“Sull’Europa e l’Euro”: analisi e proposta politica di Ross@

rossa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’analisi e la sintesi politica che Ross@ di seguito propone, muove dalla
propria riflessione sul tema Europa e unione monetaria. Non è nelle
intenzioni di Ross@ fare della semplice “politica culturale”, ma ritiene
che ragionare su questi temi sia già in sé un atto politico fondamentale e
necessario. L’angolo prospettico scelto ribadisce la centralità della
“questione europea” e del superamento del sistema di governance incarnato
nell’UE, come elemento chiave di una politica di emancipazione, che
contraddistingua una reale forza di sinistra e anticapitalista. Il
presupposto del ragionamento contenuto nella proposta ruota attorno al tema
della “*rottura e dell’unità*”.

*2. Teoria e forma della governance dell’unione europea: verso una nuova
forma stato.*

*Situazione*

La costruzione europea è un progetto di lungo periodo, databile almeno a
partire dalla fine della seconda guerra mondiale[1]
e di cui solo
ora incominciamo ad intravvedere la sua compiuta forma. Le prime comunità
europee traggono origine, infatti, da una precisa ideologia,
*l’ordoliberalismo[2], che pone come
principio cardine la costruzione di uno stato regolatore, basato sulla
tutela del principio di concorrenza a la salvaguardia del libero mercato. Si
tratta di una dottrina e di un’ideologia, che considera lo stato di diritto
come elemento formalizzante delle regole del gioco economico, in cui gli
unici veri attori sono i singoli, considerati come individui o imprese.

Altro elemento cardine della costruzione europea è rintracciabile nel
*funzionalismo[3] Si antepone
così la “funzione”, alla ragion di stato e alla sovranità democraticamente
intesa. Sovrana diventa la funzione, il “come si decide” (la pura gestione
di un settore in senso tecnico) e non il “chi decide”, il “perché si
decide”, verso quale direzione, a favore di quale soggetto sociale ecc. La
dimensione funzionale, tuttavia, non è mai neutra, ma è sempre a favore del
grande capitale.

*L’Unione europea *che si è venuta a creare *non è né un super stato né una
federazione,* ma piuttosto una *super struttura parastatale*,
contenente il *”con”,
il “fra” e l'”oltre”* gli stati. Una struttura che tiene insieme residuali
pezzi di classica forma stato (“con”), facendoli interagire (“fra”), ma che
allo stesso tempo è capace di creare un nuovo ordine integrato al mercato
(“oltre”). *Una struttura di “governance” multilivello: *locale, nazionale
e sovranazionale; in Italia attualmente incarnata dal Partito Democratico e
dal sistema ad esso legato.

*Sintesi e proposta politica**:*

La questione della riformabilità di questa architettura, per come sopra
descritta, è un’arma spuntata, perché la sua capacità trasformativa è già
inscritta nel sistema stesso che la costituisce: dinamicità, adattabilità
al sistema capitalistico. Per lo stesso motivo non sussiste la
possibilità di riformabilità in senso democratico ed occorre affermare
una *politica
di* *rovesciamento dell’intero sistema*:

“*Rottura con l’Unione Europea*”.

Rottura che ha la valenza di “*campo strategico*” e di “*leva contingente*”.
Questa leva si deve articolare su un piano che non sia subordinato
necessariamente a soluzioni e scenari aprioristicamente precostituiti
(ritorno alla nazione, area mediterranea, generico internazionalismo,
Europa dei popoli, ecc.).

“*Rottura con il sistema PD*”

Il PD è da considerarsi come “partito di governance”. Il renzismo é
espressione congiunturale di questo modello e non semplice partito-persona,
“premierato assoluto” o epifenomeno del berlusconismo ecc. *Il problema è
il PD e il suo sistema, non Renzi*. Con la parola sistema non si vuole
identificare solamente un’organizzazione partitica, ma tutta la sua
ramificazione in ambito sociale, culturale ed economico.

*3. L’esercizio della governance: trattati, dispositivi e nuovi apparati*

*Situazione*

*L’impianto precedentemente esposto ha trovato esecuzione in un preciso
ordinamento giuridico che si concretizza con il sistema dei trattati*. La
nozione di trattato in ambito europeo ha assunto un significato peculiare:
non si tratta di un semplice accordo internazionale tra stati, ma di un *atto
giuridico ibrido che ha valore costituzionale*. In questo senso i trattati
europei, pur non essendo ascrivibili al modello della carta costituzionale
in senso “classico”, producono tuttavia un diritto vincolante per gli stati
membri, dotato di un primato sul loro diritto interno.

*Si tratta di un sistema neo-costituzionale multilivello, che ingloba le
costituzioni nazionali e al tempo stesso le modifica*. Si può quindi a
ragione, parlare di una costituzione senza stato oltre che di una
costituzione senza popolo. Nonostante l’Unione Europea faccia meno di
questi due riferimenti (stato-popolo) – per questo essa non è definibile
come un super stato – non rinuncia tuttavia a formare un *ordine ideologico*
(individualismo, libero mercato, concorrenza, atomizzazione della società,
ecc.); dotato anche di *apparati *(per es. la rete di agenzie tecniche
chiamate a coadiuvare il processo legislativo.

In questo nuovo quadro giuridico normativo è stato inserito *l’Euro come
parte integrante e non disgiunta dei trattati (*piano Werner, controllo dei
tassi di cambio tra stati membri dell’unione, SME -Sistema monetario
europeo – e successivamente, con la creazione della BCE, in vera e propria
unione monetaria). *La creazione dell’Euro accompagna, quindi, il processo
stesso di integrazione europea e l’evoluzione stessa dei trattati*.

*Sintesi e proposta politica*

Visto quindi il carattere sui generis della costruzione comunitaria e la
particolare natura appena esposta dei trattati europei, occorre porre con
forza il *principio della forzatura e rottura dei trattati*, come *elemento
prioritario di lotta politica*, superando le limitazioni settoriali e
mirando al *loro intero impianto*.

Come portare avanti questa lotta? Sicuramente attraverso battaglie
costituzionali e referendarie che mettono in discussione indirettamente
l’impianto dei trattati e rimettono al centro l’elemento di sovranità
democratica.

Ci basta questo? No. Cominciamo ad affermare che un trattato regolante
tutta la vita economica e occupazionale di un paese o di una regione non
può essere definito semplicemente come trattato internazionale in termini
classici. *Concretamente non si dovrebbe parlare solo del ripristino di
diritti perduti, ma proporre anche un avanzamento verso nuovi principi
giuridici, come la pronuncia popolare sui trattati.*

*4. Capitalismo finanziario, debitocrazia e unione monetaria: l’euro come
strumento politico della governance*

*Situazione*

Con il 2008 ad entrare in crisi* non è semplicemente il neoliberismo, ma un
sistema in cui lo stato era sussunto nella finanza stessa*. In questa fase
il sostegno della domanda aggregata viene generata da un continuo
incremento del *debito privato* che sussume direttamente il lavoro, il
risparmio da lavoro e il debito pubblico, grazie ai processi finanziari
globali [4].
Attualmente si potrebbe avanzare l’ipotesi che sia in atto un movimento di ”
*definanziarizzazione*”[5], che
contrariamente a quanto il termine potrebbe suggerire circa un ritorno
all’economia reale, indica piuttosto il punto di intervento delle politiche
capitalistiche per attrezzarsi ad una risegmentazione dei mercati da un
lato, e dall’altro, ridurre la bolla creata dalla speculazione finanziaria
introducendo valore reale che si traduce in perdita di posti di lavoro e
perdita del welfare.

Tale nuovo processo non produce un’omogeneità globalizzata e
deterritorializzata, ma si configura nella *formazione di nuovi
blocchi (*barriere,
nuove frontiere, trattati per la creazione di aree di libero scambio, come
il *TTIP*, TPP, TISA, ecc). Emergono nuove aggregazioni geopolitiche (per
es. *BRICS*).

In questo quadro generale si inserisce l*’Euro*, come strumento di
controllo sempre più stretto sulle politiche di bilancio nazionali, sia
nella fase di finanziarizzazione (indebolimento delle monete nazionali e
concorrenza monetaria con il dollaro), che in quella attuale di
definanziarizzazione. La logica della debitocrazia perdura anche con le
recenti riforme e la manovra della BCE definita “Quantitative easing”,
volute da Mario Draghi[6].

Gli elementi di segmentarizzazione dei mercati sono presenti all’interno
della stessa UE, con processi di concentrazione di capitale in alcune aree
(Germania e nord Europa, paesi “core”) determinando al contrario, delle
aree sempre più impoverite (mezzogiornificazione europea[7] come nei paesi
mediterranei (PIGS).

Va sottolineato, infine, lo stretto legame tra l’Euro e l’ordinamento
giuridico europeo (diritto primario – i trattati – e diritto derivato –
regolamenti, direttive, comunicazioni ecc .) a cui sono stati attribuiti un
primato e un’autonomia sul diritto interno nazionale, grazie soprattutto
all’attività interpretativa della Corte di Giustizia dell’UE.

*Sintesi e proposta politica*

Essendo l’*Euro anche uno strumento di governo *e, dunque, intrinsecamente
politico, non relegabile alla mera sfera economica, *diviene prioritario
assumere una posizione definita considerandolo come l’elemento centrale,
insieme ai trattati, della battaglia politica*. *L’euro, quindi, non è
disgiungibile dall’intero impianto di governance e quindi dai trattati
fondativi dell’UE.*

*”Rottura con l’Euro”.*

Va innanzitutto ricordato che sia nel caso dell’uscita (unilaterale o
coordinata che sia), sia nell’ipotesi della permanenza nell’Unione, sempre
di “lacrime e sangue” si tratta. Non ci sono quindi soluzioni
tranquillizzanti o magicamente risolutive. Però, *assumere la battaglia
politica della rottura con l’Euro*, rappresenta un punto di precipitazione
in grado di sviluppare una consapevolezza su cosa sia l’impianto europeo e
aprire le necessarie contraddizioni per il suo superamento. È inevitabile
porsi la domanda di come qualificare il termine “rottura con l’Euro”. Esso
ha una valenza se viene inteso come un “*campo strategico*” e come “*leva
contingente*”, *unitamente del rovesciamento del sistema dei trattati*. I
due ambiti non possono essere disgiunti.

*5. Geopolitica e imperialismo*

*Situazione*

L’Unione Europea si potrebbe definire come un “*imperialismo multilivello*”.
L’UE, infatti, non è un imperialismo compatto, ma risente delle dimensioni
nazionali. Ha la capacità di mantenere un rapporto contraddittorio tra la
dimensione UE-NATO e le politiche imperialiste egemoniche nazionali, in
alcuni casi contrastano con essa. Non si può ritenere, come molti danno già
per scontato, che l’imperialismo USA sia morente, anzi occorre considerare
che a livello globale *l’UE costituisce un supporto alle azioni militari a
stelle e strisce*, soprattutto in riferimento al processo di
globalizzazione della NATO e del suo allargamento ad Est e Sud-Est e alle
politiche di allargamento della stessa UE ai paesi dell’Europa
orientale. *Tutto
questo contestualizzato nelle tendenze deglobalizzanti e di risegmentazione
geopolitica che accompagna quella economica*.

*Sintesi e proposta politica*

Cruciale in questa dinamica è porre con forza l’esigenza di uscire dal
patto atlantico sia come nazione, sia come Europa, considerando nuove
strategie di alleanze che guardino al bacino mediterraneo e all’Asia.

*”Fuori l’Italia e l’Europa dalla NATO, fuori la NATO dall’Italia e
dall’Europa”*.

Inoltre, si devono appoggiare tutte quelle lotte che rappresentano
l’opposizione a questa logica imperialista, come per esempio: la *resistenza
nel Donbass, la resistenza palestinese*, ecc. In questa fase occorre
opporsi anche ai trattati di tipo commerciale, vedi TTIP, perché se pur
contestualizzati economicamente e politicamente nella logica ordoliberale e
funzionalista, sono portatori di aspetti imperialistici USA e che non fanno
altro che accentuare l’aspetto neoliberista dalla UE a discapito delle
fasce sociali più deboli (lavoratori, precari, migranti, ecc.). “*STOP TTI I
primi progetti di cooperazione fra gli stati europei risalgono, infatti, al
piano Marshall per la gestione dei fondi (ERP) degli USA, destinati
all’Europa, l’OECE (Organizzazione per la gestione della ricostruzione
economica degli stati europei), il Congresso dell’Aja (1948) da cui nacque
il Consiglio d’Europa, l’organizzazione internazionale per la tutela dei
diritti umani, ecc

 ROSS@ L’AQUILA

De Amicis: Usi civici opportunità di lavoro

alfonso

 

 

 

 

 

Le terre pubbliche, le terre gravate da Uso Civico potrebbero rappresentare una ocassione, un elemento certo di lavoro. La regione Umbria ed in forma diversa la regione Lazio si sono dotate di strumenti legislativi e regolamentari affinchè l’agricoltura e tutto il sistema silvo pastorale, messo a disposizioni di singoli giovani o “imprenditori” compresi tra i 18 e i 39 anni possa rappresentare un momento importante alla crisi sociale ed occupazionale che attanaglia l’intero paese.

Le terre non possono rimanere incolte, sono una risorsa preziosa: si può costruire una nuova economia che crea lavoro e sviluppo e difende l’ambiente. I terreni possono essere concessi in affitto per un periodo di 15 anni con la possibilità di rinnovo dell’accordo per altri 15 anni. In questo modo sarà possibile rigenerare terre che altrimenti resterebbero incolte regalando nuove possibilità di lavoro.

Non capisco il motivo per cui anche qui da noi non ci si possa e debba dotare di una legge organica in materia. Ciò costituirebbe una riconquista della civiltà contadina, e metterebbe una pietra tombale alla demagogia imperante in tema di demanialità e conservazione del territorio.

 

Alfonso De Amicis Ross@ L’Aquila

 

Ross@ L’Aquila:Cupi orizzonti

rossa

 

 

 

 

 

 

 

 

Le elezioni europee si svolgono dentro cupi orizzonti. Devastazioni, macerie economiche, sociali e politiche sono sotto i nostri occhi. Oggi assistiamo all’avventurismo delle elites europee dietro il declinante imperialismo americano nella “terra di Mezzo” dell’Ucraina. Un intervento che, non pare aver prodotto le aspirazioni iniziali dei dottor “Stranamore”. Anzi UE e Nato nel loro balbettio possono diventare più pericolosi.

Nel frattempo alimentano come in Ucraina l’aggressione alla democrazia Venezuelana. Crisi economica, finanziaria e gopolitica si fondono esplosivamente, e tuttavia pare non interessare le vicende elettorali e politiche, se non come cronaca. Eppure, nei racconti letterari, storici, vengono giù, giudizi sull’Europa, che fanno rabbrividire. Beck, Bauman e Habermas, insistono sulla crisi “epocale”. Mentre Heisbourg decreta la fine di un sogno, Bifo parla di collasso, Amoroso di fallimento, Bellofiore scorge la “barbarie che avanza”, Vladimiro Giacché sostiene che stiamo ballando sul Titanic. Sui fondali più cupi Pisani-Ferry parla di risveglio dei demoni. Qualche giorno fa è scomparso uno degli economisti più originali e autorevoli dell’Italia contemporanea, Augusto Graziani.

Egli uno dei suo saggi più conosciuti, di venti anni orsono, metteva in guardia circa l’adozione della moneta unica, l’euro. L’euro così come pensato e attuato lo analizzava e lovedeva, come strumento di disequilibrio, che avrebbe favorito le economie a conduzione germanica a danno dei paesi cosiddetti piigs. Ne denunciava il carattere autoritario, perché sganciato da ogni controllo democratico, contraddittorio perchè aveva ed ha la pretesa di unire economie fortemente diseguali. La moneta è nata insomma per sostenere le economie del nord e per intraprendere una guerra monetaria di tipo imperialista nei confronti del dollaro e delle altre monete continentali. L’euro unitamente alle politiche di austerità sta assolvendo al compito per cui è nato. Guerra commerciale all’esterno ristrutturazione sociale e politica nelle singole nazioni.

L’austerità espansiva e la crisi, sono diventate forme perenni di governo. La soluzione del problema è rimandato ad un futuro incerto. La luce in fondo al tunnel semplicemente con c’è. Non avendo soluzioni e non potendo più promettere scalate sociali, questo neoliberalismo evoca nuove forme di totalitarismo. In questa fase storica con questo paradigma il capitalismo sta ormai divorziando dal concetto stesso di democrazia. Quindi qualche interrogativo sorge, invece sull’apparato analalitico che oggi sorregge sulle sorti delle elezioni e sulla possibilità che esse possano riqualificare un’Europa che invece viaggia su altri binari. Ma soprattutto in questi scenari la lista Tsipras con il suo riformismo e la sua “democrazia comunitaria” e localista può essere un argine all’orda del neoliberalismo? Insomma può uno scoglio arginare il mare? Mi pare di capire che questo tentativo sia sull’ordine del fallimento politico, così come l’anno scorso lo è stato la lista di Rivoluzione Civile con a capo Ingroia. Oggi al posto del magistrato abbiamo i professori.

 

Alfonso De Amicis di ROSS@ L’ Aquila

ROSS@ non darà sostegno alla lista Tsipras.

rossa
















ROSS@ non darà sostegno alla lista Tsipras. Non non ci identifichiamo
collettivamente con questa lista. Essa fondamentalmente è una lista
civica sostenuta da diversi partiti. Noto che tra i promotori della
lista c'è SEL. Vorrei ma non posso. Come nel vecchio refrain
stalinista il tatticismo esaperato diventa il solo orizzonte
possibile. Succubi di poteri nazionali e sovranazionali cercano una
salvezza dentro la lista "Con Tsipras per un'Altra Europa". Cosi come
riteniamo schizzofrenica la posizione del PRC nei confronti
delcentrosinistra. L'appoggio dato al candidato sardo del PD ha
colpito negativamente. Hanno sostenuto uno che ha fatto dichiarazioni
di fuoco sull'art.18. Una caposaldo di democarzia e civilta giuridica.
Non un fatto secondario. In sostanza, tre sono gli elementi di critica
che ci differenziano da queste forze ibride. Il primo riguarda
L'Europa, il secondo i contenuti della battaglia in Italia, e il terzo
lo schieramento che in Italia lo sostiene. E' evidente che noi ci
rendiamo conto dei contenuti della lista Tsipras  rispestto a Shultz.
Questa lista italiana è sempre dentro a quella idea tutta nostrana per
cui ci si unisce per raggiungere il quorum, ma con una mancanza totale
di un progetto comune. Non c'è una chiara rottura nei confronti del
centrosinistra, che tra l'altro in Italia è l'architrave delle
politiche di austerità e del fiscal compact. Il PD è un avversario a
tutto campo. Esso va combattuto è sconfitto. Non ha alcuna forma e
sostanza sia pur minima che corrisponda al sostantivo "SINISTRA". Si
vorrebbe creare SYRIZA ma non c'è la più pallida idea e volontà nel
procedere verso questa direzione. Tuttavia quello che ci divide in
modo sostanziale è il giudizio sull'Europa, sull'euro sul ruolo della
troika verso i popoli europei e soprattutto verso i paesi considerati
PIIGS. Uno dei punti cardini della coalizione è quella di rimettere in
discussione  l'austerità e proporre ciò attraverso una conferenza
europea che dimezzi il debito. Questa mossa avrebbe poco spazio. La
Germania la farebbe immediatamente fallire. Molti paesi lo sanno, che
il debito può essere ristrutturato ma solo incambio della chiusura
degli ospedali e dell'intero stato sociale. E' una pia illusione
quella di sedersi su un tavolo che non c'è. Oggi l'Europa reale è
quella della tecnocrazia politica e finanziaria che impone le
politiche liberiste in totale accordo con governi di centrodestra e
centrosinistra. Se si vuole cambiare bisogna rovesciare il tavole e
rompere con queste politiche. Bisogna rompere con i trattati e con
l'euro. Per questo motivo abbiamo indetto con altre forze sociali,
centri sociali la mobilitazione per il giorno 12 aprile contro
l'Europa della TROIKA. Bisogna rompere la macchina e disdire i
trattati. Bisogna smetterla di avere il tabù dell'euro. La sinistra
europea ha già fatto un grossolano errore nel non adottare il piano
Lafontaine della Linke tedesca. Egli proponeva, non il ritorno qua e
la alle monete nazionali, ma la messa in discussione dell'euro ovunque
e quindi non la moneta unica ma una moneta comune. Tutta la la
costruzione liberista deve essere messa in discussione e per farlo non
si può non avere la sovranità democratica sulla moneta. Noi la
chiamiamo condizione necessaria ma non sufficiente. Oggi la BCE è una
banca di mercato che sulla base dello spread amministra la nostra
economia. Bisogna distruggere le politiche liberiste e liberali che da
trenta anni dominano nel nostro continente. Bisogna ripubblicizzare
tutte le scelte economiche. Quindi tutto il sistema bancario va
nazionalizzato per finanziare politiche di UGUAGLIANZA sociale e piena
occupazione. Sappiamo bene che è una soluzione difficile e
controcorrente, ma essa è, rappresenta una soluzione. Una soluzione
progressivamente si sinistra. Quella più mediaticamente popolare di
democratizzare l'Europa delle banche lasciando l'euro e trattati
appare più raggiungibile ma tuttavia non risolve nulla. Chiudo con
quanto scritto da Emiliano Brancaccio  sul sul suo Blog dal titolo
"Sono onorato per gli appelli ma non mi candido". "... è inutile
negarlo, Alexisis Tsipras è in una posizione delicata. Per molte
ragioni, non ultima la sua possibile ascesa al governo della Grecia,
egli potrebbe essere indotto a tenere la sua dialettica rigidamente
confinata nei limiti angusti di una incondizionata fedelta all'euro.
Se cosi fosse, il perimetro della sua azione potrebbe restringersi al
punto da soffocare l'indubbia forza attrattiva della sua candidatura
alla presidenza della commissione europea. Eppure nel testo di
investitura, egli ha scritto che " L'Unione Europea sarà democratica o
cesserà di esistere. E per noi, la Democrazia non è negoziabile". La
Democrazia per l'appunto: non la moneta unica, né il mercato unico
europeo.Sarebbe un dato interessante se Tsipras centrasse la sua
campagna su queste due parole. La lista italiana e le altre forze
europee che le sostengono ne traebbero notevole vantaggio. E le
possibilità di anticipare gattopardi e ultranazionalisti
aumenterebbero. Staremo a vedere"
In aquilano verrebbe da dire "ci sinti, fra'"

   per ROSS@ L'AQUILA Alfonso De Amicis

Ma L’Aquila ha una dimensione nazionale?

rossa

















Da due anni siamo nel paradigma di quella che Giorgio Agamben chiama il
governo della crisi permanente. A colpi di spread hanno prima allontanato
dal governo Silvio Berlusconi e poi determinato due esecutivi non
direttamente espressione di elezioni politiche. Con il 2014 e l'investitura
di Renzi a segretario del PD entra nel vivo la lotta tra i poteri del
capitalismo italiano, per arginare e superare la perdurante crisi.
Ricomporsi e salvarsi. Salvarsi dentro la cornice di una Europa a
conduzione tedesca. Una direzione mercantilistica che tramite
l'euro cerca di vincere sullo scenario globale il braccio di ferro con
le altre monete. Una guerra imperiale permanente e senza soste. La Germania
aveva bisogno di un suo retroterra spaziale e lo ha trovato prima nella
"sua" Germania Est e poi nei cosiddetti paesi PIIGS. Le lobbies politiche,
finanziarie e, imprenditoriali italiane nella loro infinita miopia storica
vanno a rimorchio della locomotiva teutonica. Vedono la propria e l'altrui
salvezza nella follia dell'austerità espansiva. Dentro queste
trasformazioni c'è una ridefinizione dei rapporti di potere nel nostro
paese tra
diversi gruppi, tendenze politiche. Essa vede da una parte Napolitano e
Letta e le politiche di stabilità sorrette dalle ricette di Mario Draghi.
Dall'altra Renzi e i suoi finanziatori, la finanza e l'imprenditoria di
nuovo conio, con dentro una sfrenata voglia di "cambiamento, senza
confini". Una crisi al buio, profonda e con ricette approssimative e senza
prospettive. Le vecchie prescrizioni non soddisfano e nella certezza della
profondità della depressione in atto qualcuno reclama coraggio di osare
piuttosto che adagiarsi in formule preparate, senza stimoli. Infatti
Renzi dalla
Lepolda di Firenze, patria della bellezza afferma "Ci mettiamo in gioco
perché pensiamo giusto che l'Italia recuperi il proprio rulo nel mondo"
(quale? Non lo dice, per cui qualsiasi argomento è buono. L'Azzardo come
metodo. Il tempo deve essere percorso velocemente come si addice ad
una modernità
senza solidità. Nella sua prolusione di sostanza e propaganda , trova
giusto dare vita ad un partito, alla moda, leggero, soft, che si regge
sulla figura di un leader, a vocazione maggioritaria: questa posizione
postula un sistema politico partitico all'americana dove lo scontro
politico si impernia su due partiti apparentemente diversi ma
sostanzialmente simili. Osservo e cerco di comprendere la situazione
aquilana usando lenti di ingrandimento che guardino anche alle dinamiche
nazionali ed europee. In tal caso non c'è dubbio che la vicenda di Cialente
riassume in se il tentativo, riuscito, di convogliare l'attenzione sulla
sua persona, ricompattare la sua maggioranza spiazzare le opposizioni,
usare tutte le armi della propaganda.Il coraggio di volgere contro
corrente(non vero? poco importa), lingaggio sintetito, affabulatorio poco
più che cinquettii, come nei socila networks. Non a caso ha affidato molto
delle sua comunicazione su facebook. Ma attenzione dietro questa capacità di
distrazione di massa c'è la rappresentanza dei poteri politici nazionali e
locali. Andare allo scontro su un paradigma politico basato
sulla moralità e aspetti legati alla legalità, sganciati dalla complessità
in atto si finisce divorati e votati alla inconsistenza politica. Quello
che è successo in questi giorni ha avuto la sua premessa nella metà di
ottobre quandò il PD locale andò alla guerra contro il partito
regionale e nazionale e quindi contro il governo Letta: argomento
l'insufficienza del fondi per la ricostruzione. Bizze politiche,
capricci di qualche leaderino locale che in fase di profonda
trasformazione dei gruppi dirigenti sgomita per arrivare qualche piano
più su? Può anche essere ci sarà anche del vero. Ha una importanza
relativa. Sarebbe il caso di indagare circa un'altra dinamica, quella
del leghismo piddino. L'ultimo partito nazionale in via di profonda
trasformazione sulle spinta schizzoide del giovane rottamatore. Ma
nonostante la trasformazione in senso sempre più verticale è sempre il
partito del fiscal compact, il partito più "europeo" d'Europa.
L'imposizione del pareggio di bilancio è per questo agglomerato
politico, una religione. Ma le restrizioni finanziarie, i continui
tagli alla spesa comporta una guerra continua con le comunità
locali.Questa tenaglia comincia a mostrare la corda e L'Aquila è una
delle più evidenti contraddizioni di queste politiche regressive.
Forse neanche l'abilità oratoria di Renzi, i grandi appoggi finanziari
e mediatici riusciranno a tenere insieme il leghismo piddino. Il
partito nazional-europeo sarà sicuramente attraversato da spasmi
atroci, di guerre interne, di amministratori incapaci di intercettare
qualche spicciolo anche quando gli amici stanno al governo. La crisi
acuta animerà sempre più una guerra tra poveri, frantumando socialità
e comunità locali. Viene da chiedere ai piddini locali, regionali e
nazionali, perché avete detto si al fiscal compact? L'avete messo in
Costituzione. A cosa pensavate quando l'avete fatto? Eppure il
terremoto all'epoca già c'era stato. Trovo che tutte le polemiche sono
sapientemente veicolate per distogliere l'attenzione sul perché non
vengono stanziati i fondi necessari.Rendere evidente e strutturale
quello che non lo è. Ed anche in vitù di questa situazione che risulta
sempre più attuale quanto postulato da Agamben. La crisi come ricatto,
come rimando continuo della soluzione, sempre sospesi. Per cui mi pare
di poter dire che vi sia continuità di potere tra quello della
protezione civile e quella che a noi pare la normalità amministrativa.
Questo è l'articolato delle nuove forme di potere. Fermarsi al primo
sgurado senza fare i conti con il "Leviatano" europeo vuol dire
consegnarsi al lamento alla stantia litania dell'aquilanità Rompere il
patto di stabilità interno ed europeo è la via maestra. La prossima
primavera tutti a Roma per dire no alle politiche che stanno
devastanto lavoratori, giovani, precari, ed impediscono la
ricostruzione di una delle tante città storiche d'italia.

Ross@ L’Aquila:UN RIFORMISMO IMPOSSIBILE

rossa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Ross@ L’Aquila

 

Lo stato di eccezione e la crisi sono stati (ma ancora continuano ad essere) arma di ricatto e/o di controllo sulle popolazioni tale da consentire la costruzione del consenso e la giustificazione di qualunque scelta. In pratica rendere strutturale lo stato di emergenza. In questo senso oggi possiamo affermare che le crisi, qualunque tipo di crisi,  sono diventate un metodo di governo e strumento di conservazione del potere attraverso il mantenimento di una condizione di sospensione e di precarietà collettiva senza mai prospettare una soluzione.

Dunque la crisi senza fine come  meccanismo di trasformazione nei rapporti di potere e nelle relazioni di dominio.
All’Aquila la crisi economica e del debito si è legata allo stato di eccezione post-sisma ed il potere autoritario si è manifestato con maggiore evidenza obbedendo a due logiche precise: 1. ai rumori di una crisi finanziaria globale ed incombente e 2. alle esigenze di consenso e di appagamento affaristico dei ceti dominanti italiani.
Una massima di Nietzche recita: “Non esistono fatti ma solo interpretazioni”. Su questo postulato il potere commissariale, stabilitosi a L’Aquila dopo il sisma, ha costruito il suo racconto e la sua verità. Inoltre ha costruito la necessità dello “stato d’eccezione” modulandolo su un preciso mondo di interessi tramite una ideologia  dove il comando e il controllo sono stati l’espressione cangiante del potere commissariale in cui l’elemento di controllo era tutto nelle mani “dell’avanguardista” di Arcore.
Nelle circostanze che prendiamo in considerazione è evidente come sia sottile e labile la linea d’ombra che vede entrambi gli schieramenti politici condividere scelte economiche e finanziarie e il modo in cui è stato realizzato il Piano C.A.S.E. è un manuale perfetto della condivisione della “nuova modernità”.

Infatti la costruzione degli alloggi nel post-sisma ha risposto pienamente a questo modello sia sul piano del governo finanziario che amministrativo che urbanistico e in questa logica è avvenuta la spartizione tra le varie aziende costruttrici attraverso una politica redistributiva pubblica (il 60% alle aziende amiche e il 40% alle altre).
Stava funzionando alla perfezione: il sistema commissariale era una macchina quasi perfetta che agiva su una popolazione stremata e impaurita. A distanza di quasi 5 anni dal terremoto viene da pensare che, paradossalmente, quei signori maggiormente legati al potere di turno, se non avessero avuto intoppi (leggasi intercettazioni), sarebbero andati molto più speditamente nelle varie fasi della ricostruzione della città.
Pur tuttavia il commissariamento doveva finire e quindi occorreva ripristinare
la normalità amministrativa. Il passaggio dalla eccezionalità alla normalità è stata gestita dal potere giudiziario (vedi anche le intercettazioni e le inchieste sugli appalti della Protezione Civile) e dalla Troika che aveva decretato la fine dell’ingombrante governo Berlusconi.

Quindi furono i sovra-poteri internazionali ad imporre la fuoriuscita con le mani alzate del “miliardario ridens” da palazzo Chigi (la persuasione della finanza può essere più efficace delle armi convenzionali!).
L’uomo che aveva dominato la scena pubblica italiana degli ultimi venti anni usciva di scena ridimensionato, non dalla democrazia italiana, ma da un nuovo potere globale e intra-europeo.
La nuova conduzione sarà tutta nelle mani del partito italiano più europeista, il PD ovvero un organismo acefalo che già da tempo aveva introiettato e condiviso il modello economico basato sulla competizione imposto dalla Troika e che si è sempre dichiarato disposto ad accettare qualsiasi imposizione alla cantilena “c’è lo chiede l’Europa”.
Al ministro Barca – sotto il governo di Mario Monti – verrà delegato l’ingrato compito di rispondere alle logiche del fiscal compact  adeguando l’applicazione della rigidità finanziaria con le necessità di un ampio territorio da ricostruire.
La  confusa e caotica farraginosità delle leggi e delle ordinanze, la gabbia delle cifre e del dover continuamente elemosinare i soldi per la ricostruzione, ecc.  sono tutti procedimenti utili a giustificare i rallentamenti se non addirittura per occultare la mancanza di una idea,  di un progetto complessivo di ricostruzione,.
Nell’attuale assetto politico della città sia il centrosinistra che il centrodestra sono obbedienti, in vario modo, alle politiche della spending rewiev.

L’altro campo, limitato, è occupato da due forze, Rifondazione Comunista e  Appello per L’Aquila, che si muovono verso un moderato riformismo politico e amministrativo, che a noi pare di scarsa incisività.
Rifondazione spende tutte le sue energie dentro le Istituzioni, riproponendo il vecchio slogan del PCI “partito di governo e di lotta”. Lo spazio alla sua sinistra è occupato da Appello per L’Aquila che si muove con la modalità della denuncia e della educazione alla buona e virtuosa amministrazione con un interesse verso i beni comuni e verso la democrazia partecipata.
Tuttavia ci pare di poter dire che, nonostante le buone intenzione, ci sia una carenza di analisi politica rispetto alle  complessità della globalizzazione e che si sottovaluti la capacità della Troika di imporre alle popolazioni del sud europeo i vincoli di bilancio che ne strozzano le economie, le società, le culture. Nel nostro caso è in gioco la ricostruzione anche fisica oltre che economica e politica.
La debolezza di un riformismo impossibile ci pare ancora più evidente quando si ritiene che la denuncia del perverso rapporto tra affari e politica  sia esaustiva per salvarsi da un quadro mortifero ed omertoso. Il giornale on-line “News Town”,  molto vicino ad Appello per L’Aquila, ha condotto in tal senso una campagna che risponde a questo modello culturale. Sembra un tuffo nel passato: ai tempi di mani pulite! (per carità non ci si venga dire che la denuncia in tal senso riprende la migliore tradizione delle Radio Libere degli anni ’70, sottolineiamo che ciò ci pare un ragionamento del “cucchiaio” o come dicono a Paganica si confonde il “cavolo con il padrenostro”

Indubbiamente l’etica e la morale sono questioni molto importanti, ma dal 1992 abbiamo visto campagne elettorali incardinate sul fattore “onestà” come se fosse una categoria politica e non la precondizione della politica. Ed è doloroso  constatare il disastro prodotto da tutta una classe dirigente e/o dominante cresciuta nella cosiddetta “seconda repubblica”: una pseudo borghesia che si è abbeverata nella ignoranza più sfrontata, priva di capacità critica e priva di lungimiranza.
Per comprendere il nanismo di una elite di parvenu ubriachi di post-industrialismo, di chiacchiere sul terziario avanzato e privatizzato,  sarebbe il caso di indagare su come, nel nostro paese e nei nostri territori, i rapporti di produzione siano regrediti a rapporti feudali, “pre-capitalistici”.
Siamo in presenza dello svuotamento di tutte le assemblee elettive a cominciare dal Parlamento figuriamoci di un Consiglio Comunale! Va ricostruito un percorso alternativo, va “reinventata” la democrazia stessa.
Siamo altresì consapevoli della nostra debolezza e  del fatto che i rapporti di forza sono impari. In politica i numeri sono importanti ma  la forza sta  soprattutto nella concentrazione del potere, nella potenza economica, nella egemonia culturale, nella capacità di creare consenso.
Tuttavia se si vuole uscire dalle secche della subalternità va ricostruita una politica altra con la raccomandazione che non si butti il bambino insieme all’acqua sporca: l’esperienza storica ha molto da insegnare.