Guerra sociale e guerra militare caratteri costituenti dell’Unione Europea. I fatti di Parigi e le elezioni in Grecia

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Guerra sociale e guerra militare caratteri costituenti dell’Unione
Europea. I fatti di Parigi e le elezioni in Grecia possono indicare il
cambio di passo in due direzioni diverse.

Documento elaborato dal gruppo di lavoro nazionale di Ross@

C’è un mito che più di ogni altro viene alimentato dalle classi
dirigenti dell’Unione Europea per legittimare le loro politiche:
quello della pace tra gli Stati europei. Certo, dopo la Seconda guerra
mondiale, l’inclusione della Repubblica federale tedesca nella
Comunità mise fine ai conflitti tra Francia e Germania. Ma prima la
guerra fredda e poi, dopo il 1989, il disegno egemonico dell’UE ha
portato guerre sul territorio europeo e interventi militari al di
fuori dell’area UE. Interventi diretti oppure sotto l’ombrello della
Nato (riconosciuta come partner strategico negli stessi Trattati).
Ex-Jugoslavia, Ucraina, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Africa sono
zone dove operano forze militari degli Stati dell’UE, mentre si
accelerano le politiche di armamento comune sotto la guida
dell’Agenzia europea.

Guerra sociale e guerra armata: questi sono i due scenari che
caratterizzano l’UE.

Dopo l’assassinio di giornalisti, civili e poliziotti da parte di
nuclei di terroristi a Parigi, le classi dirigenti europee stanno
perseguendo una nuova edizione di union sacrée basata sui ‘valori
occidentali’ di libertà e giustizia: all’interno, la libertà è quella
di licenziare e di distruggere i diritti sociali di cittadinanza e del
lavoro, immiserendo milioni di persone con le politiche di austerità;
all’esterno, gli interventi militari in Iraq, Siria, Libia, Mali,
stanno disgregando intere comunità, dalle cui macerie emergono i
gruppi armati che in nome dell’Islam perseguono propri obiettivi di
potere. Il risultato è: impoverimento dei popoli europei, milioni di
rifugiati nei campi turchi, giordani e fuga di centinaia di migliaia
di persone verso l’Europa.

In un circuito perverso, le guerre alimentano i profughi, le forze
politiche di destra in Europa alimentano il razzismo e la xenofobia,
le classi dirigenti alimentano la difesa dei ‘valori’ dell’Occidente e
provano a rinsaldare il proprio dominio sfruttando i sentimenti di
solidarietà contro le vittime dei terroristi.

L’Islam è una fede religiosa e come tutte le altre deve godere dei
diritti di libertà religiosa, in pubblico e in privato nel rispetto
delle loro modalità di espressione. Ma non possiamo nasconderci che la
crociata contro il velo in Francia è stato il frutto di una mentalità
coloniale, non certo repubblicana. Lo “scontro di civiltà” è una
politica perseguita dai gruppi dominanti per conservare il proprio
potere, sia nel mondo occidentale sia nel mondo islamico.

Politica di austerità e politiche di guerra sono il marchio del
disegno di dominio del capitalismo europeo, guidato dall’ideologia
neoliberista: mercato, mercato e ancora mercato, perché questo
porterebbe “civiltà e libertà”. La realtà ci dice che porta invece
miseria e oppressione.

Per questo auguriamo a Syriza la vittoria alle prossime elezioni in
Grecia, perché potrebbe bloccare questa perversa politica di austerità
che ha provocato milioni di disoccupati, precarizzato il lavoro,
escluso dai circuiti sociali intere generazioni, tagliato le pensioni
e demolito i diritti sociali della previdenza, della sanità,
dell’educazione. Il programma di Syriza mira a fermare le politiche di
austerità con la richiesta di ristrutturare il debito, far pagare le
tasse ai ricchi (che continuano ad evadere anche nei tempi in cui si
predica solidarietà), introdurre misure di redistribuzione del
reddito. Syriza al governo può essere il sasso nell’ingranaggio delle
politiche economiche dell’UE. Certo, se pensa di appoggiarsi a Mario
Draghi contro la Merkel, proverà una cocente delusione, perché è
proprio la BCE la mente e il braccio operativo delle politiche di
austerità e delle ‘riforme di struttura’, come loro chiamano la
distruzione dei diritti del lavoro e sociali in nome delle libertà
dell’impresa. Non possiamo negare che la classe dominante europea stia
cercando con ogni mezzo di ostacolare, oppure depotenziare, i
possibili cambiamenti in Grecia. L’indipendenza politica e il ripudio
dei diktat della troika diventano così decisivi per indirizzare il
cambiamento in un verso o nell’altro; questa è la responsabilità che
ricade oggi su Syriza. Ci auguriamo che siano forti anche gli antidoti
al pellegrinaggio di cattivi consiglieri in viaggio dall’Italia verso
la Grecia.

In Italia, così come in Francia e in altri paesi europei, le classi
dirigenti – politica, industria e finanza – continuano indisturbate la
loro opera di distruzione delle conquiste democratiche e sociali. Il
Jobs act italiano è solo l’ultima delle misure, peraltro già operanti
in altri paesi: si va costruendo un mercato del lavoro europeo
dominato dalle politiche della flexsecurity, che significa il dominio
assoluto dei padroni nell’uso della forza lavoro. A livello sociale,
in tutti i paesi UE sono state abbassate le pensioni e innalzata l’età
pensionabile, i processi di privatizzazione hanno coinvolto anche i
servizi pubblici e i beni comuni, come l’acqua. Nonostante questa
ferocia della lotta di classe dall’alto, ancora stenta a nascere una
risposta diffusa, di massa, contro queste politiche. Qui danoi
agiscono negativamente: il sistema di potere PD, architrave delle
politiche di austerità; i sindacati ufficiali che hanno accettato di
scambiare diritti, salari e pensioni con il loro potere di
rappresentanza al tavolo della concertazione; la Cgil, che ha mimato
una qualche opposizione al Jobs act solo con la speranza di essere
chiamata di nuovo a concertare le misure per introdurre la
flessibilità in uscita, così come aveva fatto con la “riforma
Fornero”.

Ma non possiamo nascondere le nostre responsabilità, la nostra
inadeguatezza a sostenere, promuovere, consolidare i conflitti sociali
all’altezza della posta in gioco. Responsabilità nostre ma – nelle
dovute proporzioni e storie – soprattutto delle forze politiche. Sel
continua a ruotare intorno al PD e alle sue correnti, persistendo nel
partecipare ai riti delle primarie e legittimando così la politica del
PD. Rifondazione Comunista è contro il PD, ma continua a sostenere le
amministrazioni di centrosinistra nella speranza di conservare o
recuperare una qualche rappresentanza istituzionale. La lista Tsipras,
che ambisce di vivere della luce riflessa da Atene, è stata il
salvagente di Sel e Prc per superare lo sbarramento del 4%, senza però
avere la capacità di innescare un mutamento delle pratiche politiche.
Ora Cofferati viene lanciato da Landini come il federatore della
sinistra: sulla scena, insomma, sempre gli stessi personaggi di area
PD. Cofferati si trasforma da sindacalista in sindaco, poi in
europarlamentare, in competitore alla carica di segretario regionale
in Liguria e infine in candidato alla carica di presidente della
Regione, per vestire ora i panni di salvatore della sinistra. È sempre
lo stesso ceto politico che occupa la ribalta.

La ‘sinistra diffusa’ e antagonista è adagiata in vecchie politiche
identitarie e autoreferenziali, rifiutando ipotesi di ricomposizione,
indipendenti e durature, che vadano oltre le singole scadenze. E
troppo spesso, in alcuni suoi ambiti, si presta orecchio al “richiamo
della foresta” proveniente dalle correnti in lotta dentro il PD.

La ‘lezione’ che ci viene da Podemos e Syriza è quella che si può
anche andare oltre i ceti politici della vecchia sinistra per
sostenere forze e movimenti sociali conflittuali, dai quali soltanto
può nascere un soggetto politico effettivamente rappresentativo,
alternativo al sistema di potere PD e al capitalismo italiano, ormai
saldamente integrato in quello europeo.

Ross@ intende mettere a disposizione e perseguire proprio questo
progetto di ricomposizione, basato sulla rottura con le regole e i
vincoli imposti dagli apparati e dagli interessi dell’avversario di
classe, e sull’unità tra coloro che perseguono con coerenza ipotesi ad
essi antagonisti e alternativi.