La questione degli Usi Civici

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Uti singuli et uti cives. L’uso civico ci riporta alla concessione
medievale della proprietà collettiva particolarmente viva nell’Italia
meridionale e derivante dalle tradizioni di diritto feudale; mentre
nell’Italia settentrionale derivava dalle tradizioni di diritto
germanico. Questi beni per la collettività rappresentano un diritto
reale di godimento perpetuo, inalienabile, imprescindibile,
inusucapibile ed occupano un bel pezzo dell’alta collina e della
montagna dell’Abruzzo interno. Hanno rappresentato, dal medioevo
fino ad oggi, una protezione sociale ed economica per la parte più
debole della collettività che l’utilizzava per il legnatico, per il
pascipascolo o per la semina. Più di recente, a sottolineare il loro
valore culturale ed ambientale ,è intervenuto l’art.142 del Decreto
Legislativo 42/2004(Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio) che li
sottopone a vincolo paesaggistico. La gestione degli Usi Civici è
affidata o ai comuni o alle Amministrazioni dei Beni Separati, una
miriade di micro entità mal coordinate e così, spesso questi beni
sono soggetti a pressioni antropiche ed a veri attacchi speculativo.
I pericoli sono molteplici e vengono da più parti. Essi sono di natura
istituzionale e legislativa oltre che storico-culturale e finanziaria.
Il recente decreto Salva-Italia voleva svendere queste terre
autorizzando i Comuni a cedere i beni di Uso Civico. Nuovi tentativi
di mercificare le terre collettive porterebbero a forti opposizioni
fino ad arrivare al ricorso alla Corte europea. E’ utile ricordare di
nuovo che le proprietà collettive sono immutabili nella loro
destinazione agrosilvopastorale e non vanno considerate come retaggi
del passato ma come beni vivi utili ad una gestione sostenibile dei
terreni con i quali promuovere la diffusione di un’agricoltura
contadina, locale, naturale e di sussistenza nel pieno rispetto
dell’ambiente e del territorio. Il pascipascolo, il legnatico ed i
mutamenti di destinazione d’uso sono invece, nella nostra zona, le
attività più frequenti e spesso utilizzando il mutamento di
destinazione d’uso si permette l’apertura di cave e l’escavazione di
grandi quantità di calcare che va per altri lidi. Succede che tutte le
regioni confinanti con l’Abruzzo hanno regolato con norme stringenti
l’apertura e la coltivazione di cave mentre da noi non esiste
pianificazione in materia. Siamo diventata la cava del centro Italia
e grandi quantità di ottimo calcare a prezzi più che competitivi
finisce fuori regione mentre a noi rimangono grandi ferite che
disegnano il paesaggio. Intorno a L’Aquila la maggior parte delle cave
e su terreno di uso civico. Per sua natura la gestione dell’Uso
Civico , da parte delle Amministrazioni Separate, non può e non deve
avere come orizzonte forme di mercantilismo e economicismo e non si
possono mantenere solo rapporti giuridici basati su formalismi
esasperati . Bisognerebbe fare un salto di qualità ed, insieme
all’oculato soddisfacimento dei bisogni della collettività,
percorrere strade peraltro già tracciate. In diverse zone del paese si
muovono forze sociali ed istituzionali che propongono percorsi
alternativi. Esempi ci vengono dalle Regioni a noi prossime: Lazio e
Umbria. Nelle Regioni citate si sono poste le basi per proposte di
leggi che tengano insieme tutela dei beni comuni e possibilità di
sviluppo. Una forma di sostegno verso le nuove generazioni, elementi
propositivi per il ripopolamento di vaste zone dell’Appennino.
Recupero e rilancio di attività scomparse o in via di estinzione,
recupero di forme di agricoltura di prossimità lontane da qualsiasi
mercatismo e antitetiche alle facili mode come l’Ethaly. Sarebbe il
caso che la regione Abruzzo prendesse esempio dalle regioni vicine
oggi che la politica timidamente prova a parlare, dopo anni di
silenzio, dell’Appennino ripartendo da APE e dalla Convenzione
dell’Appennino e Slow Food che lancia gli “Stati Generali Delle
Comunità dell’Appennino”. Tutto ciò va bene ma centrale in tutto
questo rimane la questione degli Usi Civici intesi come bene
ambientale collettivo e la prospettiva di un loro utilizzo
sostenibile.

 

Giovanni Cialone

Alfonso De Amicis