Lavoro: contro la flessibilità

vign

 

 

 

 

 

 

 

 

Tratto dal Corrierepeligno.it

 

«L’Italia ha bisogno d’una maggiore flessibilità del lavoro». «Il lavoro flessibile produce occupazione». «Accrescere il numero dei lavori flessibili rientra negli interessi generali della collettività». Falso. Questa è l’ideologia che i sistemi di informazione di massa e la comunicazione politica radicano da oltre un trentennio nel corpo sociale per legittimare e giustificare il progressivo smantellamento delle tutele del lavoro faticosamente conquistate in decenni di lotte sociali e politiche e l’applicazione di politiche unicamente vantaggiose per le imprese, le rendite e i grandi patrimoni.

Flessibilità significa lavoro intermittente, a chiamata, in nero, collaborazioni dette continuative ma di fatto discontinue.

Flessibilità significa cedere all’acquirente della forza-lavoro piena disponibilità temporale e psicologica in cambio di salari spesso capaci di coprire i soli costi della sopravvivenza.

Flessibilità significa negazione della sicurezza, poter essere spogliato della dignità e dei mezzi di sussistenza da un momento all’altro, occupazioni prive di diritti e di garanzie, licenziamenti senza preavviso o senza indennizzo, contratti rinnovabili a intervalli così frequenti da impedire una relativa stabilità.

Flessibilità significa che tende a finire l’illusione di possedere una professione: «alla ‘libera’ professione si sostituiscono il lungo curriculum del precariato, tendenzialmente coincidente, per molti, con la stessa vita produttiva, e lo sfondamento verso il basso del confine tra vecchia professione e nuovi mestieri salariati: da medico a ‘curandero’ tuttofare, da architetto/ingegnere a disegnatore pagato a cottimo, da matematico a programmatore saltuario, da psicologo ad assistente domiciliare, da giornalista a impiegato passa-veline di agenzia. Svanisce la certezza di poter disporre appieno della propria mente, delle sue ideazioni, del proprio tempo extralavorativo» (P. Bernocchi, Dal sindacato ai Cobas. La ribellione del lavoro dipendente e l’autorganizzazione fra «pubblico» e privato, Erre Emme, Roma 1993, pp. 12-13).

Flessibilità significa che ha sempre meno senso investire tempo e sforzi in formazione oppure in esperienze lavorative frammentarie e prive di direzionalità nella speranza di conquistare una condizione sicura per poter edificare i progetti e le aspirazioni dell’esistenza; il lavoro flessibile può presentare i conti anche a distanza di dieci o vent’anni, quando la giovinezza sarà passata ed i progetti di vita, sempre rinviati, non saranno più realizzabili.

Il costo umano della flessibilità è ben riassumibile nella condizione di precarietà. Il dispositivo della precarietà è una trappola che non garantisce nessun margine di sicurezza per il futuro. La lunga sequenza di contratti lavorativi a tempo determinato non implica necessariamente la stipula di un nuovo contratto (prima della fine o alla fine di quello in corso) né la conquista, alla lunga, di un contratto a tempo indeterminato. Dalla precarietà, per conseguenza scaturisce primariamente l’insicurezza, «insicurezza che, muovendo dalle condizioni di lavoro, diventa insicurezza delle condizioni di vita, poiché il lavoro, e con esso il reddito, è revocabile a discrezione del soggetto – l’impresa, il datore di lavoro – che lo ha concesso. L’etimo di ‘precario’ significa precisamente questo: qualcosa che si può fare solamente in base a un’autorizzazione revocabile, dal momento che è stato ottenuto non già per diritto, bensì tramite una preghiera» (L. Gallino, Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 8).

Nella misura in cui rende incerto l’avvenire, la precarietà pone in essere soggetti che non sono più letteralmente padroni del loro tempo, «impedisce qualsiasi forma di anticipazione razionale e, in particolare, quel minimo di fede e speranza nel futuro che è necessario per ribellarsi, soprattutto collettivamente, contro il presente, anche quello più intollerabile» (P. Bourdieu, Oggi la precarietà è dappertutto, in Id., Controfuochi. Argomenti per resistere all’invasione neoliberista, Reset, Milano 1999, p. 96).

Accettando l’impotenza a controllare le condizioni della propria esistenza gli individui finiscono per arrendersi a quello che ritengono un destino, una necessità ineluttabile. Via via sembra scomparire la stessa dimensione temporale del futuro, che si capovolge perversamente nella continuazione di un sempre-uguale presente. Il domani non viene più percepito come ‘futuro’ ma come prolungamento di questo presente, di un presente in preda ad automatismi ingovernabili ed autoreferenziali. Il sentimento è che la propria vita, il proprio futuro e il proprio destino non dipendono dal modo in cui il soggetto agisce ma da fattori puramente contingenti e da forze variamente etichettate come «liberalizzazioni», «razionalizzazioni», «esternalizzazioni», «privatizzazioni», «ristrutturazioni produttive», «delocalizzazioni», «deregolamentazioni», etc.

Un altro aspetto non meno significativo della «società flessibile» è che la maggior parte dei lavori discontinui non richiede solidi percorsi scolastici, culturali e formativi. I tipi di competenze richiesti per praticare occupazioni flessibili «non comportano un apprendimento sistematico e a lungo termine» (Z. Bauman, L’istruzione nell’età postmoderna, in Id., La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino, Bologna 2002, p. 167). Anzi, per praticare occupazioni flessibili è sempre più richiesta un’istruzione di breve durata, un «sapere ad uso e smaltimento istantaneo» (Z. Bauman, Capitalismo parassitario, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 40), conoscenze adatte all’utilizzo immediato, kit di autoapprendimento facili da usare.

Di qui la progressiva dequalificazione del sistema pubblico di istruzione e la diffusione dell’idea «che la scuola deve essere solo servizio sociale che eroga formazione a domanda, subalterna alle istanze del sistema produttivo, che non ha interesse alla diffusione del sapere critico aperto alla produzione di senso» (M. Vigli, Scuola dello Stato in tempo di globalizzazione. Quale scuola per quale Stato?, in «Koinè», Periodico culturale, a. X, n. 1, gennaio 2003). Per i lavori flessibili, del resto, è richiesta soprattutto l’interiorizzazione incondizionata della disciplina imposta dal principio di competitività globale, la massima disponibilità ad adattarsi alle esigenze dell’ordine produttivo e ad accettare sempre meno sicurezze, tra cui: sicurezza dell’occupazione (protezione contro i licenziamenti abusivi, cioè senza causa, stabilità dell’occupazione, etc.); sicurezza del reddito (mantenimento di un reddito in grado di assicurare al lavoratore e ai suoi familiari la copertura dei costi per una vita dignitosa); sicurezza nei luoghi di lavoro (protezione contro incidenti e malattie professionali, limiti agli orari e agli straordinari, riduzione dello stress sul lavoro, etc.); sicurezza previdenziale (assicurarsi attraverso un lavoro un reddito che permetta di mantenere, dopo l’uscita dal lavoro, un livello di vita dignitoso); sicurezza di rappresentanza (possibilità di espressione collettiva sul mercato del lavoro attraverso le organizzazioni sindacali).

L’erosione di queste forme di sicurezza (a cominciare da quelle relative alla stabilità dell’occupazione, alla garanzia del reddito, al possesso di conoscenze), riduce drasticamente per molti individui la possibilità di costruirsi una carriera, un’identità lavorativa (svolgendo troppi lavori differenti, discontinui e privi di prospettiva è sempre più difficile per il soggetto rispondere alla domanda «chi sono?»), nonché l’accesso alla formazione continua e permanente (le imprese non hanno alcun interesse a investire nella formazione di lavoratori che dopo un breve periodo non saranno più alle loro dipendenze) e la valorizzazione della professionalità (la qualità dei lavori discontinui è in prevalenza bassa). Per i lavoratori flessibili, occupati di volta in volta attraverso un’interminabile sequenza di contratti a termine, aumenta sempre più il rischio di finire al di sotto della soglia di povertà relativa e di essere colpiti da un momento all’altro dalle cosiddette «politiche di ringiovanimento», che considerano determinati lavoratori «troppo anziani» per svolgere date mansioni. Allo stato attuale «l’etichetta di ‘troppo anziano’ viene applicata sempre più spesso a persone che non hanno ancora raggiunto i 40 anni o ne sono appena al di sopra. Dopodiché la probabilità di trovare nuovamente un’occupazione dello stesso livello professionale e retributivo tende a scendere verso lo zero. Rimane leggermente più alta se la persona interessata accetta qualsiasi lavoro, a qualunque paga, a qualsiasi distanza da casa» (L. Gallino, Vite rinviate. Lo scandalo del lavoro precario, cit., p. 18).

La cosiddetta «società flessibile» – nella misura in cui determina una forte polarizzazione sociale (la ricchezza ed il potere di pochi aumentano, i diritti e le opportunità di molti si riducono drasticamente), nega autonomia e indipendenza a milioni di persone (l’indipendenza della persona è possibile laddove vi è indipendenza economica, riconoscimento sociale, un grado elevato di istruzione, un concreto potere contrattuale nei confronti dell’impresa), erode il tempo necessario per la vita privata, familiare, affettiva, relazionale, comunitaria (il tempo di lavoro colonizza sempre più gli altri tempi della vita), mina la coesione sociale (per i lavoratori flessibili diminuisce il tempo necessario affinché tra persone che lavorano fianco a fianco si stabilisca un legame stabile e duraturo; per questi lavoratori diventano sempre più rare le occasioni per conoscersi, le pratiche collaborative, la partecipazione a forme organizzate di società. Viene meno, in breve, il lavoro come fattore primario di integrazione sociale) – risponde negativamente a tutti i principali parametri oggettivi attraverso cui viene valutata la qualità di una società: reddito medio pro-capite, livello di vita, indice di disuguaglianza, tasso di violenza, indice di sviluppo umano.

 

di Edoardo Puglielli

Dietro l’inaugurazione niente

alfonso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Confesso che sono arrivato in ritardo. Capirete spingevo una carrozzina biposto e quindi arrivare di fronte al nuovo asilo nido è stato difficile. Infatti discorsi ufficiali erano da poco svaniti. Le autorità c’erano tutte. Il Sindaco, il nuovo vice commissario della Regione Abruzzo “Zizzetto” Lolli, la senatrice -renziana-

Stefania Pezzopane e poi la Protezione (in)civile del Piemonte. La Potezione Civile è stato il cavallo di Troia per la città dell’Aquila e per tutti gli abitanti del cratere. In nome “dell’amicizia” e del primo soccorso si sono costruite tutte le politiche di controllo e di “governance” del post terremoto. Comando e controllo in nome e per conto del dogma dell’austerità espansiva. Tuttavia c’è dell’altro. Incontrando l’ex enfant prodige della sinistra aquilana -Giovanni Lolli- ho cercato, approfittando della sua nuova dimensione istituzionale, di intavolare una discussione circa la ricostruzione di Tempera. Ma presto tutto si è esaurito in chiacchiere che molto ricordavano i convenevoli del film di Ettore Scola

“Come Eravamo”. L’onorevole è cambiato ha fatto carriera, soprattutto ha accettato un cambiamento di natura politica e antropologico. I suoi riferimenti non sono più gli ideali del vecchio PCI, il suo popolo, la sua classe di riferimento. Non è neanche un nuovo leader di una rinnovata Democrazia Cristiana. La vecchia “balena bianca” aveva un’altra dimensione: gestiva risorse e potere. Soprattutto il suo potere era costruito su massicci interventi pubbllici, un welfare familiare e un forte rapporto con un privato rampante, quanto forte. Quando vinsero le elezioni nel 1958 non si presentarono con vacue promesse, anzi. Avevano costruite scuole,strade, infrastrutture varie, ci si avviava verso una industrializzazione forzata. Insomma si andava incontro ad una forte, modernità. Tuttavia una modernità piena di contraddizzioni che da li a poco sarebbe esplosa. Il primo ministro di quel partito era Amintore Fanfani il segretario del maggior partito d’opposizione Palmiro Togliatti. Una dimensione altra dal punto di vista storico, dei suoi personaggi. Oggi la cosiddetta politica ha perso qualsiasi dimensione umana e di prospettiva. Il grigiore assoluto è tutto nella dimensione del nuovo corso del PD. C’è poco da sperare.

 

Alfonso De Amicis

Perilli:” La macchina del fango non fermerà le battaglie del Prc”

chicco2

 

 

 

 

 

 

 

In merito alle affermazioni, del tutto false, riportate da un foglio locale, che gli attribuiscono presunti abusi edilizi, il consigliere comunale Enrico Perilli precisa quanto segue.
“In primo luogo – dichiara Perilli – non si tratta di una mia proprietà e non vi è alcun abuso, visto che il fabbricato ha tutte le autorizzazioni in regola, urbanistiche ed edilizie, come si può verificare presso gli uffici comunali competenti o presso l’abitazione stessa del proprietario, visto che questo non sono io mia ma mio padre. Inoltre non si tratta affatto di una nuova realizzazione, visto che è stata costruita nel 1979, quando avevo sei anni.

La strada di accesso, per la quale ci sarebbe stato uno sbancamento, è pertinente al terreno limitrofo, di proprietà di altre persone, con le quali non ho alcun vincolo parentale. Quanto al fabbricato in sè, – prosegue il consigliere – non è assolutamente una “casa”, visto che non è abitabile, poiché privo di cucina, acqua corrente e servizi igienici, e infatti non ci abita nessuno. Per il resto, – conclude Perilli – mi riservo di adire le vie legali a tutela dell’onorabilità mia e delle persone a me vicine, e di presentare un esposto all’Ordine dei Giornalisti”.

L’attivazione di questa macchina del fango da parte di un giornale, peraltro, molto aduso a questo tipo di attacchi strumentali, che non risparmiano parenti di personaggi pubblici, non fermerà le battaglie del Prc per la legalità.
Comprese quelle che riguardano le imprese edili che fanno pubblicità sul giornale in questione.

 

Il Consigliere comunale del Prc
Enrico Perilli

Il Segretario Provinciale del Prc
Francesco Marola

Tecnici e giornalisti di tvuno in sciopero

Morti-sul-lavoro3-400x215-300x137

 

 

 

 

 

 

 Il corpo tecnico e giornalistico dell’emittente televisiva TVUNO srl è in sciopero da oggi e sino al 24 Giugno perché i dipendenti non percepiscono lo stipendio da oltre un anno.
Dopo diverse rassicurazioni ed una serie di promesse non mantenute il personale dipendente della storica televisione aquilana, assistito dalla UGL, si trova costretto ad interrompere la programmazione ordinaria dell’informazione. L’intento è quello di sollecitare la proprietà a dare risposte immediate e concrete ad una situazione non più sostenibile.
In assenza di riscontro lo sciopero continuerà ad oltranza e non si esclude l’adozione di clamorose azione di protesta.

La corruzione è diventata un elemento stabilizzatore del sistema

corruzione-640x426

 

 

 

 

 

 

 

Sono passati 20 anni dagli scandali di tangentopoli e molti, allora come oggi, pensano ed hanno pensato, che sia sufficiente la moralità e l’onestà  per sconfiggere lo scandalo del malaffare e il politicismo coatto. Ed infatti dopo tangentopoli tutto fini nella mani del re dei corruttori.  Il re è rimasto a galla per venti anni, ci è voluta “l’intransigenza” ordinatrice del super stato europeo per cacciarlo, altrimenti sarebbe rimasto nella sua alcova fino alla morte. La politica del “vecchio centrodestra” non era nelle grazie della troika, apparteneva alla concezione di un capitalismo monarchico e quindi desueta rispetto alla dinamicità globalista dei nuovi imperi trasnazionali. Ma il groviglio di affari, di legami, che uniscono le varie famiglie e la imprenditoria italiana non è del tutto scalfita.

Cosi come non ha subito arretramenti i rapporti di quest’ultimi con i gangli dei potere politico ed istituzionale. Gli arresti del Mose, quelli riguardanti i vertici della guardia di finanza cosi come qgli arresti dell’Aquila testimoniano e ci consegnano un sistema ben oleato e ossificato. Una architettura di governance della cosa pubblica, parallela a quella ufficiale che danno vita ad un sistema di corruzzione senza alternativa perchè sovraordinato dai due schieramenti fondamentali della seconda Repubblica. Se si pensa a l’Aquila la cosa è emblematica. Marchetti vice commissario di una struttura plenipotenziaria con possibilità di spesa senza confini. La guida fù affidata ad un uomo che ebbe la sua fortuna con la prima nomina a commissario dei rifiuti a Napoli da parte del governo Prodi.

Successivamente divenne il Re del terremoto. Il PD fece una finta opposizione al suo strapotere. Una sorta di invidia verso Berlusconi. La nomina di quest’uomo, tanto caro anche alle gerarchie ecclesistiche, alla guida di commissario ebbe il consenso bipartisan. Tuttavia i recenti fatti di cronaca del malaffare organizzato supera la fantasia. Spesso assistiamo increduli, ancora perplessi di fronte ai ripetuti scandali che però va ricordato, spesso  è il riflesso fedele della società italiana ai tempi della nuova modernizzazione. Una società italiana sempre più privatastica e pulviscolare e con una mancanza totale del senso civico e del pubblico. “Anche se non va di moda dirlo la corruzzione sgorga spesso dalla beneamata società civile: pervade il mondo dell’impresa, del credito, dell’informazione, il privato meno che il pubblico. Il cuore del problema è la politica perché, tale essendo essendo il costume, della politica soltanto- in primis dal legislatore- può movere dal riscatto. E perché quindi, dove invece la politica non si distingue dal costume e quindi lo asseconda, ne deriva inevitabilmente un disastro. Il rovesciamento dei valori ne trae vigore e i comportamenti anti sociali, già legittimati dal sentire comune, ne risultano legalizzati di nome o di fatto “(Alberto Burgio da Controlacrisi.org).

Questo significa che quando la politica ha perso l’orizzonte del pernsiero lungo e duraturo,della progettualità, e rifugge dalle grandi ideologie e contraddizioni, la sola opzione è quella di obbedire al pensiero unico.  Ed oggi l’unico rimasto in circolazione e l’economicismo al servizio dell’austera Europa. Si capisce bene, che essendoci un’unico treno da prendere molti si sentono “legittimati” all’assalto della diligenza. Cosi si diventa corrotti due volte. Corruzzione legata al malaffare, corruzzione intellettuale. In larga misura la finalità della politica è fare politicismo, in questo modo il sistema della corruzzione si autolimenta. Ma quale è la risposta del governo Renzi a questo groviglio di malaffare e di democrazia? “Per questo, dunque i recenti scandali possono essre gestiti al meglio come il passato che non vuol passare, come la vecchia politica che va rottamata, creando nuovi poteri e nuove regole. E un regime centralizzatissimo contro cui nessuno si deve poter illudere di continuare ad agire come prima.” (Alessandro Avvisato).

La risposta dunque è quella di nominare un commissario alla corruzione. Certamente, il nome scelto è quello della vigilanza sugli appalti ma la sostanza è quella di nominare un Bertolaso con pieni poteri per controllare un sistema che fa acqua da tutte le parti. Richieste che provengono da più parti, ma che hanno una logica comune. La prima, ben precisa a ricordare, che il capitalismo oggi, è un’altra cosa. Non ha più una dimensione familiare ma trasnazionale, efficiente, e la finanza e l’impresa ne costituiscono l’essenza.

La seconda non di meno importante: non si possono continuare a richiedere sacrifici a fronte di un sistema che a destra come a sinistra presenta falle da far impallidire il Titanic. Tuttavia i commissariamenti, come L’Aquila dimostra rappresentano una continuazione della stessa politica con altri mezzi. Ma qui subentra l’informazione. Essa non puo essere solo cassa di risonanza delle parole di un potere sempre più lontano dalle masse di lavoratori e cittadini. Ha il compito di disvelare, di dire con chiarezza che dietro un’immagine c’è ne un’altra ed un’altra ancora. Le notizie non sono neutre la verità è di “parte”

 

Alfonso De Amicis

Enrico Perilli:” un altro Gran Sasso è possibile”

fontari-gran-sasso

 

 

 

 

 

 

 

“Uno: tutti gli impianti sono in passivo; due: il clima è cambiato; tre: gli italiani sono più poveri. Basta o non basta a dire che un modello di sviluppo va ridisegnato? E invece no, siamo furbi noi italiani. Continuiamo a vivere come progresso un fallimento che ha i suoi monumenti arrugginiti in tutto il Paese.”

Con queste parole l’alpinista Fausto De Stefani nel 2009 commentava la crisi dei comprensori sciistici e l’ossessione, alimentata con soldi rigorosamente pubblici, di tenere in vita e/o costruire nuovi impianti a tutti i costi.

I dati statistici e scientifici danno ragione a De Stefani, solo al Nord gli impianti chiusi sono circa 200, i piloni e tralicci abbandonati 4000, su 300 grandi stazioni solo 80 hanno bilanci in attivo; lo zero termico negli ultimi 20 anni si è alzato di 200m e nel 2030, sostengono i climatologi, i centri a valle delle stazioni invernali, nel 72% dei casi, si troveranno sotto il limite. L’Ocse prevede che, sempre per quella data, si scierà solo sopra i 2000m e il CMCC prevede che dal 2030 in poi una perdita di 700ml l’anno. Le stagioni sciistiche sono più corte, da 35-40 giorni (Gran Sasso) a un massimo di 90, per questo sono attivi solo sulle Alpi 40 mila cannoni artificiali: ogni metro cubo di neve programmata costa 4 euro e 3 kilowatt di energia elettrica e 300000 metri cubi di acqua per ogni ettaro di piste!

La situazione sul Gran Sasso non va meglio, anzi: il Centro Turistico del Gran Sasso, ente gestore, ormai è finanziariamente al dissesto, i gironi di apertura degli impianti non superano i 40, la morfologia e il clima della montagna rendono arduo aumentare l’ultimo parametro. Cinque tra seggiovie e skilift abbandonati. Eppure da anni il pensiero unico cementizio ed affaristico, trasversale ad ogni schieramento, cerca di realizzare il Piano D’Area. Un decennio fa, l’allora sottosegretario di AN Nino Sospiri, sponsorizzò questo strumento di variante urbanistica che prevedeva la costruzione di 7 nuovi impianti, l’aumento di cubature degli edifici a valle delle piste ed altri interventi “minori”.

L’ Amministrazione Comunale allora di centrodestra con 38 voti a favore e due contro (PRC,IDV), approvò la variante. Un mese fa l’Amministrazione Comunale di centrosinistra con 24 voti a favore e due contro (PRC, ex IDV ora lista civica) ha confermato e, novità, finanziato quel Piano. Il finanziamento viene dal 5% dei fondi CIPE, in tutto due miliardi destinati alla ricostruzione della città e da questi stornati 100ml per sostenere le attività produttive; di questi 100ml, 15 andranno alla costruzione di nuovi impianti. Prossimo passo sarà la privatizzazione della gestione degli impianti, costruiti con soldi pubblici.

L’area interessata dall’intervento ricade nel Parco Nazionale del G.Sasso e Monti della Laga, le zone di realizzazione degli impianti sono quasi tutte zone S.I.C. (sito interesse comunitario ad alto pregio ambientale), che saranno interessate da sbancamenti per le piste e per i parcheggi, per la sistemazione di piloni alti tra i 4 e gli 8 metri, introduzione di gasex, realizzazione di stazioni di arrivo e partenza alte 8 metri e larghe 20, sospese sui tralicci. Di Parco Nazionale, cioè di un luogo tutelato e conservato,rimarrà ben poco.
Il tutto tra un decennio, nella migliore delle ipotesi, sarà una cattedrale nel deserto.

Le associazioni ambientaliste riunite sotto sigla Emergenzambiente Abruzzo ed altre soggettività locali da anni offrono alternative propongono di utilizzare quei fondi per creare una rete di sentieri per collegare e riaprire i rifugi (solo due funzionanti gli altri chiusi), rinaturalizzare ampie zone prevedendo la creazione di cooperative, sostenere le attività agrosilvopastorali e l’allevamento di qualità, riqualificazione dei borghi medioevali, sostenere attrattive storicoculturali, sono solo alcuni esempi. Un dato su tutti mette a tacere quanti sostengono che solo l’impiantistica pesante può generare posti di lavoro: dal 3 al 5 agosto, da circa 50 anni, si svolge su a Campo Imperatore la rassegna ovina, che vede la partecipazione di 15/20 mila persone, tra curiosi, addetti al settore e turisti, la stessa cifra di un’intera stagione sciistica!

Non bastano queste evidenze, la monocultura dello sci da impianto domina incontrastata, si ripropone la contrapposizione arcaica tra tutela dell’ambiente e creazione di posti di lavoro,
dice Messner: “solo un ambiente intatto potrà reggere il confronto economico con il clima che si vendica della nostra follia” .

Per il Gran Sasso non c’è pace.

 

Enrico Perilli Capogruppo Prc comune L’Aquila, ambientalista

 

Costruire la “Syriza italiana”, la proposta di Rifondazione

fer

 

 

 

 

 

 

 

 

Il voto del 25 maggio è segnato in tutta Europa dalla sofferenza sociale causata dalle politiche di austerità praticate da popolari, liberali e socialisti.
Il segno prevalente è il malessere dei popoli europei rispetto alle conseguenze delle politiche di austerità assunte in sede europea in questi anni, che hanno aggravato la crisi, e rispetto ai governi e alle maggioranze, subalterne al neoliberismo .
A fronte di questo risultato, le classi dirigenti europee rappresentate dal Partito Popolare e dal Partito Socialista intendono rispondere coniugando la prosecuzione di politiche a tutela dei profitti, delle rendite finanziarie e delle banche con la costruzione di una strategia di recupero del consenso popolare. In questa direzione si muovono le proposte di proseguire le politiche neoliberiste allentando le politiche di austerità che hanno già determinato una drastica riduzione dei livelli di copertura del welfare e dei diritti dei lavoratori.
In tal senso il successo del Partito Democratico di Renzi – che con una mano eroga il bonus di 80 euro al mese ad ampi settori della popolazione, e con l’altra continua nell’azione ben più pesante e strutturale di taglio della spesa pubblica e sociale, nelle privatizzazioni, nella precarizzazione del mondo del lavoro, nella salvaguardia del sistema bancario nonché nel mantenimento della controriforma Fornero delle pensioni – si pone come punto di riferimento possibile per una declinazione “blairiana” delle politiche liberiste.
In questo contesto, esprimiamo la nostra piena soddisfazione per il risultato positivo ottenuto dalle forze aderenti al partito della Sinistra Europea e al Gue-Ngl, che hanno posto al centro della proposta politica e della campagna elettorale l’opposizione alle politiche di devastazione sociale praticate da popolari e socialisti; il rifiuto netto della logica delle “larghe intese”; il ruolo delle lotte, del conflitto sociale e la prospettiva della ricostruzione del movimento operaio anche al di là dei singoli confini nazionali.
Il rafforzamento della sinistra europea e lo sviluppo del conflitto di classe rappresentano l’anticorpo e l’alternativa più credibili all’avanzata inquietante delle forze neonaziste e neofasciste che, proprio sul terreno della destrutturazione sociale causata dalla crisi, puntano a rilanciare un “nuovo” nazionalismo fondato sull’egoismo sociale, sul razzismo, sull’esaltazione delle “piccole patrie”.
Il superamento del quorum da parte della lista L’Altra Europa con Tsipras è a sua volta – dato il quadro italiano – un risultato importante e positivo: dopo anni di resistenza e di sconfitte elettorali sul piano nazionale, torna ad eleggere la sinistra che si presenta al fuori di alleanze con il Partito Democratico.
La lista L’altra Europa con Tsipras non è stato solo un fatto elettorale. In questi mesi, attorno alla costruzione della lista, vi è stata una significativa mobilitazione unitaria a sinistra – all’interno della quale ci siamo mossi con nettezza, convinzione e generosità – per raccogliere le firme prima, per fare la campagna elettorale poi.
Proponiamo quindi di operare un salto di qualità e di costruire la “Syriza italiana”, all’interno della Sinistra Europea, ponendo al centro l’alternativa alle politiche di austerità e neo-liberiste, e alle forze e alle coalizioni che le sostengono.
Proponiamo che il processo di costruzione di tale soggetto della sinistra unitaria e plurale non avvenga in modo verticistico e pattizio, ma partecipativo ed inclusivo di tutte le persone concordi con gli obiettivi unitari. L’obiettivo è la costruzione di un soggetto politico della sinistra fondato sulla base del principio “una testa un voto”; che il soggetto unitario abbia piena titolarità sulla rappresentanza elettorale; che forze organizzate, locali e nazionali, che scelgano di attivarsi per il processo unitario senza sciogliersi, s’impegnino a non esercitare vincoli di mandato ed a garantire la libera scelta individuale nell’adesione al nuovo soggetto politico da parte dei propri iscritti e iscritte.
Proponiamo, nello specifico:
– la prosecuzione e l’ampliamento dell’attività dei comitati locali de L’Altra Europa anche attraverso la convocazione di assemblee popolari e territoriali della sinistra;
– una campagna contro l’attacco eversivo di Renzi alla democrazia; attacco che passa sia attraverso la proposta di una nuova legge elettorale di chiaro segno autoritario sia attraverso il varo di una stagione più generale di controriforme.
Riteniamo che la possibilità di costruire una “Syriza italiana” rappresenti una conferma importante della linea politica che  Rifondazione Comunista ha perseguito in questi anni e che ha trovato un primo punto di approdo  nella campagna elettorale: il Prc è stato tra le forze fondatrici della Sinistra Europea e che più hanno investito, in questi anni, in questo progetto; da tempo lavoriamo perché possa prendere piede anche in Italia un polo della sinistra autonomo e alternativo anche al centrosinistra; per primi, in Europa, abbiamo avanzato la candidatura del compagno Alexis Tsipras alla presidenza della commissione europea a tutte le forze della Sinistra Europea.
Siamo stati in grado di contribuire alle liste, nelle diverse circoscrizioni, avanzando candidature espressione del nostro partito e al contempo di vertenze, movimenti e lotte: a partire dai compagni Eleonora Forenza e Fabio Amato, coordinatore della campagna elettorale per la Sinistra Europea, le nostre candidate e i nostri candidati hanno ottenuto risultati positivi e significativi. E’ questo il segno del consenso ottenuto da Paola Morandin, Nicoletta Dosio, Simona Lobina, Antonio Mazzeo e da tutte le compagne e i compagni presenti nella lista. Segno anche di una mobilitazione e dell’impegno della larga maggioranza delle compagne e dei compagni del partito nel dare attuazione alle indicazioni discusse e decise negli organismi.
L’investimento nel processo di costruzione della sinistra deve quindi procedere di pari passo con l’investimento nel rafforzamento e nel rilancio di Rifondazione Comunista. Riteniamo che sia necessaria oggi più che mai la presenza di una forza politica come lo nostra che si ponga il fine di collegare – attorno all’obiettivo dell’uscita dal capitalismo in crisi – le lotte e le istanze di cambiamento e di liberazione che nascono, crescono e si coagulano nella società; il contrario cioè di un processo liquidatorio.
Riteniamo che un rinnovato progetto della rifondazione comunista possa essere il terreno di ricomposizione di tutte le comuniste e i comunisti che vogliono costruire la Syriza italiana e superare i rapporti di produzione capitalistici. Avanziamo quindi questa proposta a tutti i compagni e le compagne interessate e ci impegniamo a perseguire questo obiettivo.
Al fine di rilanciare e rafforzare l’azione di Rifondazione Comunista proseguiremo con gli impegni già assunti:
·la conferenza nazionale di organizzazione;
·il completamento dei congressi regionali entro la fine di giugno;
·la campagna di autofinanziamento;
·l’attività di formazione e l’individuazione di adeguati strumenti di informazione/comunicazione;
Un appuntamento di discussione approfondita  sulle questioni del lavoro e del sindacato.

Riteniamo sia centrale, inoltre, proseguire e rafforzare la nostra iniziativa politica su alcuni grandi questioni che hanno a che fare con i danni causati dalle politiche di austerità:
·il piano per il lavoro e la conversione ecologica dell’economia e la nostra opposizione al Jobs Act;
·il tema del diritto all’abitare e la nostra opposizione al piano Lupi;
il sostegno attivo alla campagna Stop TTIP (Translatantic Trade and Investment Partnership);
·l’adesione alle manifestazioni nazionali del 28 giugno a Roma e dell’11 luglio a Torino, e alle mobilitazioni e a tutte le iniziative che, durante il semestre europeo di presidenza italiana, contesteranno l’Europa dell’austerità e del neo-liberismo per dare corpo all’idea dell’altra Europa.
·A mobilitarsi contro la guerra in Ucraina e la complicità di Usa e Ue con il governo di Kiev e con le forze neonaziste che lo sostengono, in solidarietà con le forze di sinistra, comuniste e antifasciste ucraine.
Le Feste di Liberazione sono un’occasione in cui organizzare iniziative e diffondere materiali su tali importanti temi.
Aderiamo all’importante manifestazione nazionale “Per un’Italia libera e onesta. Ripartiamo dalla Costituzione” che si terrà domani, lunedì 2 giugno a Modena, a difesa della democrazia e contro lo smantellamento dei principi costituzionali.

La segreteria nazionale

ONU incita i calciatori gay del mondiale a dichiarare la loro sessualità

 

diritti-umani

 

 

 

 

 

 

 

 

“I calciatori omosessuali che giocano nel mondiale in Brasile dovrebbero dichiarare la loro sessualità, un’azione che potrebbe aiutare a far sì che gays e lesbiche siano accettati in tutto il mondo”, ha detto ieri, lunedì 16, l’alta commissaria della ONU per i diritti umani, Navi Pillay.

“Invito i giocatori a dichiarare il loro orientamento sessuale senza timore”, ha detto la responsabile della ONU ai giornalisti a Ginevra.

Loro sono modelli di condotta ed è importante inviare questo messaggio” ha indicato la Pillay, aggiungendo che è una vergogna che in quest’epoca le persone debbano nascondere chi sono realmente.

Navy Pillay ha fatto queste dichiarazioni dopo una riunione sull’uguaglianza nello sport, in un’attività supplementare del Consiglio dei Diritti Umani nella ONU, dove si è parlato anche di discriminazione per razza o handicap.

Las Commissaria  ha anche avvisato i governi che vogliono organizzare grandi avvenimenti sportivi, che devono pensare di più a come la loro candidatura danneggerebbe i diritti umani.

L’anfitrione del Mondiale di quest’anno, il Brasile  e quello del 2022, il Catar, sono stati duramente criticati.  Il Brasile per la spesa di 11.000 milioni di dollari in un paese dove scuole e ospedali sono molto carenti e il Catar per sospetta corruzione e la condizione di troppi migranti.

“Gli avvenimenti sportivi devono festeggiare l’allegria del potenziale umano e non generare dolore e abuso”, ha concluso la Pillay.

Il “Futurismo del governo Renzi”

idea

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Confesso che ogni volta che guardo i volti della signora Madia così
come quella dagli occhi verdi della signora Boschi mi sovvengono alla
mente le immagini del film di Bellocchio “Vincere”. Il film narra le
vicende del primo Mussolini, quello per intenderci Socialista e
sindacalista. Il giovane socialista è innamorato della modernità
nascente vissuta con turbolenza insieme alla compagna Ida Dasler.

“Compagni! noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle
scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da
scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi
sicuri della radiosa magnificienza del futuro…” Il bravo Renzi  è
al comando della radiosa magnificienza di una modernità neutra e priva
di contraddizioni. Il suo linguaggio “giovanilistico e rottamatore” in
preda alla “disperazione” del tempo, illusa nel proprio amore e nelle
proprie convinzioni e principi unitamente ai volti “immacolati”
giovani e belli dei propri ministri. Sotto questa coltre ideologica
vanno alla guerra contro i poveri e verso “docili schiavi del
passato”. La contraddizione non risiede più tra lavoro e capitale tra
sfruttamento egoismo e nuova umanità ma tra innovatori e conservatori.

Tuttavia Renzi più che un nuovo “imperatore” somiglia molto al giovane
Craxi e le giovin ministre somiglianno più alla Rachele Guidi che alla
esuberante Ida Dasler. Infatti Renzi la Madia e la Boschi si attestano
con songolare passione “nella vischiosa persistenza dell’abituine
italica a situarsi nella sudditanza subalterna” verso il capitalismo
trasnazionale statunitense ed alla preminenza dello stato germanico.
Senza nessuna strategia, cievamente parlano di riforme, per cambiare,
anzi sbloccare l’Italia. Si tratta, nel suo nudismo politico di un
accentramento autoritario della gestione statuale dentro un’ulteriore
avanzamento del liberismo. Una gravidanza figlia di un seme
opportunamente fatto germogliare dal duo D’Alema-Veltroni. Il loro
linguaggio, molto somiglia ai primi ruggiti della prima Forza Italia.

Antipolitica, slogan, frasi brevi e veloci, vanto del proprio
neofitismo, fine della idea partito per imporre finalmente una nuova
teologia del potere. Prestati allo scopo. Dopo, nulla rimarrà di
queste figure. Ma esse sono creature nate appositamente per far
“fallire” l’Italia. Piena subordinazione al modello dominante in
europa, e verso gli organismi internazionali, uno stato-commesso, un
ritorno a subaltenità di tipo “medievali” ma dentro gli anni duemila.
Per scalfire questo meccanismo fanno fatti saltare i Trattati su cui
si fonda l’Ue, quindi l’UE stessa. Il renzismo come arma di di
distruzione e distrazione di massa va rovesciato. Il prossimo
appuntamento del 28 giugno a Roma ci deve veder tutti partecipi.
Manifestazione del controsemestre europeo.

 

Alfonso De Amicis

È a Cuba uno dei migliori sistemi di istruzione al mondo

cuba scuola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In pochi ne parlano ma il sistema di Istruzione di Cuba è uno dei migliori al mondo. La spesa di L’Avana nell’Istruzione si aggira intorno al 23,6% del Pil contro il 3/4% dell’Italia. Non solo, negli ultimi 35 anni il governo rivoluzionario ha investito più di ogni altro in termini di fondi, strutture, elaborazione teorica e modernizzazione di metodi e programmi.

Quando si parla di Cuba molti radical chic arricciano quasi istintivamente il naso. Difficile dar loro torto, del resto, in quanto Cuba, con la sua stessa esistenza, rappresenta la prova vivente che è possibile organizzare un Paese in modo socialista avendo contro un nemico formidabile come gli Stati Uniti, e quindi come l’Occidente in senso lato.

Quando si parla di Cuba molti di questi radical chic faranno immediato riferimento a Yoani Sanchez e alle sue accuse al governo castrista, peccato che sia stato proprio il suo traduttore italiano recentemente a sbugiardarla, definendola come una donna ambiziosa che inventava letteralmente le notizie per fare audience e creare il suo personaggio. Nonostante gli sforzi fatti da personaggi di grande levatura come Gianni Minà, che hanno disperatamente cercato di lumeggiare la vera realtà di Cuba all’assopito e borioso pubblico occidentale, in molti pensano ancora che Cuba sia una sorta di inferno vivente. Sarebbe forse opportuno ricordare loro che Cuba è molto ma molto differente da quanto viene raccontato da una propaganda anticastrista sempre più rozza, e soprattutto che la vita a Cuba per molti è sicuramente meglio della vita di cui potrebbero fruire in molti dei paesi del mondo cosiddetto “libero”.

In pochi sanno però che Cuba è un Paese che, come pochi, ha saputo combattere una guerra senza quartiere contro l’analfabetismo e la povertà e denutrizione infantili, battaglie che ha saputo anche vincere. Solo per fare un esempio nel 1959, quando la Rivoluzione di Fidel trionfò, a Cuba viveva qualcosa come un milione e mezzo di analfabeti e almeno mezzo milione di semi analfabeti, senza contare le centinaia di migliaia di ragazzi non scolarizzati. Visto che all’epoca Cuba contava poco meno di sette milioni di abitanti ecco che Fidel Castro e i suoi rivoluzionari dovettero porre rimedio a una situazione drammatica. Nel 1959 il 23,6% delle persone non sapeva leggere né scrivere, vi erano 10.000 maestri disoccupati e le aule non erano nemmeno sufficienti a ospitare i pochi studenti presenti. Del resto proprio Fidel Castro prese il potere annunciando che uno degli obiettivi della rivoluzione sarebbe stato quello di garantire a tutti uno dei diritti dell’essere umano: ovvero il diritto ad apprendere e sviluppare le proprie idee.

Negli ultimi 35 anni Cuba ha portato avanti questo lavoro in modo indefesso, continuando a investire nel campo dell’Istruzione sotto ogni punto di vista. E Cuba non è certo la Svizzera dal momento che ha a che fare ormai da anni con gravissimi problemi economici, ma non per questo ha mai abbassato la spesa pubblica per l’istruzione, a oggi pari al 23,6% contro il 3-4% italiano! Strano visto e considerato che per molti radical chic Cuba è invece un esempio di un turpe e illiberale regime, un regime che però considera l’insegnamento un diritto dovere di tutti i cittadini, e che offre il sistema educativo completamente gratuito e democratico a tutti i cubani. Non solo, non esistono distinzioni di razza, sesso, credo religioso, origine e stato sociale; noi in Italia e in Europa possiamo dire lo stesso? Comunque non è finita qui: lo Stato cubano offre anche un ampio sistema di borse di studio per tutti gli studenti e fornisce la possibilità a tutti i lavoratori di accedere a qualsiasi livello di istruzione. Attualmente il tasso di scolarizzazione è del 100% fino agli 11 anni, e il tasso di analfabetismo è sceso all’1,9% della popolazione compresa tra 10 e 49 anni. Il dato assoluto della popolazione analfabeta è del 3,8%, uno dei più bassi al mondo, compresa l’area G8. Il tasso di analfabetismo funzionale degli adulti è di circa il 10% (in Italia è del 65% circa). I laureati universitari sono uno ogni 15 abitanti, dei dati che renderebbero Cuba tra i primi anche nell’avanzatissima Europa. Se poi pensate che sempre a Cuba si trovano 2111 centri di educazione e 46 centri universitari distribuiti in tutto il territorio, ben si comprende che stiamo parlando forse del sistema educativo migliore al mondo se si contestualizza la situazione di Cuba. Secondo tutte le organizzazioni internazionali inoltre il governo di Cuba in questi ultimi anni nonostante versi in difficoltà economiche oggettive non ha mai fatto mancare alla popolazione i servizi fondamentali, compresa l’istruzione. “Le risorse assegnate dallo stato insieme agli sforzi degli operatori del settore hanno permesso di non chiudere una sola scuola, asilo o università, né di lasciare un solo maestro o insegnante senza lavoro”, come ha spiegato l’Unità.

Come vanno invece le cose negli altri paesi considerati saldi alleati di Washington? All’opposto, in quasi tutto il mondo “occidentale” si tende ormai a privatizzare tutto il privatizzabile, col risultato di espellere sempre più persone dall’Istruzione.

Ma Cuba propone un modello da studiare attentamente anche per un altro motivo: il sistema educativo cubano combina studio con lavoro, una caratteristica che rappresenta sul piano metodologico uno dei risultati più importanti della pedagogia cubana. A ispirare questo sistema lavoro-studio fu l’insegnamento di José Martì, l’eroe nazionale che aveva evidenziato la necessità di combattere il divorzio tra la teoria e la pratica, tra lo studio e il lavoro. In pochi sanno che Cuba oggi è riuscita a tenere aperte quasi 14.000 scuole frequentate da oltre tre milioni di studenti. Anche se Cuba non fa parte dell’Ocse, secondo varie rilevazioni internazionali Cuba si trova al primo posto, con molti punti di vantaggio, nel mondo latino-americano, al punto che secondo molti sarebbe alla pari con la Finlandia. Il corpo docenti conta qualcosa come trecentomila unità tra maestri e professori, mentre per l’insegnamento alle elementari Cuba può già contare su 18.000 maestri con istruzione universitaria.

Cosa ancora più difficile a credersi, ma vera, gli studenti cubani oltre a ricevere una istruzione di primordine completamente gratis, ottengono gratis anche il materiale scolastico e tutto quello che concerne con l’istruzione, dall’alloggio all’alimentazione passando per il vestiario e uno stipendio per le spese. Spese che non servono a coprire il servizio sanitario dal momento che tutti già ricevono un’assistenza medica gratuita e, nei limiti delle possibilità, il diritto alla ricreazione e al trasporto dai propri luoghi di residenza, talvolta anche molto lontani dalle scuole di appartenenza. Nella scuola primaria cubana recentemente è stato raggiunto il 72% degli alunni che frequentano il sesto grado con la modalità del tempo pieno (in Sicilia abbiamo meno del 3%!).

All’inizio della Rivoluzione a Cuba l’81% della popolazione studentesca frequentava le elementari e solo il 2% l’università, oggi si ha un 100% della popolazione alle elementari, un 97% alle medie, un 78% di pre universitario e un 21% all’ università. Insomma, piaccia o meno ai radical chic e ai fan della “democrazia” nostrani, Cuba è uno dei primi paesi nel mondo per quanto riguarda gli investimenti procapite nelle attività scolastiche.

Vi era poi una leggenda radicata, ovvero che i maestri cubani riceverebbero uno stipendio infame essendo così costretti a fare altri lavoretti degradanti per sopravvivere. Niente di più falso dal momento che i maestri ricevono uno stipendio tra i più alti a Cuba e soprattutto oggi L’Avana conta quasi dieci volte di più il numero di medici che aveva nel 1959.

ma che impallidisce rispetto alla proporzione di Cuba di 1 su 13, ma stranamente nessuno vi parlerà di questo aspetto. E mentre da noi in Europa si taglia il tagliabile, anche alle persone in difficoltà, a Cuba ci sono 512 scuole per l’istruzione differenziata con 63.000 iscritti per 7 specializzazioni, scuole rivolte a bambini o giovani con limitazioni fisiche e mentali, difficoltà nell’apprendimento e problemi seri come disturbi alla vista, all’udito, alla parola, ritardo mentale acuto, impedimento fisico-motorio. A Cuba il 100% dei bambini malati è completamente scolarizzato.

Insomma leggete questi dati e riflettete, pensate davvero che viviamo in un Paese e in una società che sia in grado di dare giudizi di valore su Cuba? E soprattutto, pensate davvero che il nostro definirci “democratici” ci metta su un gradino superiore rispetto a Cuba? I dati lascerebbero pensare di no.