Restare o emigrare?

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Qualche mese fa è comparsa una analisi circostanziata  e piena di numeri sull’abbandono dell’Italia da parte di numerosi giovani. Le cifre  che fanno riflettere si possono leggere sul giornale dei vescovi italiani. Cifre altrettanto mortificanti sono apparse l’altro giorno sulla Stampa di Torino. Sono sempre più i giovani ma anche meno giovani e soprattutto laureati che lasciano il bel paese per dare dignità alla propria vita. I paesi preferiti sono Germania Regno Unito Francia e Svizzera. Sette anni di crisi  e austerità hanno prodotto la mezzogiornificazione del l’intera Italia. Una generazione che nel paese della narrazione renziana,  e del Jobs act  non vede nessun futuro. Negli ultimi anni ben un milione e mezzo di giovani hanno lasciato la nostra penisola.
Altro che invasione dei migranti. La destra in tal senso agita sempre la guerra tra poveri nascondendo la natura della crisi. La domanda quindi sorge spontanea di chi la
colpa di questo sfacelo? Quali politiche economiche e sociali sottendono a quanto sta accadendo? Sono ormai trenta anni che si perseguono politiche recessive  basate esclusivamente per  contenere il costo del lavoro, sui tagli al welfare. Tagli draconiani alla spesa pensionistica,alla sanità,ristrutturazione in senso reazionario della  di tutto l’apparato di riproduzione sociale. Con la buona scuola  Renzi può vantare di aver portato a casa lo scalpo di una struttura pubblica e universalistica. E in questo senso va  compreso come una intera classe politica vanta di aver introdotto il pareggio di bilancio in Costituzione. Una cessione di autorità nei confronti di strutture europee prive di legittimazione democratica che obbediscono alla stupida e antiscientifica logica del 3%. Una cessione di sovranità che ci nega qualsivoglia politica economica e sociale. Ci siamo così consegnati ai burocrati dell’Europa e della Bundesbank. Dentro questo quadro mortifero e desolante la questione aquilana e del cratere vive una doppia crisi. Crisi che non vede soluzione anche perché le politiche del comune e della regione sono supine e soggiacenti al patto di stabilità interno e europee. Politiche palliative che non rimuovono le cause della crisi. Non smuovono una ricostruzione lumaca non rimuove i grandi favori a favore della rendita e quindi i danni che i semplici cittadini da anni subiscono. Un primo intervento opportuno per frenare la deriva di questa nuova migrazione consisterebbe nell’introdurre il reddito di cittadinanza, poi interventi di natura strutturale. Solo Interventi pubblici e pianificati possono invertire e sovvertire politiche che sono al limite del criminale. Tuttavia la risoluzione può avere successo se tutti insieme alziamo la voce e rivendichiamo i giusti diritti. Altrimenti il destino che ci riserva il futuro è un indebitamento continuo, una stagnazione secolare.

 

Alfonso De Amicis

L’Aquila, il piano C.A.S.E. e altro

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

Corrono in rete, sulla carta stampata, su vari giornali online e
convegni, analisi e proponimenti intorno alla ricostruzione e alla
presunta rinascita della Città dell’Aquila. Molte di queste analisi, a
mio avviso non fanno i conti con l’attuale momento storico e ignorano
la recente storia di una città che da molto tempo ha sempre espressso
una cultura conservatrice. Pochi e circoscritti i momenti di tensione
e di politiche progressive. Uguale a se stessa e sempre avara e poco
riconoscente nei confronti dei suoi “figli diversi” e controcorrenti.
Nella sua storia recente alcuni soggetti organizzati e non  sono resti
ad ammettere, una sconfitta che appare cgiara e incontrovertibile. Una
sconfitta frutto dei processi di riorganizzazione intorno alla
rendita, intorno “al diritto alla città”. Senza una “verità” su questa
perdita credo non si vada da nessuna parte. La rotta di ieri ha pesato
e pesa enormemente sulle vicende della ricostruzione, e di come è
stato affrontato il cosiddetto piano C.A.S.E. Dentro questa
“modernità” si sta rimodellando il futuro involucro di un vivere che
non avrà nulla a che fare con quanto conosciuto. Già prima del 6
aprile l’Aquila si avviava verso processi di ristrutturazioni che le
grandi città europee e italiane avevano avviato e portato a termine
dagli anni ’80. Un processo strategico dove questa nuova forma di
urbanizzazione stende un ruolo strategico nell’assorbimento delle
eccedenze generate dal processo di accumulazione capitalistica; dove
il mercato capitalistico  ha svolto e svolge tuttora un ruolo
altrettanto centrale nei processi di finanziarizzazione e di
indebitamento privato; continua a costituire un elemento centrale di
polarizzazione della ricchezza e del potere che  è inscritto ormai
nella stessa forma spaziale delle città. In questo senso dentro le
mura si concentrerà ulteriore ricchezza finanziaria e di rendita, un
luogo ulteriormente terziarizzato e “impoverito” urbanisticamente, con
le periferie ad uso e consumo di forme sempre più spinte di
proletarizzazione, impoverimento, appunto diluite, in spazi senza
senso ma ben controllate da infrastrutture fintamente coordinatrici.
Alcune disarticolazioni degli spazi urbani sono funzionali affinche
l’ambiente urbano non possa fungere, da terreno di reistenza ai
processi di privatizzazione della città e dei beni di dominio
pubblici. Tuttavia pare evidente come questi processi siano andati
avanti in forma spedita e violenta ricacciando gli oppositori, divisi
e formalmente poco efficaci nella sola via dell’estetica o sulla
strada sterile, della cosiddetta onestà ed efficacia. Le vicende di
questi giorni evidenziano, qualora ve ne fosse sncora bisogno, come le
minoranze interne al consiglio comunale così come le minoranze interne
alla maggiranza stessa sono prive di prostettive politiche. Certo
possono mettere in campo una manifestazione, una conferenza stampa,
qualche sgambetto ma il punto di vista è del tutto subalterno ad un
potere che pare inafferrabile proteso su una via che non vede
ostacoli. Il viaggiare spediti sulla ricostruzione del cosiddetto asse
centrale suggella la vittoria di una classe politica al servizio di
questo enorme processo di ristrutturazione. Un processo che come
ricordavo, viene dai primi anni ’90, le destinazioni d’uso,
l’urbanistica contrattata il piano del commercio, ecc. sono state
usate come piede di porco per disarticolare una città ancorata alle
sue antiche vestigia. Questa modernità è stata gestita in modo alterno
centro-destra e centro-sinistra una coabitazione perfetta. Stesse
facce stesse politiche. Gli ultimi dieci anni ha visto questa
interpretazione e gestione in mano ad una triade. La stessa che si
prepara ad una futura gestione probabilmente in convivenza. Il
sottosviluppo delle periferie delle frazioni la mortificazione di
quest’ultime ha sempre fatto parte di questo disegno. Per costoro
mercato cordina e prefigura tutto. In realtà i governanti della
vecchia Città-Territorio ha sempre ben indirizzato, canalizzato gli
interessi più appetitosi ed appetibili delle forze economiche, dei
grandi Enti affinchè si moltiplicassero potere e capacità della
finanzopolitica. Basterebbe dare uno sguardo seppur di superficie alla
geografia che questo potere esercit su questo vasto territori per
renderci conto della quadratura del cerchio. Una chiusura ermetica
dove per entrarvi devi passare per le forche caudine di un sistema che
selaziona e include allo stesso tempo. Il terremoto ha dato una
accelerazione potente e con l’aiuto centralistico dello Stato ha
spazzato via qualsiasi residuo di democraticità presente. A ben vedere
la realizzazione del piano abitativo ha riproposto quanto già fatto in
modo violentemente autoritario dal fascismo che con un tratto di penna
spazzò via i comuni limitrofi, affinché si realizzasse il “sogno della
Grande Aquila”. Un territorio sconfinato che va da San Gregorio al
Lago di Provvidenza. Da Collebrincioni fino a toccare i territori di
Lucoli e Tornimparte. Ecco, adesso gestisci i servizi. Scuola,
rifiuti, sanità di base, soprattutto per i vecchi. Dobbiamo morire
prima del dovuto. Niente di nuovo sul fronte occidentale. La “gente”
non doveva rimanere, era giusto che emigrasse. Bisogna correre eseere
più veloci del vicino. La madre terra negli ultimi anni è sempre stata
poco generosa con i propri figli. Per meglio dire il governo di questo
lembo di terra ha preferito che molti emigrassero, magari aprendo le
porte a pochi ma sostanziosi interessi. La Città è già servita. Il suo
delinearsi nel medio futuro è  tracciato. Prendiamo atto che oggi,
come orizzonte c’è solo il tramonto di fuoco alla “Forcella”.

 

Alfonso De Amicis

Tutti assolti: La scienza è neutra?

De Amicis A.
De Amicis A.

Chi è che aveva intinto qualcosa di sospetto? Chi era l’untore?Su
questo dilemma, o se vogliamo sulla natura giudiziaria di quell’evento
si scontrarono il Manzoni e Pietro Verri. Il Manzoni si industriò a
disinnescare la potente carica narrativa contenuta in quella storia e
soprattutto voleva stabilire che le responsabilità sono individuali
allo sbaglio che può riscontrarsi in sede di giudizio. Più
prosaicamente e illuministicamente il Verri sosteneva che spesso
possono sbagliare le Istituzioni. Oggi come allora lo Stato e la
Scienza attraverso l’artifizio delle regole, delle parole o della
neutralità di quest’ultima fanno muro alla esigenza di capire e
conoscere quanto effettivamente accadde il 31 marzo del 2009. Nessuno
era(è) animato da sentimenti giustizialisti, semplicemente si voleva
chiarezza su quanto accaduto intorno alla riunione degli esperti. Su
quell’evento molti aquilani e non solo, si sono dati delle risposte
dandosi come metodo lo scetticismo. E qualora ce ne fosse bisogno
quello che avevamo appurato qualche anno fa oggi ritorna verità. La
Scienza non è neutra. Come spesso avviene si sottoppone alle verità
-qui non parlo di quella giudiziaria. Spesso quello che avviene nelle
aule della Giustizia non corrisponde all’idem sentire o ad alcuni
aspetti di carattere culturale-che il potere e i rapporti di forza
impongono alla società stessa-. E’ stato vero sulla ricerca del
nucleare( su tale evento basta rileggersi quanto scritto da Einstein)
è vero oggi circa le applicazioni delle biotecnologie, cosi come è
lampante la sottile differenza e le sue immediate applicazioni circa
le tecnoscienze. La neutralità della ricerca non è oggettiva come non
loè mai stato il sesso degli angeli. Quello che rimane da imparare da
questa vicenda è quello di far rimanere vivo nella memoria, seppur in
modo minoritario sia in questa città come nell’intera penisola,che
andrebbe applicato sempre principio della precauzione e del dissenso.
Se quella notte si fosse tenuto conto di questi principi forse oggi
staremmo a raccontare un’altra storia. Il prossimo 6 aprille dovremmo
ragionare e proporre una riflessione che interroghi “noi” soggetti
istituzionali ma anche il giornalismo che spesso da voce critica si
trasforma in megafono di un potere che si allontana sempre più dalla
vita di tutti i giorni.

 

Alfonso De Amicis

Riserva del Vera si parte?

vera

 

 

 

 

 

 

 

 

spettavamo da tempo un salto di qualità cosi corposo? In verità se
oggi il Comune o qualche politico di rincalzo o presunti innovatori
dell’ambiente possono cantare vittoria o credenziali vari il merito è
tutto della popolazione di Tempera. Normalmente le case si
costruiscono dalle fondamenta e mattoni su mattoni. Se preferite
pietra su pietra. Così è stato. Oggi possiamo vantarci di avere un
biotopo, una riserva naturale di prima qualità grazie alla trenua
difesa che i cittadini di Tempera, ma non solo sono riusciti a mettere
in campo nel corso del tempo. Sono ancora vive le vicende di quando un
popolo intero “armato” di ragioni profonde e attaccamento alla propria
terra e alle proprie tradizioni difesero con intelligenza e trattori i
tentativi di captazione da parte del Consorzio di Bonifica. Così come
sono vive nella mente le immagini di quando Seconda oppose il suo
corpo e fece suonare le campane affiché un secondo tentativo di
manomettere la zona delle sorgenti risultasse vano. Al secondo
rintocco la fuga di politici e tecnici fu fulminea. Dobbiamo a questa
generazine la verginità di un posto che meriterebbe una rigidità
d’intenti da improntare e foraggiare. In questo senso
l’amministrazione comunale prima di dare inizio a qualsiasi intervento
dovrebbe incontrarsi con la popolazione di Tempera che sono i primi(ma
non solo) depositari di questo bene inestimabile. Consiglierei ai più
di abbandonare frasi di circostanza: ecocompatibilità, turismo
sostenibile. Parole spesso fuorvianti, che non colgono fino in fondo
il reale valore della riserva. Un confronto aperto e franco con la
popolazione è quindi necessario. Anche perché come diceva mio nonno,
un contadini saggio: “a volte la pratica fa il culo alla grammatica”

 

Alfonso De Amicis

Prc L’Aquila: Per i lavoratori servizi sociali Comunità Montana dell’Aquila solo una settimana di stipendio in 5 mesi

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I lavoratori dei servizi sociali della Comunità Montana Montagna dell’Aquila hanno percepito solo una settimana di stipendio negli ultimi 5 mesi pur continuando a lavorare per mantenere in piedi la rete di protezione sociale del territorio. Se, come sembra, la Comunità Montana dispone delle risorse necessarie per permettere alla Cooperativa Verdeaqua di saldare le spettanze con il personale non si capisce cosa stia producendo questa situazione, soprattutto in presenza di operatori stremati. Invito la Fp Cgil, che da sempre si è dimostrata attenta a questa vertenza, ad intervenire presso la Comunità Montana e presso la Cooperativa affinché in tempi rapidi si raggiunga un’intesa in grado di soddisfare le più che legittime pretese dei lavoratori. Spero che questa vicenda non si trasformi in un braccio di ferro tra l’ente e la Cooperativa a suon di carte bollate. Sarebbe la definitiva fine dei servizi sociali del nostro territorio montano.

 

Goffredo Juchich
Segretario Comunale Prc L’Aquila

Per una contro-lettura sulle presunte tangenti della ricostruzione

 

 

De Amicis A.
De Ami

 

 

 

La nostra penisola, semicolonia statunitense ed europea, continua ad essere un
laboratorio mondiale per la sua storia, per la particolare fragilità di
tante sue strutture e per la sua posizione geopolitica.

Recentemente rimbalzano alla cronaca elementi di corruzione e malversazione
nella gestione della cosa “pubblica”: i fatti di mafia capitale, le
vicende intorno
alla realizzazione dell’Expo’ e del “dopo Expo’”, i raggiri per la
costruzione della Tav, le preoccupazioni per le molteplici “grandi opere” ,
attestano che le derive autoritarie sono sempre dietro l’angolo.

Anche le vicende legate alla ricostruzione privata a L’Aquila confermano,
l’intreccio criminoso tra la cosiddetta sfera pubblica e gli interessi
privati. Soprattutto gli interessi privati.

Mentre molti si sperticano nel rilanciare la questione morale e l’onestà
come
capisaldi contro il dilagare della corruzione dimenticando che l’onestà
dovrebbe essere una pre-condizione della politica, i centri nevralgici
del potere
che conta sembrano viaggiare su altre dimensioni, su un pianeta che
pare inafferrabile
e di cui, quello che emerge, è solo la punta di un gigantesco iceberg.

Mentre si convoglia l’attenzione sull’ultima truffa alcuni
rispettabili uomini dei grandi interessi, più
avveduti e avvezzi sui concetti di dominio o di governance di nuovo conio,
ripropongono e realizzano pericolose torsioni autoritarie.

Come a Roma e a Milano, ma prima ancora a Napoli per i rifiuti, con il
terremoto a L’Aquila sono state elaborate le basi per la compiuta
realizzazione dello “stato d’eccezione” ovvero una nuova forma di governo
dove si assottigliano sempre più gli elementi di democrazia, di
partecipazione e di controllo dal basso.

I grandi poteri europei e il governo, attraverso stampa e televisioni,
realizzano
la “governamentalità” che consiste nello spostare l’attenzione dalla fonte
del potere alle modalità del suo esercizio.

Nella sfrenata tendenza di commissariare e “prefettizzare” la democrazia,
le ultime vicende di ruberie e saccheggi sono servite alla costruzione del
necessario consenso per le ulteriori privatizzazioni, e per il progressivo
arretramento dello Stato – inteso come garante del bene collettivo – nelle
funzioni di controllo e di direzione delle attività produttive e
socioeconomiche.
Lo Stato moderno è stato di fatto trasformato, invece, come l’unico
detentore del comando e della forza della repressione (anche se, negli
ultimo tempi si avvalgono della “collaborazione” di strutture private
appositamente reclutate, soprattutto per missioni all’estero. L’Iarq
prima e Piazza Maidan dopo confermano l’esternalizzazione di alcune
operazioni. Risulterebbero troppo compromettenti).

E tuttavia non è un ritorno all’antico. E’ la declinazione moderna del
nuovo assetto ai tempi dei trattati europei e monetari e del tentativo
delle elites europee di formare un super-stato per poter meglio
competere su mercati mondiali.

Da decenni applichiamo politiche privatistiche in tutti i settori; dalle
regole stesse della democrazia alle regole che disciplinano gli
interessi economici
e finanziari. Ma tutto ciò non è servito a rilanciare la cosiddetta
crescita né tanto meno a eliminare la corruzione o a rinsaldare la
democrazia ormai morente. Anzi, proprio nel momento in cui il neoliberismo
trionfava e lo Stato diventava minimalista, il terzo settore e le
cooperative aggredivano e divoravano i settori del sociale. Odevaine,
Carminati e Buzzi sono stati la cartina al tornasole di una criminalità
tutta legata a questo nuovo disordine che ha origine nella pervasività della
privatizzazione più sfrenata. Insomma più privato non ha coinciso in nessuna
delle virtù salvifiche da sempre annunciate.

E mentre ascoltiamo le rituali dichiarazioni tipo “la giustizia faccia il
suo corso …; fino a prova contraria tutti sono innocenti …” che cosa
possiamo augurarci per la nostra città? Più prefetti e commissari o maggiore
democrazia? Democrazia vera! (paradossale dover aggiungere aggettivi o
dover declinare la parola “democrazia”). Inoltre che dire di un sindaco
costretto alle dimissioni senza un dibattito politico in aula consiliare o
di un presidente di regione eletto nonostante fosse indagato e ancora oggi
coinvolto in una clamorosa inchiesta? Vogliamo ancora credere al meccanismo
delle primarie?

Si può andare avanti con sindaci che sempre più somigliano a vecchi podestà
e a sale consiliari simulacri di una società verticalmente classista?

E’ evidente che il grande assente è la Politica. E per politica
intendiamo quella dei “moderni” quella che partendo da interessi di
classe, quindi di parte attraverso il conflitto diventava-per dirla
con Gramsci-interesse generale.

Chi ha in animo un nuovo rinascimento della Politica non può non desiderare
la fine dell’era dei cosiddetti diritti individuali o delle persone
che sono serviti come “piede di porco” per disarticolare tutte le
conquiste del secolo scorso. Quindi occorre ripartire
dai reali bisogni collettivi e di classe, soprattutto di quelle classi che
la semantica del potere ha cancellato dal linguaggio pubblico al solo scopo
di imporre e legittimare un potere sempre più arrogante, feroce e
intoccabile. Soprattutto facendo tesoro che “E’ vero, si è appena nata
al mondo, è già le ombre della prigione si chiudono attorno a noi, e
troppo presto apprendiamo a dimenticare; eppure, quando eravamo appena
nati, serbavamo sicura memoria di altre epoche e di altri luoghi. Ma è
altrettanto vero che quando eravamo in fasce, o ancora ci trascinavamo
a quattro zampe, abbiamo sognato di volare…” Jack London Il
Vagabondo delle Stelle.

 

 Concettina Massimini e Alfonso De Amicis

Parigi e le altre stragi: contro la guerra e l’orrore, un No all’Unione Europea e alla NATO

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Parigi e le altre stragi: contro la guerra e l’orrore, un No
all’Unione Europea e alla NATO.

Questa volta è a Parigi ma la guerra è in corso da tempo ai confini di
questa Unione Europea: questo attacco segue di pochi giorni e ore
all’abbattimento dell’aereo civile russo in Sinai e alla strage a
Beirut.

L’attacco di Parigi ci chiama a rompere quel velo di ipocrisia calato
sulle coscienze di tutti, che considera le stragi degli altri come
fatti di cronaca minore, che considera l’ondata di profughi come un
problema di ordine pubblico e di risorse economiche mentre era sempre
della stessa guerra che si trattava.

Questa Unione Europea, con o senza la NATO e gli USA, ha esportato
miseria e conflitti, direttamente e indirettamente, ora ancora una
volta e ancora con più forza, quello che si è seminato per il mondo è
cresciuto e torna a casa. Una reazione uguale e contraria di barbarie.

Sono anni che si sono scatenati e foraggiati conflitti e
destabilizzazione dall’Afghanistan alla Iraq, dalla Siria alla Libia,
dall’Ucraina alla Serbia, dalla Palestina fino in africa centrale. Ora
la guerra, come tutti potevano prevedere e senza poterlo veramente
evitare, torna nelle metropoli prendendo di mira la popolazione
civile.

Siamo chiamati ad una scelta di campo, si tratta di scegliere se
accettare la chiamata alle armi contro l’orrore jihadista che la
stessa UE con e senza gli USA hanno coltivato, oppure comprendere che
il nemico è alla nostra testa: una classe dirigente che ha creato la
situazione in cui ci troviamo, per scelte che avevano a che fare con
gli interessi di multinazionali e di profittatori di ogni risma.

Così come stanno distruggendo ogni residuo di diritti democratici e
sociali, hanno scommesso sulla destabilizzazione di intere aree del
pianeta, alla ricerca di risorse e di mercati, alla ricerca di nemici
da trovare o creare. Ora il conto è tornato ma devono pagarlo loro e
non noi.

Rompere con l’attuale sistema che si incarna nella stessa costruzione
dell’Unione Europea deve essere il nostro obiettivo per contrastare la
guerra in casa e fuori casa, per riconquistare il diritto a vivere in
pace in una società giusta e libera dagli appetiti insaziabili delle
élite europee.

L’alternativa è quella di subire una società sempre più autoritaria e
sottoposta ad un regime di guerra permanente, dove ogni opposizione
sociale è criminalizzata, dove ogni futuro di progresso è negato dalla
loro crisi e dalle loro guerre.

Questa deve essere la nostra reazione all’orrore: si rafforzi la lotta
contro queste élite e le loro politiche di sangue e miseria. Per
questo rilanciamo l’appuntamento per l’assemblea nazionale di sabato
21 novembre a Roma per un no, senza se e senza ma, all’Unione Europea
e alla NATO.

Ross@ Movimento Anticapitalista

I Sette Re di Roma gli Statali e la “Taxa Camarae” di Leone X

De Amicis A.
De Amicis 

 

Il Mondo è tutto attaccato: così recitava un tema collettivo di alcuni
ragazzi di una scuola media chiamati a misurarsi sulle crisi
ambientali economiche e sociali che stanno mettendo a rischio la
tenuta dell’intero pianeta. I mali della societa odierna sono molti:
povertà,migrazioni, crisi sociale economica e finanziaria, criminalità
organizzata mondiale che sempre più si diffonde e si ramifica nelle
realtà urbane. A queste emergenze fa capolinea una crisi generale di
democrazia e consenso al ceto politico dominante. Vien da se che
pensar male si fa peccato, ma come recitava un vechhio adagio non si
sbaglia. E dunque, mi pare evidente e chiaro come l’ipocrisia e spesso
la sotto-cultura sia la leva e il modo con cui vengono affrontate le
varie questioni di politica interna e internazionale.Tutto meno che
guardare al mondo come un qualcosa che si tiene e che ha bisogno di
unità piuttosto che di un individualisno sfrenato.Infatti. Guardiamo
con la lente di ingrandimento quanto succede in questi giorni in
Italia: I lavoratori pubblici, lo scandalo del Vaticano, la cosi detta
legge di stabilità (ex finanziaria), le dimissioni di Marino. A ben
vedere problemi enormi, ma guardando le televisioni e leggendo i
giornali il problema rimane unico e imperativo: Ridurre la spesa
pubblica, liberare le risorse,(ingabbiate da chi?) ancora, dopo trenta
anni di politiche privatische, a riproporre un mantra che ha portato
l’economia mondiale, soprattutto quella europea ad una forma di
stagnazione secolare. Ma tutto ciò non basta, non pone dubbi, lo
scetticismo di colpo viene scaraventato sotto il tallone di
ferro.L’imperativo vigente è rendere sempre più il lavoro e i
lavoratori pura mercanzia. Quali gli altri problemi? La licenziabilità
del dipendente pubblico? Come se non ci fossero già, norme stringenti
e certe circa l’universo del lavoro pubblico e che riguarda più di tre
milioni di lavoratori che aspettano il rinnovo del contratto da oltre
sei anni. La signora Madia ha offerto un’elemosina di cinque €uri
lordi al mese, pura elemosina e provocazione. Suggerisco alla signora
Ministra della Funzione Pubblica di guardarsi attentamente il film di
Totò “I Sette Re di Roma”. Forse l’ironia e il sarcasmo velenoso
della maschera di Pulcinella di Napoli racconta meglio di tante
analisi la vergognosità di una condizione di lavoro che nessun regime
politico ha avuto la voglia e la sensibilità di affrontare. Il
sociologismo del fannullone è appunto dell’era di fil del neorealismo
italiano. E tuttavia mentre scorrono queste sequenze di vita e da noi
osservate come appartenenti al mondo di sotto, arrivano gli scandali
politici morali, etici e tipica dell’ arroganza senza pari e senza
fine da parte del cosidetto mondo che conta. Ma tutto viene
derubricato ad un presunto senso morale declinante, ma certamente
nessun interrogativo su un potere che non ha più nulla da dire e
soprattutto somiglia sempre più al dirimpettaio mediterraneo e cioé
all’islamofascista di Erdogan. Un potere chiuso su se stesso.
Azzardato! Guardate la vicenda di Roma o le supidate sulla presunta
superiorità mlanese. A Roma viene fatto decadere un sindaco certamente
di dubbia statura politica ma per che cosa? Per dei scontrini (dopo
che per anni privatizzazioni e malversazione del denaro pubblico e
inefficienza l’avevano fatto da padrone, e cosa bella e nota ha visto
coinvolti quello che possiamo tranquillamente definire il Partito
Unico della Nazione e cioé Centro-destra e centrosinistra.) oppure
come di prassi, tutto si dipana presso lo studio notarile come si
trattasse di un puro atto si scambio , quindi la democrazia viene
solennemente mercificata e consegnata alla prefettizzazione.
L’amministrazione pubblica è tutto un commissariamento. E’ questa la
declinazione della democrazia moderna?Sembra di essere ritornati allo
stato d’eccezione e sovranità, fissata da Carl Scmitt nella sua
“Politische Theologie(1922). Ed in verità l’odierna democrazia
nell’occidente maturo si vende per poche salsicce come magistralmente
narrato da Aristofane. E’ la demagogia o il populismo il peggior
nemico della democrazia? Se i dipendenti pubblici sono da mettere alla
gogna, la cosiddetta classe politica dove va collocata? E della
cosiddetta superiorità della Chiesa che farne? Prenda la vicenda
ultima del Vaticanleaks, mi pare che evochi la famosa “Taxa Camarae”
di papa Leone X,(di nome Giovanni de Medici l’eterno ritorno delle
famiglie) uno dei punti più alti della corruzione umana. La taxa
Camarae è un’elenco tariffario delle indulgenze, cioé perdonare le
colpe a tutti coloro in grado di pagare le alte somme richieste dal
Pontefice, così che la domanda sorge spontanea cosa c’entra il “Bambin
Gesù” con la vita terrena? Un interrogativo Shakespeariano. Siamo in
presenza di una società del caos o sono in crisi le forme di dominio
che durano ormai da decenni e che la signora Tacher sanzionò
affermando “la società civile non siste”? Di fronte ai dilemmi che la
complessità del mondo domandano, le elites italiane riscoprone se
stesse: gattopardismo, trasformosmo, e forme di autoritarismo che
spesso attingono ad un passato che non muore mai. Aggiungono quasi
sempre un contenuto mai morto: dividi et impera. E in effetti i
furbetti del cartellino arrivano come il cacio sui maccheroni. Un
condimento buono per ogni stagione. Renzi e il renzismo pare la
perfetta sintesi della biografia italica.

 

Alfonso De Amicis

Stalingrado, novembre 1942

stalingrado 1942
stalingrado 1942

Stalingrado, novembre 1942, inizia l’operazione Urano, che porterà alla sconfitta dei tedeschi e alla liberazione della città.
Ai primi di novembre grosse lastre di ghiaccio cominciavano a formarsi nel grande fiume rendendo progressivamente più difficile la navigazione con una ulteriore forte riduzione dei rifornimenti per la 62ª Armata, abbarbicata alla sua precaria testa di ponte; inoltre in questo periodo le quote di rimpiazzi e rifornimenti assegnati al generale Čujkov vennero ancora ridotte per decisione dello Stavka a favore della costituzione delle due masse offensive per l’operazione Urano. Per Čujkov, pur a conoscenza dei progetti dell’Alto Comando Sovietico, la situazione diventava sempre più difficile («Eravamo all’ultimo respiro», avrebbe detto anni dopo, ricordando quelle giornate.
L’11 novembre Paulus, seguendo gli incitamenti del Führer e sperando di sfruttare le difficoltà di rifornimento dei sovietici, sferrava la sua ultima offensiva generale con l’impiego di tutte le sue truppe più fresche, allo scopo di distruggere le ultime teste di ponte e ributtare nel fiume i resti della 62ª Armata. In un primo momento l’attacco sembrò avere successo: i tedeschi si spinsero nel cuore delle residue difese sovietiche al centro, frantumarono la divisione di Ljudnikov, conquistarono una parte della fabbrica Krasnij Oktiabr e raggiunsero per la terza volta le rive del Volga, provocando una ultima crisi nel comando sovietico. Ma, nei giorni seguenti, anche quest’ultima offensiva si esaurì di fronte a nuove gravi perdite, a violenti contrattacchi dei resti della divisione di Ljudnikov e alla capacità di resistenza degli ultimi capisaldi russi. I tentativi di Paulus continuarono ancora per alcuni giorni; il 19 novembre 1942 la 62ª Armata di Čuikov era ormai confinata in tre teste di ponte separate. A nord della fabbrica di trattori quella al comando del colonnello Gorokhov, al centro la piccola sacca di Ljudnikov e a sud il grosso delle truppe di Čujkov a est della Mamaev Kurgan con i resti delle divisioni di Rodmicev, Batjuk, Gurtev e Gorisnij; la profondità massima di terreno occupato dai sovietici era di un chilometro e mezzo e in alcuni punti si riduceva a poche centinaia di metri.
Ma proprio il 19 novembre Paulus, apparentemente vicino alla vittoria, ricevette la sorprendente comunicazione proveniente dal comando del gruppo di Armate di interrompere tutte le azioni offensive a Stalingrado e di disimpegnare forze mobili da impiegare a ovest verso il Don. Era cominciata l’operazione Urano.

Acerbo:”SE MESSINA E’ TERZO MONDO PESCARA E’ DEL QUARTO”

 

pescara

 

 

 

 

 

 

 

 

sento in tv conduttore definire “condizioni da terzo mondo” quelle diMessina senza acqua da 6 giorni. Vorrei ricordare agli smemorati che nell’estate 2007 a Pescara la crisi idrica fu più lunga e la causa non fu una frana ma la chiusura, a seguito di una mia interrogazione parlamentare e di un esposto di WWF e Abruzzo Social Forum, dei pozzi di Campo S. Angelo dai quali veniva emunta dall’Aca spa acqua contaminata da sostanze pericolose per la salite umana.
E’ in corso il processo ad alcuni dei responsabili politici (alcuni hanno scampato il processo penale come l’ex-presidente dell’Aca Di Matteo dichiarando che non leggeva carte e ora è tranquillamente al governo della Regione).
La loro tesi difensiva – leggo sulla stampa – è che non c’era pericolo perchè l’acqua di quei pozzi veniva poi immessa nella rete miscelandola con quella buona che proveniva dall’acquedotto Giardino. Quindi l’inquinamento rientrava nei limiti. Si dà il caso che le indicazioni dell’Istituto di Sanità escludevano la possibilità di miscelare. 500.000 persone hanno bevuto per anni quell’acqua. Se a Messina c’è una situazione da terzo mondo, Pescara è nel quarto?

 

Maurizio Acerbo