La Crisi Panacea per i Ricchi.

 

alfons

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Italia è un paese, frantumato, polverizzato, ridotto a pura entità
geografica. Un paese da spolpare. Negli ultimi sette anni(7) il famoso
PIL è arretrato del 12% ma nel frattempo si stanno svendendo tutte le
principali aziende. Tempo qualche anno e ci avvieremo verso la
tragicommedia della vendita, magari del Colosseo, della Fontana di
Trevi, di Pompei e via di questo passo.La crisi taglia posti di
lavoro, salari, pensioni, riduce gli spazi di socialità e sapere. In
questi anni abbiamo assistito alla distruzione della scuola pubblica,
prima con la riduzione costante dei finanziamenti e poi con una
rinvigorita svalorizzazione del ruolo degli insegnanti. Viaggiamo
spediti verso la privatizzazione della Sanità Pubblica e
Universalistica ma il debito pubblico vola sempre più in alto. Un
paese in declino e sempre più povero. Una Patria senza qualità.
Tuttavia la crisi non esiste per tutti. I ricchi sfruttando la loro
posizione strategica, fanno affari, proprio quando essa si fa più
feroce e devastante. Questi pochi “fortunati”, dal 2008 hanno
notevolmente aumentato la propria ricchezza. Federico Fubini sul
quotidiano Repubblica ci indica i paperon dei paperoni che
giornalmente praticano “Il Gratta e Vinci”: Del Vecchio, Ferrero,
Berlusconi, Armani, Caltagirone ecc. I dati sono stati snocciolati e
resi disponibili dal rapporto che annualmente viene pubblicato dalla
Banca d’Italia. Bisognerebbe secretarli? Forse, perché simili numeri,
cosi crudeli, efferati,. potrebbero fomentare l’odio di classe. Una
domanda sorge spontanea, ma queste famiglie stanno forse facendo
beneficienza ai loro concittadini? Si mostrano affini verso una più
equa redistribuzione del prodotto interno lordo? La realtà ci mostra
una Italia diseguale con i poveri sempre più poveri e quelli che
stanno in alto sempre più ricchi. Contemporaneamente il governo a
conduzione democratica è impegnato nell’approvazione dell’Italicum
(insieme al cavaliere sempre più ricco) all’abolizione del Senato
all’abolizione delle Provincie, costoro lo fanno in nome di una non
ben precisata lotta alla corruzzione ed alla riduzione del costo della
politica. Ai più avveduti pare un ridisegno autoritario del sistema
istituzionale, preventivo nei confronti di possibili forti
sollevazioni dovute ad una grave situazione depressiva e deflattiva.
Tutti parlano ma a quanto pare nessuno è in grado di indicare
plausubili vie d’uscita da una crisi cupa e assoluta molto più
pericolosa di quella del’29.

 

Alfonso De Amicis