Il “Futurismo del governo Renzi”

idea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Confesso che ogni volta che guardo i volti della signora Madia così
come quella dagli occhi verdi della signora Boschi mi sovvengono alla
mente le immagini del film di Bellocchio “Vincere”. Il film narra le
vicende del primo Mussolini, quello per intenderci Socialista e
sindacalista. Il giovane socialista è innamorato della modernità
nascente vissuta con turbolenza insieme alla compagna Ida Dasler.

“Compagni! noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle
scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da
scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi
sicuri della radiosa magnificienza del futuro…” Il bravo Renzi  è
al comando della radiosa magnificienza di una modernità neutra e priva
di contraddizioni. Il suo linguaggio “giovanilistico e rottamatore” in
preda alla “disperazione” del tempo, illusa nel proprio amore e nelle
proprie convinzioni e principi unitamente ai volti “immacolati”
giovani e belli dei propri ministri. Sotto questa coltre ideologica
vanno alla guerra contro i poveri e verso “docili schiavi del
passato”. La contraddizione non risiede più tra lavoro e capitale tra
sfruttamento egoismo e nuova umanità ma tra innovatori e conservatori.

Tuttavia Renzi più che un nuovo “imperatore” somiglia molto al giovane
Craxi e le giovin ministre somiglianno più alla Rachele Guidi che alla
esuberante Ida Dasler. Infatti Renzi la Madia e la Boschi si attestano
con songolare passione “nella vischiosa persistenza dell’abituine
italica a situarsi nella sudditanza subalterna” verso il capitalismo
trasnazionale statunitense ed alla preminenza dello stato germanico.
Senza nessuna strategia, cievamente parlano di riforme, per cambiare,
anzi sbloccare l’Italia. Si tratta, nel suo nudismo politico di un
accentramento autoritario della gestione statuale dentro un’ulteriore
avanzamento del liberismo. Una gravidanza figlia di un seme
opportunamente fatto germogliare dal duo D’Alema-Veltroni. Il loro
linguaggio, molto somiglia ai primi ruggiti della prima Forza Italia.

Antipolitica, slogan, frasi brevi e veloci, vanto del proprio
neofitismo, fine della idea partito per imporre finalmente una nuova
teologia del potere. Prestati allo scopo. Dopo, nulla rimarrà di
queste figure. Ma esse sono creature nate appositamente per far
“fallire” l’Italia. Piena subordinazione al modello dominante in
europa, e verso gli organismi internazionali, uno stato-commesso, un
ritorno a subaltenità di tipo “medievali” ma dentro gli anni duemila.
Per scalfire questo meccanismo fanno fatti saltare i Trattati su cui
si fonda l’Ue, quindi l’UE stessa. Il renzismo come arma di di
distruzione e distrazione di massa va rovesciato. Il prossimo
appuntamento del 28 giugno a Roma ci deve veder tutti partecipi.
Manifestazione del controsemestre europeo.

 

Alfonso De Amicis

È a Cuba uno dei migliori sistemi di istruzione al mondo

cuba scuola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In pochi ne parlano ma il sistema di Istruzione di Cuba è uno dei migliori al mondo. La spesa di L’Avana nell’Istruzione si aggira intorno al 23,6% del Pil contro il 3/4% dell’Italia. Non solo, negli ultimi 35 anni il governo rivoluzionario ha investito più di ogni altro in termini di fondi, strutture, elaborazione teorica e modernizzazione di metodi e programmi.

Quando si parla di Cuba molti radical chic arricciano quasi istintivamente il naso. Difficile dar loro torto, del resto, in quanto Cuba, con la sua stessa esistenza, rappresenta la prova vivente che è possibile organizzare un Paese in modo socialista avendo contro un nemico formidabile come gli Stati Uniti, e quindi come l’Occidente in senso lato.

Quando si parla di Cuba molti di questi radical chic faranno immediato riferimento a Yoani Sanchez e alle sue accuse al governo castrista, peccato che sia stato proprio il suo traduttore italiano recentemente a sbugiardarla, definendola come una donna ambiziosa che inventava letteralmente le notizie per fare audience e creare il suo personaggio. Nonostante gli sforzi fatti da personaggi di grande levatura come Gianni Minà, che hanno disperatamente cercato di lumeggiare la vera realtà di Cuba all’assopito e borioso pubblico occidentale, in molti pensano ancora che Cuba sia una sorta di inferno vivente. Sarebbe forse opportuno ricordare loro che Cuba è molto ma molto differente da quanto viene raccontato da una propaganda anticastrista sempre più rozza, e soprattutto che la vita a Cuba per molti è sicuramente meglio della vita di cui potrebbero fruire in molti dei paesi del mondo cosiddetto “libero”.

In pochi sanno però che Cuba è un Paese che, come pochi, ha saputo combattere una guerra senza quartiere contro l’analfabetismo e la povertà e denutrizione infantili, battaglie che ha saputo anche vincere. Solo per fare un esempio nel 1959, quando la Rivoluzione di Fidel trionfò, a Cuba viveva qualcosa come un milione e mezzo di analfabeti e almeno mezzo milione di semi analfabeti, senza contare le centinaia di migliaia di ragazzi non scolarizzati. Visto che all’epoca Cuba contava poco meno di sette milioni di abitanti ecco che Fidel Castro e i suoi rivoluzionari dovettero porre rimedio a una situazione drammatica. Nel 1959 il 23,6% delle persone non sapeva leggere né scrivere, vi erano 10.000 maestri disoccupati e le aule non erano nemmeno sufficienti a ospitare i pochi studenti presenti. Del resto proprio Fidel Castro prese il potere annunciando che uno degli obiettivi della rivoluzione sarebbe stato quello di garantire a tutti uno dei diritti dell’essere umano: ovvero il diritto ad apprendere e sviluppare le proprie idee.

Negli ultimi 35 anni Cuba ha portato avanti questo lavoro in modo indefesso, continuando a investire nel campo dell’Istruzione sotto ogni punto di vista. E Cuba non è certo la Svizzera dal momento che ha a che fare ormai da anni con gravissimi problemi economici, ma non per questo ha mai abbassato la spesa pubblica per l’istruzione, a oggi pari al 23,6% contro il 3-4% italiano! Strano visto e considerato che per molti radical chic Cuba è invece un esempio di un turpe e illiberale regime, un regime che però considera l’insegnamento un diritto dovere di tutti i cittadini, e che offre il sistema educativo completamente gratuito e democratico a tutti i cubani. Non solo, non esistono distinzioni di razza, sesso, credo religioso, origine e stato sociale; noi in Italia e in Europa possiamo dire lo stesso? Comunque non è finita qui: lo Stato cubano offre anche un ampio sistema di borse di studio per tutti gli studenti e fornisce la possibilità a tutti i lavoratori di accedere a qualsiasi livello di istruzione. Attualmente il tasso di scolarizzazione è del 100% fino agli 11 anni, e il tasso di analfabetismo è sceso all’1,9% della popolazione compresa tra 10 e 49 anni. Il dato assoluto della popolazione analfabeta è del 3,8%, uno dei più bassi al mondo, compresa l’area G8. Il tasso di analfabetismo funzionale degli adulti è di circa il 10% (in Italia è del 65% circa). I laureati universitari sono uno ogni 15 abitanti, dei dati che renderebbero Cuba tra i primi anche nell’avanzatissima Europa. Se poi pensate che sempre a Cuba si trovano 2111 centri di educazione e 46 centri universitari distribuiti in tutto il territorio, ben si comprende che stiamo parlando forse del sistema educativo migliore al mondo se si contestualizza la situazione di Cuba. Secondo tutte le organizzazioni internazionali inoltre il governo di Cuba in questi ultimi anni nonostante versi in difficoltà economiche oggettive non ha mai fatto mancare alla popolazione i servizi fondamentali, compresa l’istruzione. “Le risorse assegnate dallo stato insieme agli sforzi degli operatori del settore hanno permesso di non chiudere una sola scuola, asilo o università, né di lasciare un solo maestro o insegnante senza lavoro”, come ha spiegato l’Unità.

Come vanno invece le cose negli altri paesi considerati saldi alleati di Washington? All’opposto, in quasi tutto il mondo “occidentale” si tende ormai a privatizzare tutto il privatizzabile, col risultato di espellere sempre più persone dall’Istruzione.

Ma Cuba propone un modello da studiare attentamente anche per un altro motivo: il sistema educativo cubano combina studio con lavoro, una caratteristica che rappresenta sul piano metodologico uno dei risultati più importanti della pedagogia cubana. A ispirare questo sistema lavoro-studio fu l’insegnamento di José Martì, l’eroe nazionale che aveva evidenziato la necessità di combattere il divorzio tra la teoria e la pratica, tra lo studio e il lavoro. In pochi sanno che Cuba oggi è riuscita a tenere aperte quasi 14.000 scuole frequentate da oltre tre milioni di studenti. Anche se Cuba non fa parte dell’Ocse, secondo varie rilevazioni internazionali Cuba si trova al primo posto, con molti punti di vantaggio, nel mondo latino-americano, al punto che secondo molti sarebbe alla pari con la Finlandia. Il corpo docenti conta qualcosa come trecentomila unità tra maestri e professori, mentre per l’insegnamento alle elementari Cuba può già contare su 18.000 maestri con istruzione universitaria.

Cosa ancora più difficile a credersi, ma vera, gli studenti cubani oltre a ricevere una istruzione di primordine completamente gratis, ottengono gratis anche il materiale scolastico e tutto quello che concerne con l’istruzione, dall’alloggio all’alimentazione passando per il vestiario e uno stipendio per le spese. Spese che non servono a coprire il servizio sanitario dal momento che tutti già ricevono un’assistenza medica gratuita e, nei limiti delle possibilità, il diritto alla ricreazione e al trasporto dai propri luoghi di residenza, talvolta anche molto lontani dalle scuole di appartenenza. Nella scuola primaria cubana recentemente è stato raggiunto il 72% degli alunni che frequentano il sesto grado con la modalità del tempo pieno (in Sicilia abbiamo meno del 3%!).

All’inizio della Rivoluzione a Cuba l’81% della popolazione studentesca frequentava le elementari e solo il 2% l’università, oggi si ha un 100% della popolazione alle elementari, un 97% alle medie, un 78% di pre universitario e un 21% all’ università. Insomma, piaccia o meno ai radical chic e ai fan della “democrazia” nostrani, Cuba è uno dei primi paesi nel mondo per quanto riguarda gli investimenti procapite nelle attività scolastiche.

Vi era poi una leggenda radicata, ovvero che i maestri cubani riceverebbero uno stipendio infame essendo così costretti a fare altri lavoretti degradanti per sopravvivere. Niente di più falso dal momento che i maestri ricevono uno stipendio tra i più alti a Cuba e soprattutto oggi L’Avana conta quasi dieci volte di più il numero di medici che aveva nel 1959.

ma che impallidisce rispetto alla proporzione di Cuba di 1 su 13, ma stranamente nessuno vi parlerà di questo aspetto. E mentre da noi in Europa si taglia il tagliabile, anche alle persone in difficoltà, a Cuba ci sono 512 scuole per l’istruzione differenziata con 63.000 iscritti per 7 specializzazioni, scuole rivolte a bambini o giovani con limitazioni fisiche e mentali, difficoltà nell’apprendimento e problemi seri come disturbi alla vista, all’udito, alla parola, ritardo mentale acuto, impedimento fisico-motorio. A Cuba il 100% dei bambini malati è completamente scolarizzato.

Insomma leggete questi dati e riflettete, pensate davvero che viviamo in un Paese e in una società che sia in grado di dare giudizi di valore su Cuba? E soprattutto, pensate davvero che il nostro definirci “democratici” ci metta su un gradino superiore rispetto a Cuba? I dati lascerebbero pensare di no.

 

Mondiali

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho sempre sempre amato il calcio, l’ho amato per le sue passioni
popolari, per la capacità di suscitare emozioni, socialità,
coinvolgimento. Passioni capaci di superare, spesso, il controllo
imposto dalla retorica del potere anche se opportunisticamente
veicolati dai media mainstream. Fino alla metà degli anni ’90 ho
seguito con entusiasmo le vicende dell’Aquila calcio. Il campo lo
possedevo dentro e fuori la città. I mondiali, gli europei erano
attesi a suon di birra e patatine. Tuttavia oggi mi vede indifferente,
anzi, sono contro la retorica nazionalista e patriottarda. Perchè
dovrei identificarmi con uno Stato che ha un conportamento disonorante
verso i cittadini dell’Aquila, e di molti comuni minori di un Abruzzo
forte ma “sfortunato”? Eppure mio padre ha “servito” la Patria cosi
fece mio nonno Alfonso, ma lo stesso nonno Giorgio e suo padre Nicola.
Nello stesso modo migliaia di abruzzesi servirono la Patria due volte.
Prima le carneficine della guerra poi l’emigrazione e le rimesse di
centinaia di migliaia di Lire per costruire una Italia migliore per
loro ed i propri figli. Ma oggi lo Stato è irriconoscente, odiosamente
avaro verso questa terra. Come nella seconda guerra mondiali funno
servili verso il terzo reich, oggi ci ripetiamo verso l’austerità
della signora Merkel. I nostri governanti sono cocciutamente convinti
che la salvezza della Terra di Dante, Leopardi, Garibaldi, Gramsci
Pasolini passi per una nuova retorica dei sacrifici. Nel frattempo in
tanti rimangono sospesi, senza lavoro e senza casa. Certo come dice
l’oratoria prima berlusconiana e poi renziana nessuno è senza tetto.
“costruiremo in poco tempo case accoglienti e moderne, comprensive di
elettrodomestici, televisori e champagne”. Panis et circensis. Manco
fossimo nei periodi dittatoriali dell’antica Roma. No! Questa Patria
non merita nessun riconoscimento, neanche quello del tifo o della
facile magniloquenza intorno alla bandiera.

 

Alfonso De Amicis

il rapporto deficit/pil al 3% una follia senza nessuna base economica

In-fuga-dall-Euro.-O-No

 

 

 

 

 

 

 

 

Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb.it

Superare il rapporto deficit/pil fissato al 3 per cento.Questa è la missione che molti politici italiani affermano di voler portare avanti e che ovviamente riguarda anche L’Aquila terremotata, i cui fondi che mancano per la ricostruzione completa dipendono in tutto e per tutto dall’abbattimento di quel vincolo.In parole povere, c’è da sedersi ai tavoli della Commissione Europea e far pressione a chi comanda, a chi comanda sul serio, affinché il famosissimo tetto massimo venga superato.

Perché il Parlamento non conta nulla, è un teatrino a uso e consumo dei beoni che credono di contare qualcosa in un posto in cui per legge si viene presi a pesci in faccia.In parole ancora più povere, lo Stato italiano deve lottare per le briciole dopo che qualcuno gli ha sottratto il pane.Ormai lo sanno pure i sassi.Va ricordato che per aver aderito all’Unione Europea, l’Italia ha accettato una valanga di clausole capestre come quella, devastante, dell’utilizzo di una moneta a debito da prendere in prestito dai privati, come se per respirare cedessimo i nostri polmoni a uno sconosciuto e poi gli chiedessimo di prestarceli a tassi usurai.

Una follia, specie se si conosce il corretto funzionamento del denaro che nulla ha a che vedere con la versione europea della moneta.Così come è una follia far passare per “normale” il concetto di battaglia, di lotta, quando c’è di mezzo il rapporto deficit/pil al 3 per cento, cioè quello strumento che impedisce agli Stati – letteralmente evirati, cioè non più sovrani: devo andare in bagno, chiedo permesso a un tale che non conosco e devo anche sperare che mi presti ciò che prima era mio – di fare gli Stati, cioè di spendere a deficit per il settore pubblico e per il settore privato.

Che il 3 per cento fosse un numero assolutamente privo di basi economiche degne, è stato detto e scritto da fior di econimisti.E le prove storiche sono ormai inconfutabili, non serve più neanche un premio Nobel come Paul Krugman – che nel 2011 scriveva sul New York Times “Adottando l’Euro, l’Italia si è ridotta a un Paese da Terzo Mondo” – per dimostrare il fallimento, certo voluto e studiato a tavolino al di là della propaganda di facciata – di un’Unione Europea che di fatto ha annientato l’Europa, la stessa Europa che esisteva ben prima di un “sogno” dato in pasto a centinaia di milioni di persone per la felicità di poche migliaia di speculatori.Ma la follia in questo Continente non ha limiti.

Recentemente un signore che risponde al nome di Guy Abeille, ex funzionario francese e creatore del 3 per cento preso come modello dai tecnocrati di Bruxelles per imporre il cappio intorno al collo degli Stati come detto già evirati, ha dichiarato senza alcun problema che si è trattato di un numero preso a caso.Insomma, ha ammesso pubblicamente una truffa che è diventata legge. E che sta spazzando via il presente e il futuro di intere nazioni.E allora perché fare una battaglia su queste basi?Perché sedersi a un tavolo di gente che è autorizzata per legge a barare a poker per chiedere a quella stessa gente di lasciarci vincere almeno una mano?Che senso ha? Che diavolo significa?Perché ridursi a tanto?Forse perché noi italiani siamo un popolo di spendaccioni e di corrotti?Oppure perché siamo tangentari di professione?Probabilmente perché c’è l’evasione fiscale, che per capirci in questo periodo storico salva ad esempio le piccole e medie imprese?Perché c’è la Mafia? Sarà mica colpa della solita casta?Signore e signori, resettate.Quei ‘capitoli’ c’erano anche prima.Anche prima che si facesse largo un cancro capace di sterminare un Continente.

Quel cancro si chiama Euro.E il cancro o lo uccidi, o lui uccide te.A meno che non abbiate accettato l’idea che distruggendo la Terra si può finalmente distruggere il male che c’è sulla Terra.Se proprio non vi va di capirlo e siete convinti che l’Italia debba pagare colpe tremende e farsi guidare dai giusti e limpidi tedeschi, sappiate che in quel tribunale si fa carne di porco.E tra i Piigs, tra i maiali d’Europa, ci siete anche voi.

Syriza italiana – Ramon Mantovani: Unire la sinistra senza sciogliere il PRC

ramon

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’ottimo sito di controinformazione “www.controlacrisi.org” ha promosso un sondaggio fra i lettori sul tema della “costruzione della Syriza italiana”.
Temo che le domande formulate, e conseguentemente le risposte, siano pericolosamente fuorvianti e foriere di confusione.
Mi spiego.
Proporre come alternative 1) lo scioglimento dei partiti esistenti per dar vita ad una organizzazione funzionante sul principio “una testa un voto”, 2) una federazione dei partiti esistenti o 3) lasciare le cose come stanno, conduce inevitabilmente a scelte destinate a dividere ciò che esiste invece che ad unirlo.
Nell’attuale sistema politico italiano, sul quale non approfondisco il discorso per brevità, è necessario che tutta la sinistra (reale, alternativa, radicale ecc che dir si voglia) si aggreghi su un programma minimo di fase. E questa sinistra oggi, nei fatti, alberga in partiti, associazioni e movimenti, ed è composta in grandissima parte da persone non organizzate in nessun modo.

Quindi, in estrema sintesi, è evidente che la prima ipotesi proposta troverebbe l’opposizione, per esempio la mia, di chi pensa sia vigente e necessaria la presenza di un partito comunista come è il PRC, perché se da una parte è giusto che alle elezioni si presenti una lista, o una forza, ampia e che unisce più culture, punti di vista ideologici e pratiche sociali e politiche, dall’altra è giusto che chi critica il capitalismo dal punto di vista marxista e si propone strategicamente il suo superamento non debba sparire e sciogliersi in un soggetto che per sua natura non può avere una simile identità e strategia.
La seconda ipotesi ridurrebbe tutto ad accordi di vertice fra partiti (per altro profondamente divisi sulle prospettive) ed escluderebbe nei fatti da tutti i processi decisionali tutte le persone, che sono la stragrande maggioranza, militanti di comitati di lotta e associazioni e senza tessera.

La terza potrebbe produrre al massimo liste elettorali occasionali molto composite e tendenzialmente divise al proprio interno.
Esiste, invece, una reale possibilità di unire tutto, senza che nessuno debba sciogliersi ed omologarsi al minimo comun denominatore, e con il massimo della democrazia, e cioè del funzionamento sulla base del principio “una testa un voto”.
Senza avere modelli da imitare pedissequamente e meccanicamente, è però utile attingere ad esperienze che già esistono in altri paesi. Ve ne sono diverse.

Credo che per similitudine di storia e di collocazione geografica sia molto utile analizzare l’esperienza di Izquierda Unida spagnola.
Senza farla troppo lunga, ma ovviamente si può approfondire il discorso anche nei dettagli, Izquierda Unida funziona sulla base di “una testa un voto” e allo stesso tempo ne fanno parte partiti e collettivi di vario genere che non si sono mai sciolti, come il Partito Comunista di Spagna, il quale ha scritto nel proprio statuto che considerando Izquierda Unida una forza politica unitaria della sinistra cede la sovranità su due punti delle proprie competenze ad Izquierda Unida: la partecipazione alle elezioni e la rappresentanza istituzionale.

Per chi fosse interessato può leggere sul sito del PCE l’articolo 113 dello statuto.
Detto in altri termini significa che Izquierda Unida, che si autodefinisce “movimento politico sociale” funziona analogamente ad un partito. Le forze come il PCE che aderiscono ad Izquierda Unida lo fanno attraverso l’adesione personale dei propri militanti, che sono invitati a farlo senza che ci sia automatismo fra il possesso della tessera del PCE e quella di Izquierda Unida. Il PCE e le altre forze non hanno quote ne alcuna rappresentanza diretta negli organismi dirigenti di Izquierda Unida. Gli iscritti ad Izquierda Unida, abbiano o meno tessere di partiti o associazioni aderenti, sono gli unici titolati a decidere la linea politica e i gruppi dirigenti di Izquierda Unida. Sulla base, appunto, del principio “una testa un voto”.

Come si vede da questa esperienza, che dura da trenta anni in Spagna, non è affatto necessario sciogliere il partito comunista per unire la sinistra ampia e nemmeno escludere in un rapporto federativo fra partiti, tutte le altre esperienze collettive ed individuali.
Insomma, se l’attuale lista “un’altra europa con tsipras” raggiunge l’unità sulla prospettiva politica e su principi politici unitari e chiaramente antiliberisti e alternativi al PD il PRC può serenamente partecipare, come il PCE, alla nuova forza senza dover rinunciare a nulla della propria ideologia ed organizzazione.

Certo il PRC dovrebbe dedicarsi comunque a tutti i compiti propri di un partito comunista.
Perché sarebbe anche ora che si dismetta l’idea distorta che l’attività principale di un partito comunista consista nel partecipare alle elezioni. Non è mai stato corretto storicamente ed oggi, non fosse altro che per il sistema elettorale vigente, oltre che sbagliato sarebbe decisamente assurdo.

La nuova forza, proprio perché ampia e plurale, mentre può assolvere benissimo al compito di produrre un programma di lotta ed elettorale per l’immediato e per una fase, non può fare diverse cose che sono proprie, invece, di un partito comunista. Sarebbe sbagliato, per esempio, che il PRC rinunciasse ad una battaglia culturale sulla rifondazione e sulla vigenza del comunismo o che tentasse di imporlo alla nuova forza. Che rinunciasse alla sua rete di relazioni internazionali o che pretendesse di imporle alla nuova forza. Che rinunciasse ad elaborare analisi e a promuovere discussione teoriche e a formare quadri secondo la propria impostazione o pretendesse di imporle alla nuova forza. Che rinunciasse alle proprie e dirette pratiche sociali e metodi di lotta o pretendesse di imporle alla nuova forza. Ed anche che rinunciasse, nelle proprie riunioni, di discutere apertamente della prospettiva della nuova forza, senza per questo imporre nulla a nessuno.
Spero di essermi spiegato.

Festa di San Massimo con la musica di Guccini

 

guccini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Martedì 10 Giugno alle ore 22 in Piazza duomo si svolgerà lo spettacolo: “Di questa cosa che chiami Vita  Francesco Guccini, folate di musica e poesia.” con la partecipazione di Raffaele Buonuomo, Violino Simone Colella, Percussioni Massimo Pupi, Chitarra Jacopo Angelini, Chitarra Bonifacio Liris, Voce

Il disastro italiano ed europeo

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Perry Anderson è uno storico britannico di orientamento marxista.
Insegna storia e sociologia presso l’UCLA di Los Angeles, è stato
anche collaboratore della rivista The Nation ed a lungo direttore
della rivista Left Review. Recentemente ha pubblicato ( prima del voto
del 25 maggio, a scanso di equivoci) un saggio sulle condizioni dello
spazio europeo e sul disastro italiano. In sintesi. L’Europa è malata.

Quanto gravemente è qualcosa che va approfondito. I sintomi sono
diversi e tra loro concatenati. Crisi economica e finanziaria (ma non
per tutti paesi: La Germania e i suoi prossimi alleati “vivono al di
sopra dei propri meriti”)crisi sociale, l’euro come strumento di un
monetarismo senza stato ed usato per il controllo “della ossessione
inflattiva”, per imporre politiche di austerità ed il mercato unico
europeo. Tuttavia il più familiare e quello più evidente è la svolta
degenerativa della democrazia in tutto il continente, di “cui la
struttura della UE è a un tempo la causa e la conseguenza”. Lo stampo
oligarchico delle sue scelte costituzionali nel tempo si è
costantemente rafforzato. I referendum sono regolarmente rovesciati,
capovolti se intralciano la volontà dei governanti. Gli elettori le
cui idee vengono progressivamente ignorate dai governi e dalle elites
sono sempre più disillusi e sempre meno vanno a votare. L’affluenza
alle urne è in continuo calo. Burocrati che siedono a Bruxelles
controllano con pervicacia i bilanci delle singole nazioni che prima
erano sotto il controllo dei singoli parlamenti. Si può affermare
senza ombra di dubbio che le singole sovranità somigliano molto a
condomini di una certa dimensione. La sovranità è tutta nelle mani
della Commissione Europea. “Ma l’Unione non è un’escrescenza di stati
membri che, senza di essa, sarebbero in buona salute. Riflette, tanto
quanto aggrava, tendenze di lungo corso al loro interno”. In ogni
singolo paese i dirigenti ed i governanti manipolano ed incalanano le
legislature. Questi costruttori di consenso lo fanno vieppiù con
crescente facilità. I partiti ormai svuotati di qualsiasi ruolo
costituzionali sono solo macchine elettorali. Essi perdono sempre più
iscritti e consensi, contemporaneamente seguono la stessa sorte le
grandi centrali sindacali. La sfiducia è forte considerato che le
scelte politiche si assottigliano e le promesse di differenze, durante
la campagna elettorale svaniscono come neve al sole.

A questa involuzione generalizzata, ormai da anni si è accompagnata una
corruzzione pervasiva di TUTTA la classe politica europea. Insomma
siamo in presenza di un forte deficit democratico. Queste forme di
corruzzione generalizzate e sistemiche non sono esclusivamente
italiche, anzi esse investono l’intero continente. “L’affresco
potrebbe cominciare con Helmut Kohl, governante della Germania per
sedici anni, che accumulù milioni di marchi di fondi neri di donatori
illegali, i cui nomi quando fu denunciato, rifiutò di rivelare per
timore che venissero alla luce i favori che aveva fatto loro. Oltre il
Reno, Jacque Chirac, presidente della Repubblica Francese per dodici
anni fu condannato per appropriazione dei fondi pubblici, abuso
d’ufficio e conflitti di interesse, una volta caduta l’immunità.
Questi erano due dei due di più potenti politici dell’epoca in Europa.
Uno sguardo allo scenario dopo di allora è sufficiente a cancellare
qualsiasi illusione che essi fossero dei casi rari”. Nella mitica
Germania, Gerhard Schoreder,socialdemocratico(quello del Job en Act)
garantì un prestito di un miliardo di euro alla Gazprom(adesso sono in
guerra per aprirsi nuovi mercati, un po come è successo con la prima e
la seconda guerra mondiale) per la costruzione di un gasdotto su
baltico poche settimane prima che si dimettesse da cancelliere e
andasse in busta paga della multinazionale con uno stipendio da
nababbo. Angela Merkel ha visto due presidenti della repubblica, uno
dietro l’altro, costretti a dimettersi da screditati. Roba da Lele
Mora e consorteria. In questo scenario, un paese è considerato
diffusamente come il caso più acuto di malfunzionamento europeo.

Dall’introduzione della moneta unica l’Italia ha segnato il dato
economico peggiore di ogni altro stato dell’Unione: vent’anni di
stagnazione virtualmente interrotta a un tasso di crescita ben
inferiore a quello di Grecia e Spagna. I discorsi sul “miracolo
italiano” di moda all’epoca di Fellini e della Vespa si sono da tempo
trasformati nell’opposto.”Non c’è dubbio che il paese occupa oggi un
posto speciale nel concerto dei paesi europei. Ma è solitamente
frainteso. L’Italia non è membro ordinario dell’Unione. Ma no è
neppure deviante da qualsiasi standard cui potrebbe essere riferito.
C’è un’espressione consacrata per descrivere la sua posizione, molto
usata dentro e fuori dal paese, ma è sbagliata. L’Italia non è
un’anomalia in Europa, E’ molto più prossima a esserne un
concentrato”. In un simile contesto, sicuramente non congiunturale, ma
in presenza di una crisi sistemica la domanda spontanea è: Possiamo
continuare a configurareil Sistema emendabile? Forse sarebbe il caso
di ritirare fuori argomenti, analisi “cassetta degli attrezzi” che
pensavamo desueti. Entrare nella modernità a ritroso. Le letture
“giovanilistiche”, semiculturali, un po di “moda” sono state travolte
dalla realtà incombente. La soluzione è di radicale rottura.

 

Alfonso De Amicis

ELEZIONI O SONDAGGIO?

rossa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le ultime elezioni hanno sancito che la maggioranza dei popoli europei hanno rifiutato gli “insanabili antagonismi” e le politiche economiche e sociali imposte dalla Commissione Europea che hanno portato a galla le distruttive competizioni tra gli Stati in cui milioni di donne e uomini sono stati spinti in una drammaticità sociale fatta di precarietà e povertà crescente. Intere generazioni abbandonate alla tempesta di una crisi sistemica e senza soluzioni all’orizzonte.

Tuttavia la risposta è stata falsata da risentimenti xenofobi, razzismo, nazionalismo, paura del presente e incertezze per il futuro, contraddizioni interne ai singoli Paesi, ecc..
Tutto il male prodotto dalle politiche del polo imperialista europeo è sotto gli occhi di tutti. Se nel periodo gramsciano il “destino degli uomini” era connesso alla formazione dello stato nazionale, oggi il destino è determinato dal tentativo delle borghesie europee nella formazione del “super stato europeo”: uno Stato sfuggente, invisibile, a conduzione inflessibile e che ha riportato nuovamente la guerra all’interno dello spazio Europeo.
Gli strumenti determinanti per l’annessione forzata dei popoli sono stati i Trattati e la Moneta Unica. Nel sondaggio di domenica 25 maggio u.s. solo la Germania e l’Italia sembrano accordare una risicata fiducia alla stabilizzazione dell’Unione Europea.

In Italia il PD rafforza la propria funzione con la pretesa di riorganizzare, sotto il vessillo della modernizzazione e della rottamazione, il blocco conservatore. Un blocco sociale fatto da quel che rimane di una misera “borghesia nazionale”, di piccoli imprenditori e artigiani, del nanismo di una borghesia impiegatizia spaventata di precipitare verso una proletarizzazione senza ritorno. Un blocco che in precedenza si era raggruppata presso la corte di Arcore nella speranza di trovare un valido paracadute al declino. Il voto nel nord est è la cartina tornasole della paura che circola dentro intere categorie sociali. Ma in questo senso la crisi non è un handicap. Anzi, la crisi costituisce il turbomotore dell’economia contemporanea. Si distrugge, ma nello stesso tempo si ricostituiscono imprese più grandi e più efficaci, per meglio competere nei mercati mondializzati. Magari lo faranno oligopoli sovranazionali, ma questo è il capitalismo bellezza.

Il capitalismo sa essere “rivoluzionario”!
Paragonare il PD alla vecchia DC, come insistono tanti media mainstream, ci appare ridicolo e antistorico. Pura propaganda se si considera che fino agli anni ’70 votava oltre l’80% dell’elettorato mentre oggi abbiamo verificato che oltre il 40% degli aventi diritto si astiene. Inoltre oggi siamo in presenza di una crisi che sembra non avere fine ne’ soluzione: i dati della Banca d’Italia e dell’ISTAT confermano quanto tutti concretamente avvertono.
La crisi quindi prepara ed esercita un ordine disciplinare di controllo sociale e politico. Anche le paure sono una forma di controllo.
La finanza, che non è l’espressione della cupidigia umana, è essenzialmente una relazione di potere che ha prodotto un diverso progetto e una diversa funzione della democrazia e dello Stato. E’ stato un processo lungo che ha coinvolto tutte le sfere istituzionali, trasformando l’intero apparato statale. “In Europa, tra Otto e Novecento, lo stato liberale di diritto e lo stato costituzionale democratico hanno funzionato come terreni complessi di compromesso tra le classi, come luoghi articolati di partecipazione e di mediazione tra interessi contrapposti….Senza disperdere il proprio fondamentale connotato classista, ha saputo coniugare la logica dei rapporti di forza tra le classi con la sintassi della cooperazione sociale” (Alberto Burgio “Senza Democrazia”). Oggi queste funzioni sono evaporate grazie alle forze conservatrici e reazionarie. Le nuove condizioni storiche impongono relazioni “democratiche” di altro tipo. Lo Stato, come ai suoi albori, tende, con tutti i suoi armamentari, ad essere lo strumento di oppressione e di consenso delle classi dominanti.

Il capitale oligopolistico accentua i suoi tratti coercitivi anche attraverso la competizione elettorale. Le elezioni sono divenute, ormai da tempo, marketing, operazioni commerciali. Se nella recente modernità esse erano, in un certo qual modo la fotografia dei rapporti tra le classi, oggi le elezioni costituiscono uno strumento dell’incanalamento, del controllo, della repressione pacifica delle istanze sociali e politiche della popolazione. L’ossessione della governabilità ha partorito leggi elettorali di stampo oligarchico tese a marginalizzare qualsiasi istanza che potesse in un qualche modo dare voce alle istanze sociali più colpite dalla crisi. A dimostrazione del fatto che il liberalismo e la reazione sono le due facce della stessa medaglia, ci hanno abituato a vedere la borghesia con la sua maschera “legalitaria” mentre spesso assume la grinta e il morso dell’aperto totalitarismo proprio per bloccare l’emersione storica delle forze sociali antagoniste.
Per questo crediamo che nel commentare le recenti elezioni non si possa fare a meno di analizzare e comprendere la trasformazione in atto, ormai da tempo, della stessa democrazia borghese (vedasi: “Capitalismo, democrazia politica. Cambio in corsa” di Francesco Piccioni su “CONTROPIANO” e “Il demone della paura” di Zygmunt Bauman).
Cosa pensa la gran parte degli esseri sociali, come vive, quale aspirazioni e speranze sopravvivono nel caos della modernità? Effettivamente risulta impossibile conoscere senza un rapporto concreto con questa sterminata popolazione, ma che forse può ancora essere recuperato attraverso la lotta e la mobilitazione.

Risulta evidente che “la via maestra è l’organizzazione”. Tuttavia, a differenza dei compagni di “Contropiano”, riteniamo che una formazione di soli quadri militanti non sia sufficiente. Una forza di massa capace di collegarsi a tutto il mondo del lavoro è tanto più urgente vista l’enorme spoliticizzazione di ampi settori anche formalmente “acculturati”. I nuovi proletari possono essere raggiunti solo con una ramificazione sotterranea e di superficie. L’insieme ci dice che è necessario osare con intelligenza, forza e determinazione. L’attuale cornice è simile alla crisi della prima Grande Guerra e come allora le strade sono due: o una svolta verso una nuova forma di totalitarismo oppure porre le basi per una rinnovata democrazia continentale. Una parte importante di tale cammino va intrapreso dai Paesi che più stanno sopportando la crisi del capitalismo globalizzato ovvero i Paesi PIGS. Riteniamo che l’attuale costruzione europea non sia riformabile e che dunque sia determinante rompere con i Trattati Europei e abbandonare la moneta unica per ricostruire una comunità solidale e quindi socialista.

 

Alfonso De Amicis e Tina Massimini    Ross@ L’Aquila

L’AQUILA SUPERA PIACENZA E TORNA IN ECCELLENZA, 28-18 PER I NEROVERDI

l'aquila rugby

 

 

 

 

 

 

L’Aquila Rugby vince in campionato cadetto di rugby (Serie A) e ritorna nel massimo campionato nazionale  guadagnandosi la promozione nella finale di Parma contro i Rugby Lyons Piacenza. Dopo aver dominato la stagione regolare i neroverdi di capitan Zaffiri si sono imposti nuovamente sui bianconeri 28-18 in una gara combattuta e spettacolare davanti al pubblico del “XXV Aprile” .

Non sono bastati ai Lyons i buoni primi venti minuti di gioco e i punti al piede dell’apertura francese Barraud – recordaman dei punti segnati nel torneo .E’ la mischia aquilana a decidere la prima frazione mentre sono due guizzi personali dell’ala Santillo a creare il solco decisivo a favore degli aquilani a cavallo dell’intervallo.

La squadra è stata seguita a Parma da oltre 500 tifosi.

 

L’Aquila Rugby 1936 Vs Rugby Lyons Piacenza 28-18 (P.t. 7-3)

Marcatori: 3’ cp Barraud (0-3); 30’ m Santillo tr Biasuzzi (7-3); s.t. 7’ m Santillo tr Biasuzzi (14-3); 12’ cp Barraud (14-6); 15’ m Buondonno (14-11); 20’ m Ceccarelli tr Matzeu (21-11); 35’ m Parmigiani tr Barraud (21-18); 78’ m Bonifazi tr Matzeu (28-18)

L’Aquila Rugby 1936: Biasuzzi (17’ s.t. Brancoli); Santillo, Castle, Lorenzetti, Bonifazi (40’ s.t. Mattoccia); Matzeu, Forte; Ceccarelli (23’ s.t. Lofrese), Zaffiri (c), Di Cicco (17’ s.t. Speranza), Cialone, Caila; Brandolini (21’ s.t Iovenitti), Cocchiaro (29’ s.t. Rettagliata), Milani (40’ s.t. Colaiuda) (Non entrati: Flammini) All. Raineri

Rugby Lyons Piacenza: Rossi M. (cap.), Albertin, Mortali (26’ s.t. Missaglia), Gherardi (37′ s.t. Via), Buondonno, Barraud, Alfonsi, Barroni, Sciacca (22’ Cò, 31’ Sciacca), Benelli (32’ s.t. Bance), Fornari, Baracchi, Paoletti, Silvestri, Ferri (23’ s.t. Parmigiani). (Non entrati: Wahabi, Cammi, Merli) All. Mozzani

Arbitro: Elia Rizzo (Federazione Italiana Rugby)

Un appello dalle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk

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“Noi, il popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, in questo momento critico ci rivolgiamo alla comunità mondiale con la richiesta di aiuto immediato e di una risposta immediata a ciò che sta accadendo nella nostra terra, in relazione alla minaccia che incombe su di noi dell’annientamento da parte delle forze nazi-fasciste, che vengono usate dal regime dell’Ucraina.

Dichiariamo che il nostro unico desiderio è rappresentato dall’aspirazione a vivere in conformità con le nostre tradizioni e costumi storici, con la nostra cultura e le nostre abitudini, in pace e in rapporti di buon vicinato con tutte le nazioni, i popoli e gli stati che non mostrano ostilità nei nostri confronti.
Il nostro è un popolo lavoratore e creativo, ma è stato costretto a imbracciare le armi per proteggere la vita e il proprio futuro, poiché non gli è rimasta altra scelta. Noi non abbiamo mai mostrato aggressività nei confronti di alcuno stato o popolo, non abbiamo mai perseguito obiettivi di espansione e di annessione di altri territori. Noi resistiamo per la nostra terra e per le nostre famiglie, e resisteremo fino alla fine. Non è la prima volta che succede nella storia.

E’ stato così negli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando le orde degli occupanti fascisti calarono sulla nostra terra pacifica. Al prezzo di colossali perdite umane e di uno sforzo immane, l’Unione Sovietica insieme agli altri stati che sostenevano la pace nel mondo sconfisse il fascismo hitleriano, che aveva portato anche nella nostra terra un immenso dolore e fiumi di sangue. Ed ecco ora, dopo più di 70 anni, la peste bruna ha di nuovo alzato la testa. Non c’è bisogno di elencare le incalcolabili azioni fasciste che si svolgono nell’Ucraina di oggi. Kiev, Odessa, Khmelnitsky, Slovyansk, Kramatorsk, Donetsk e molti altri luoghi sono bagnati oggi dal sangue di pacifici cittadini, colpevoli solo di opporsi alla politica contraria ai valori umani delle autoproclamatesi autorità ucraine, che si sono impossessate con la forza della guida del paese.
Oggi, quando non ci è rimasta altra scelta che quella di morire senza sottometterci a fascisti privi di umanità o di sollevarci in difesa della nostra vita e di quella delle nostre donne, dei vecchi e dei bambini, abbiamo scelto la via della lotta. Ma siamo ben consapevoli che la nostra lotta, nonostante la nostra determinazione, senza l’aiuto della comunità mondiale, schierata a difesa della pace nel mondo, sarà più dura.

Secondo quanto apprendiamo da fonti attendibili, le autorità ucraine che agiscono di concerto con gli Stati Uniti si stanno preparando a una resa dei conti che ricoprirà completamente di sangue la nostra terra. In questa operazione di pulizia non verrebbero risparmiati nemmeno le donne e i bambini. Questo scenario fascista dovrebbe essere portato a compimento in tempi brevissimi. Noi, il popolo della Repubblica Popolare di Donetsk e della Repubblica Popolare di Lugansk, siamo pronti a far fronte al nemico, che porta la morte a noi e ai nostri figli. Ma ci auguriamo sinceramente che la comunità mondiale non stia a guardare e risponda alla nostra richiesta di aiuto, poiché è assolutamente evidente che l’idra fascista salita al potere ci sta attaccando e domani, nutrita e guidata dagli Stati Uniti, avanzerà ancora, e allora il mondo si troverà sulla soglia di una nuova guerra mondiale. Tuttavia, è evidente che noi naturalmente non identifichiamo i governi degli Stati Uniti e di alcuni loro alleati europei con il popolo americano e i popoli d’Europa.

Esprimiamo anche la speranza che le forze e le personalità responsabili dell’incitamento all’odio nazionale tra gli slavi, attraverso la manipolazione, la provocazione e l’istigazione, e responsabili anche del sostegno finanziario a organizzazioni nazionaliste estremiste il cui scopo è quello di sferrare attacchi militari, economici, informativi e di altro tipo al nostro popolo, siano consapevoli che dovranno inevitabilmente subire la giusta punizione, corrispondente alla scala delle atrocità e dei crimini di guerra che hanno commesso”.

 

Contropiano.org
Traduzione dal russo di Mauro Gemma per Marx XXI