del “nuovo” modello di comando
italico. Nella recente storia moderna siamo sempre stati degli
innovatori. Prendiamo per esempio l’ultimo post del capetto sulla
scuola: un selfie di 17 minuti per magnificare se stesso e la sua
squadra. Mancava solo la scrivania di porta a porta. Anche nella
situazione data il rottamatore ha superato abbondantemente il maestro
di Arcore. La provincia italiana è un pozzo di San Patrizio. Una
capacità bonapartista capace di gestire la psicologia delle masse in
modo da rappresentare il senso della “nazione al di sopra delle parti
e dei piccoli egoismi”. In un sol boccone si prende tutto. Scena
politica e capacità amministrativa e istutuzionale. Si propone da uomo
risoluto capace di guardare al suffragio universale non come un’arma
in mano alle classi deboli e alle sue aspirazioni emancipatrici, ma
come un potere di conservazione. Riforma della scuola e dei suoi
saperi, riforma delle legge elettorale(Italicum) convergono verso un
plebiscitarismo eversivo delle classi dominanti. Se solo tutto questo
l’avesse fatto il parvenù di Arcore la Repubblica, Il Corriere della
Sera, La Stampa e pedanti intellettuali post-moderni avrebbero buttato
giù fiumi di parole, partendo da Guicciardini, passando per Leopardi,
ed infine per il padre del liberalesimo italiano, Benedetto Croce e
poi usare gli stessi per un’operazione di maquillage del potere che
molto somiglia al “Gattopardo” di Tommaso di Lampedusa. Far finta che
tutto cambi affinché tutto rimanga come prima, se non peggio. Siamo
davanti ad una profonda trasformazione del potere e dopo venti anni di
cabaret il cosiddetto liberalismo italiano riscopre una delle
derivazione del liberalismo stesso: cioé il cesarismo moderno che
Renzi interpreta con tutta la sua regressione istituzionale, politica
e culturale. Alla fine della sua esperienza “terrena” Berlusconi è
servito anche a questo.

 

Alfonso De Amicis

Il Costume delle Elites Italiane

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono passati 4 anni da quando l’ex cavaliere di Arcore fu gentilmente
posto in letargo. Ibernato dalla potenza degli ex amici della Troika.
Mal sopportavano l’ intruso. Il potere delle grandi multinazionali,
delle banche, ma soprattutto della Bundesbank, ponevano fine
all’esperienza berlusconiana durata quasi un ventennio(Una nostra
abitudine). La borghesia tedesca attraverso il meccanismo della moneta
unica ha visto la possibilita di realizzare il sogno svanito con il
conflitto della seconda grande guerra. La conquista dei mercati
europei e quelli dell’est con i cannoni della finanza e del suo
potente mercantilismo. Tuttavia alcuni(non molti in verità) continuano
a domandarsi: E’ cambiato qualcosa nell’amato bel paese da quando
Berlusconi è stato cacciato e i suoi voti sono serviti per ridefinire
nuovi assetti istituzionali? Forse era prevedibile ma non pare che vi
sia stato una rigenerazione o presa di coscienza sul lento ma
inesorabile declino della democrazia e dellle condizioni
socio-economiche della bella terra penisolare e insulare. Prendiamo il
caso ultimo sulla vicenda delle pensioni. La Consulta il massimo
organo Costituzionale riconosce una fragorosa e rovinosa frattura in
materia di indicizzazione sulle pensioni di milioni di italiani. La
sentenza boccia la controriforma Fornero(Sant’Elsa piangente) sia sul
versante sociale che su quello istituzionale(diamine una professoressa
universitaria! Come lo stesso Monti punta di diamante della Bocconi!).
Ora il governo è impegnato nella fantasiosa soluzione di non
rispettare la sentenza, ma di correre a braccia aperte ai diktat di
Brusselles(Neolingua europea). Nella strumentalità della dialettica
governativa salgono delle domande spontanee: Quanto vale la
Costituzione Italiana? Continua ad avere una sua preponderanza nei
confini della Patria a cui hanno versato sangue milioni di italiani
per restituirgli dignità e Libertà?(la cancelliamo attraverso
l’artizio o la demagogia del conflitto fra anziani e giovani?
Togliendo poi sia agli uni che agli altri?) O si sta lentamente ma
inesorabilmente affermando quando auspicato dalla JP Morgan, cioè
quello di disfarsi delle Costituzioni nate dalla Resistenza per
consegnarci, finalmente, alle magnifiche sorti e progressive del
mercato globale? Ed in questo perdurante momento storico una domanda,
un interrogativo, dobbiamo porgercelo: ha più dignità il piccolo
popolo greco con il suo governo, seriamente riformista, o il
vaniloquio di Renzi e Padoan e di chi li sostiene? Dubbi che forse non
riceveranno né risposte ne tentativi di spiegazioni, se non propaganda
degna di una democrazia bonapartista e oligarchica.

 

Alfonso De Amicis

Quattro istituti abruzzesi nel progetto “Nuove finestre sul mondo”

 

studenti

 

 

 

 

 

 

 

 

di Ilaria Carosi

 

Quando ho chiesto loro di chiudere gli occhi, una risatina ha percorso l’aula.

Tuttavia, era la seconda volta che ci incontravamo e mi hanno accordato fiducia. Quasi tutti.

Io ho fatto finta di non notare quei due o tre che hanno deciso di tenerli aperti e ho guidato gli altri attraverso una visualizzazione molto delicata per la loro giovanissima età. Quelli che ho davanti sono studenti del primo anno di un istituto professionale e per la maggior parte, non tutti purtroppo, non sanno cosa si provi a perdere la libertà personale, sensazione che stanno per sperimentare insieme a me.

Man mano che la mia voce risuona nell’aula, le risatine diventano sempre più rare. Alla fine ottengo un silenzio assoluto. Anche quelli con gli occhi aperti, restano muti. Perché capiscono quanto “angoscioso”, “triste” carico di “ansia” e “paura” sia sentirsi in gabbia, proprio come quell’uccellino colorato che sono riusciti a vedere, pur restando ad occhi chiusi. Mi colpisce davvero la paura, l’emozione che più frequentemente mi viene riferita, quando finiamo: in effetti, sono poco più che bambini.

Le emozioni condivise preparano il terreno e predispongono all’ascolto delle testimonianze previste per il laboratorio del giorno: quelle di due rifugiati accolti negli anni all’interno del progetto Sprar (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), attivo a L’Aquila dal novembre 2011.

Storie molto diverse, perché diversi sono i teatri geografici su cui si sono consumate. Tuttavia, storie sempre più spesso sovrapponibili, accomunate dalla violazione di quei diritti umani che in altre zone del mondo ci si può permettere di dare per scontato: alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale, alla libertà di parola, di opinioni, di credo religioso, di orientamento sessuale.

Diritti universali che, sulla carta, dovrebbero essere garantiti “senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione” (Dichiarazione dei Diritti Umani, 1948).

Riflettiamo in gruppo sulla differenza esistente tra migrante e richiedente asilo, su quanto la scelta migratoria del primo, poco o nulla abbia in comune con la richiesta di protezione che anima chi sia costretto ad abbandonare il proprio Paese da un giorno all’altro e contro la propria volontà.

Uomini, donne e bambini che affrontano viaggi duri e complessi che espongono, anche nei paesi di transito, al rischio di tortura, incarcerazioni e maltrattamenti ingiustificati, vessazioni, sfruttamento lavorativo e non solo, mortificazione dell’umana dignità perché costretti in spazi angusti, senza cibo né acqua, senza possibilità di assolvere liberamente le proprie funzioni fisiologiche o anche solo lavarsi.

Viaggi che la paura della morte te la mettono addosso, che si arrivi per mare, in gommone, oppure via terra, nascosti tra le ruote o nel carico di un tir. Quella, lo so bene perché me la raccontano sempre, difficilmente riescono a dimenticarla.

Il bellissimo Progetto di Educazione allo Sviluppo promosso dall’Engim (Ente Nazionale Giuseppini del Murialdo), insieme a 14 organizzazioni no profit di tutta Italia e cofinanziato dalla Cooperazione Italiana – Ministero Affari Esteri, ha coinvolto gli studenti di 18 regioni italiane in due laboratori tematici che spaziano dalla complessità delle motivazioni che determinano una migrazione alla cooperazione allo sviluppo.

In particolare, nella nostra regione, lo stiamo facendo grazie ad Abruzzo Centro Internazionale Crocevia, che ha deciso di implementarlo in 4 scuole medie e superiori (Istituto Statale d’Arte “F.A. Grue” di Castelli; I.P.C. “O. Colecchi” dell’Aquila; I.P.S.I.A.S.A.R. “L. Da Vinci” dell’Aquila; Istituto di Istruzione Superiore “G.B. Vico” di Sulmona), per un totale di circa 240 studenti raggiunti.

La visione di un cortometraggio dà l’opportunità di ragionare sulla forza dei pregiudizi e sui possibili antidoti ad essi, su quanto fallace possa essere giudicare una situazione senza conoscerla nel dettaglio, su quanto spesso le pesanti lenti che abbiamo sugli occhi ci impediscano di rivolgere all’altro quella curiosità che sola permette di uscire arricchiti dall’incontro con il diverso o con chi porti in sé l’altrove, pur non essendo un migrante in senso stretto (si pensi alle seconde generazioni, ai figli delle adozioni internazionali o di coppie miste, per esempio).

A volte, ci si ferma al primo sguardo e tanto basta. È quello che accade usualmente anche in classe, dove al compagno straniero nessuno chiede conto del paese di origine, né della sua storia.

Una storia che, in alcuni casi, ha bisogno di essere raccontata, per acquistare dignità agli occhi dell’altro, perché raccontare aiuta a tenere insieme i propri pezzi e magari a scaricare una parte di quel dolore psichico che tanto affatica chi se lo tiene dentro. Succede, a sorpresa, anche questo.

Il ragazzo dal bellissimo viso, i cui occhi accennano appena all’oriente che gli ha dato i natali e la cui pelle è ambrata e liscia come solo in quel posto del mondo sa essere, mi chiede di poter leggere la sua, di storia, trascritta nel suo italiano migliore. Viene accanto a me, i suoi compagni, ora sì, si zittiscono all’istante.

Non è facile ascoltare le sue parole e quel racconto che inizia già spezzato, non da casa, dal suo paese di origine, né dalla sua famiglia ma dallo stato limitrofo che, probabilmente già solo, lo ha accolto come profugo. La storia la fa iniziare là, il resto è sepolto nell’indicibile, mi chiedo se riesca almeno ad essere pensato o se abbia smesso completamente di esistere. Quando la lettura termina, i suoi compagni gli fanno un applauso che sa di abbraccio. Io lo ringrazio per il dono che ha deciso di farci. Sinceramente commossa, per la fiducia.

E so che è anche e soprattutto merito suo se i suoi compagni definiscono il laboratorio “fantastico”, aggettivo che si ripete nei questionari che raccolgo alla fine dell’incontro. Dicono che vorrebbero ripetere l’esperienza, che hanno voglia di ascoltare altre storie, in particolare quelle di chi è costretto a partire perché altra scelta non ha.

Hanno ragione, andrebbe dato spazio soprattutto alle storie. Sono quelle dei nomi e dei cognomi, quelle che conferiscono la dignità di persone, consentendo di emergere dal mucchio di elementi di una categoria, i migranti, i clandestini, i profughi, i disperati del mare.

Sono giorni molto duri, quelli presenti. In troppi resteranno ad occhi chiusi, con il loro sogno di libertà affogato in gola e sepolto in fondo al mare. Storie che nessuno potrà ascoltare più.

A volte, anche chi fa il nostro lavoro, ha la sensazione di provare a svuotare il mare con un secchiello: il mare dei pregiudizi, del razzismo, delle ingiustizie, dell’ipocrisia di una politica internazionale che finge di non vedere.

Dubbi ed interrogativi tanti. Frustrazione e demotivazione, a volte.

Convinzione assoluta che accoglienza ed integrazione passino attraverso l’ascolto reciproco. Certezza di aver centrato, con questo progetto, un piccolo ma significativo risultato.

Ai nostri ragazzi abbiamo chiesto anche di scrivere una storia, prendendo spunto dagli argomenti trattati. Quelle raccolte parteciperanno ad un concorso, la vincitrice diventerà un cortometraggio.

La sensazione è che la storia più bella, senza saperlo e parlando un immediato linguaggio comune, siano riusciti a scriverla già. Insieme.