Per una contro-lettura sulle presunte tangenti della ricostruzione

 

 

De Amicis A.
De Ami

 

 

 

La nostra penisola, semicolonia statunitense ed europea, continua ad essere un
laboratorio mondiale per la sua storia, per la particolare fragilità di
tante sue strutture e per la sua posizione geopolitica.

Recentemente rimbalzano alla cronaca elementi di corruzione e malversazione
nella gestione della cosa “pubblica”: i fatti di mafia capitale, le
vicende intorno
alla realizzazione dell’Expo’ e del “dopo Expo’”, i raggiri per la
costruzione della Tav, le preoccupazioni per le molteplici “grandi opere” ,
attestano che le derive autoritarie sono sempre dietro l’angolo.

Anche le vicende legate alla ricostruzione privata a L’Aquila confermano,
l’intreccio criminoso tra la cosiddetta sfera pubblica e gli interessi
privati. Soprattutto gli interessi privati.

Mentre molti si sperticano nel rilanciare la questione morale e l’onestà
come
capisaldi contro il dilagare della corruzione dimenticando che l’onestà
dovrebbe essere una pre-condizione della politica, i centri nevralgici
del potere
che conta sembrano viaggiare su altre dimensioni, su un pianeta che
pare inafferrabile
e di cui, quello che emerge, è solo la punta di un gigantesco iceberg.

Mentre si convoglia l’attenzione sull’ultima truffa alcuni
rispettabili uomini dei grandi interessi, più
avveduti e avvezzi sui concetti di dominio o di governance di nuovo conio,
ripropongono e realizzano pericolose torsioni autoritarie.

Come a Roma e a Milano, ma prima ancora a Napoli per i rifiuti, con il
terremoto a L’Aquila sono state elaborate le basi per la compiuta
realizzazione dello “stato d’eccezione” ovvero una nuova forma di governo
dove si assottigliano sempre più gli elementi di democrazia, di
partecipazione e di controllo dal basso.

I grandi poteri europei e il governo, attraverso stampa e televisioni,
realizzano
la “governamentalità” che consiste nello spostare l’attenzione dalla fonte
del potere alle modalità del suo esercizio.

Nella sfrenata tendenza di commissariare e “prefettizzare” la democrazia,
le ultime vicende di ruberie e saccheggi sono servite alla costruzione del
necessario consenso per le ulteriori privatizzazioni, e per il progressivo
arretramento dello Stato – inteso come garante del bene collettivo – nelle
funzioni di controllo e di direzione delle attività produttive e
socioeconomiche.
Lo Stato moderno è stato di fatto trasformato, invece, come l’unico
detentore del comando e della forza della repressione (anche se, negli
ultimo tempi si avvalgono della “collaborazione” di strutture private
appositamente reclutate, soprattutto per missioni all’estero. L’Iarq
prima e Piazza Maidan dopo confermano l’esternalizzazione di alcune
operazioni. Risulterebbero troppo compromettenti).

E tuttavia non è un ritorno all’antico. E’ la declinazione moderna del
nuovo assetto ai tempi dei trattati europei e monetari e del tentativo
delle elites europee di formare un super-stato per poter meglio
competere su mercati mondiali.

Da decenni applichiamo politiche privatistiche in tutti i settori; dalle
regole stesse della democrazia alle regole che disciplinano gli
interessi economici
e finanziari. Ma tutto ciò non è servito a rilanciare la cosiddetta
crescita né tanto meno a eliminare la corruzione o a rinsaldare la
democrazia ormai morente. Anzi, proprio nel momento in cui il neoliberismo
trionfava e lo Stato diventava minimalista, il terzo settore e le
cooperative aggredivano e divoravano i settori del sociale. Odevaine,
Carminati e Buzzi sono stati la cartina al tornasole di una criminalità
tutta legata a questo nuovo disordine che ha origine nella pervasività della
privatizzazione più sfrenata. Insomma più privato non ha coinciso in nessuna
delle virtù salvifiche da sempre annunciate.

E mentre ascoltiamo le rituali dichiarazioni tipo “la giustizia faccia il
suo corso …; fino a prova contraria tutti sono innocenti …” che cosa
possiamo augurarci per la nostra città? Più prefetti e commissari o maggiore
democrazia? Democrazia vera! (paradossale dover aggiungere aggettivi o
dover declinare la parola “democrazia”). Inoltre che dire di un sindaco
costretto alle dimissioni senza un dibattito politico in aula consiliare o
di un presidente di regione eletto nonostante fosse indagato e ancora oggi
coinvolto in una clamorosa inchiesta? Vogliamo ancora credere al meccanismo
delle primarie?

Si può andare avanti con sindaci che sempre più somigliano a vecchi podestà
e a sale consiliari simulacri di una società verticalmente classista?

E’ evidente che il grande assente è la Politica. E per politica
intendiamo quella dei “moderni” quella che partendo da interessi di
classe, quindi di parte attraverso il conflitto diventava-per dirla
con Gramsci-interesse generale.

Chi ha in animo un nuovo rinascimento della Politica non può non desiderare
la fine dell’era dei cosiddetti diritti individuali o delle persone
che sono serviti come “piede di porco” per disarticolare tutte le
conquiste del secolo scorso. Quindi occorre ripartire
dai reali bisogni collettivi e di classe, soprattutto di quelle classi che
la semantica del potere ha cancellato dal linguaggio pubblico al solo scopo
di imporre e legittimare un potere sempre più arrogante, feroce e
intoccabile. Soprattutto facendo tesoro che “E’ vero, si è appena nata
al mondo, è già le ombre della prigione si chiudono attorno a noi, e
troppo presto apprendiamo a dimenticare; eppure, quando eravamo appena
nati, serbavamo sicura memoria di altre epoche e di altri luoghi. Ma è
altrettanto vero che quando eravamo in fasce, o ancora ci trascinavamo
a quattro zampe, abbiamo sognato di volare…” Jack London Il
Vagabondo delle Stelle.

 

 Concettina Massimini e Alfonso De Amicis