L’Aquila, il piano C.A.S.E. e altro

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

Corrono in rete, sulla carta stampata, su vari giornali online e
convegni, analisi e proponimenti intorno alla ricostruzione e alla
presunta rinascita della Città dell’Aquila. Molte di queste analisi, a
mio avviso non fanno i conti con l’attuale momento storico e ignorano
la recente storia di una città che da molto tempo ha sempre espressso
una cultura conservatrice. Pochi e circoscritti i momenti di tensione
e di politiche progressive. Uguale a se stessa e sempre avara e poco
riconoscente nei confronti dei suoi “figli diversi” e controcorrenti.
Nella sua storia recente alcuni soggetti organizzati e non  sono resti
ad ammettere, una sconfitta che appare cgiara e incontrovertibile. Una
sconfitta frutto dei processi di riorganizzazione intorno alla
rendita, intorno “al diritto alla città”. Senza una “verità” su questa
perdita credo non si vada da nessuna parte. La rotta di ieri ha pesato
e pesa enormemente sulle vicende della ricostruzione, e di come è
stato affrontato il cosiddetto piano C.A.S.E. Dentro questa
“modernità” si sta rimodellando il futuro involucro di un vivere che
non avrà nulla a che fare con quanto conosciuto. Già prima del 6
aprile l’Aquila si avviava verso processi di ristrutturazioni che le
grandi città europee e italiane avevano avviato e portato a termine
dagli anni ’80. Un processo strategico dove questa nuova forma di
urbanizzazione stende un ruolo strategico nell’assorbimento delle
eccedenze generate dal processo di accumulazione capitalistica; dove
il mercato capitalistico  ha svolto e svolge tuttora un ruolo
altrettanto centrale nei processi di finanziarizzazione e di
indebitamento privato; continua a costituire un elemento centrale di
polarizzazione della ricchezza e del potere che  è inscritto ormai
nella stessa forma spaziale delle città. In questo senso dentro le
mura si concentrerà ulteriore ricchezza finanziaria e di rendita, un
luogo ulteriormente terziarizzato e “impoverito” urbanisticamente, con
le periferie ad uso e consumo di forme sempre più spinte di
proletarizzazione, impoverimento, appunto diluite, in spazi senza
senso ma ben controllate da infrastrutture fintamente coordinatrici.
Alcune disarticolazioni degli spazi urbani sono funzionali affinche
l’ambiente urbano non possa fungere, da terreno di reistenza ai
processi di privatizzazione della città e dei beni di dominio
pubblici. Tuttavia pare evidente come questi processi siano andati
avanti in forma spedita e violenta ricacciando gli oppositori, divisi
e formalmente poco efficaci nella sola via dell’estetica o sulla
strada sterile, della cosiddetta onestà ed efficacia. Le vicende di
questi giorni evidenziano, qualora ve ne fosse sncora bisogno, come le
minoranze interne al consiglio comunale così come le minoranze interne
alla maggiranza stessa sono prive di prostettive politiche. Certo
possono mettere in campo una manifestazione, una conferenza stampa,
qualche sgambetto ma il punto di vista è del tutto subalterno ad un
potere che pare inafferrabile proteso su una via che non vede
ostacoli. Il viaggiare spediti sulla ricostruzione del cosiddetto asse
centrale suggella la vittoria di una classe politica al servizio di
questo enorme processo di ristrutturazione. Un processo che come
ricordavo, viene dai primi anni ’90, le destinazioni d’uso,
l’urbanistica contrattata il piano del commercio, ecc. sono state
usate come piede di porco per disarticolare una città ancorata alle
sue antiche vestigia. Questa modernità è stata gestita in modo alterno
centro-destra e centro-sinistra una coabitazione perfetta. Stesse
facce stesse politiche. Gli ultimi dieci anni ha visto questa
interpretazione e gestione in mano ad una triade. La stessa che si
prepara ad una futura gestione probabilmente in convivenza. Il
sottosviluppo delle periferie delle frazioni la mortificazione di
quest’ultime ha sempre fatto parte di questo disegno. Per costoro
mercato cordina e prefigura tutto. In realtà i governanti della
vecchia Città-Territorio ha sempre ben indirizzato, canalizzato gli
interessi più appetitosi ed appetibili delle forze economiche, dei
grandi Enti affinchè si moltiplicassero potere e capacità della
finanzopolitica. Basterebbe dare uno sguardo seppur di superficie alla
geografia che questo potere esercit su questo vasto territori per
renderci conto della quadratura del cerchio. Una chiusura ermetica
dove per entrarvi devi passare per le forche caudine di un sistema che
selaziona e include allo stesso tempo. Il terremoto ha dato una
accelerazione potente e con l’aiuto centralistico dello Stato ha
spazzato via qualsiasi residuo di democraticità presente. A ben vedere
la realizzazione del piano abitativo ha riproposto quanto già fatto in
modo violentemente autoritario dal fascismo che con un tratto di penna
spazzò via i comuni limitrofi, affinché si realizzasse il “sogno della
Grande Aquila”. Un territorio sconfinato che va da San Gregorio al
Lago di Provvidenza. Da Collebrincioni fino a toccare i territori di
Lucoli e Tornimparte. Ecco, adesso gestisci i servizi. Scuola,
rifiuti, sanità di base, soprattutto per i vecchi. Dobbiamo morire
prima del dovuto. Niente di nuovo sul fronte occidentale. La “gente”
non doveva rimanere, era giusto che emigrasse. Bisogna correre eseere
più veloci del vicino. La madre terra negli ultimi anni è sempre stata
poco generosa con i propri figli. Per meglio dire il governo di questo
lembo di terra ha preferito che molti emigrassero, magari aprendo le
porte a pochi ma sostanziosi interessi. La Città è già servita. Il suo
delinearsi nel medio futuro è  tracciato. Prendiamo atto che oggi,
come orizzonte c’è solo il tramonto di fuoco alla “Forcella”.

 

Alfonso De Amicis