Stasera, tiferò Italia. L’Uruguay, però, resta una splendida passione.

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Di Nello Avellani giornalista di Newstown.it

Stasera, tiferò Italia. Non posso nascondere, però, il grande amore che da sempre mi lega all’Uruguay. Fin dalla prima maglietta da calcio della Celeste, edizione ‘Italia ’90’ presa con i punti delle merendine. Aveva cinque stelle, non ho mai capito perché.

Il piccolo Uruguay ha regalato al mondo giocatori fantastici: Schiaffino, Francescoli, Cubilla, Pato Aguilera, il pistolero Suarez. Gente che bada al sodo, con sprazzi di incredibile follia e genialità. Recoba, per dire, aveva solo la genialità e la follia: altrimenti, sarebbe stato tra i più grandi calciatori di tutti i tempi. E’ rimasto l’eterno incompiuto, invece.

Anche questo significa per me l’Uruguay. ‘I maestri’, li definiva Gianni Brera.

Sessantaquattro anni dopo, resto ancora affascinato dalla incredibile vicenda del Maracanazo: il Brasile di Jair, una delle nazionali di calcio più forti di sempre che, davanti a 200mila spettatori in festa, perde la finale del mondiale di casa contro la Celeste. Che era data per spacciata persino dalla sua Federazione.

Invece, incassato l’1-0, il capitano del mitico Uruguay 1950, Obdulo Varela, prese la palla tra le mani. Ci mise un secolo a tornare a centrocampo. Litigò con l’arbitro. Fece innervosire avversari e tifosi sugli spalti. Spense l’euforia del momento. E capì – lo raccontò anni dopo – che avrebbero vinto la partita. Finì 2-1, con gol di Ghiggia allo scadere.

«Era tutto previsto, tranne il trionfo dell’Uruguay», disse Jules Rimet.

Varela, quella notte, camminò le strade brasiliane incrociando gli sguardi disperati dei tifosi avversari. Prese una birra, offerta, e pianse nel vedere la disperazione di un popolo intero.

Eccolo, lo spirito uruguagio. A Varela, ho intitolato anche una trasmissione radiofonica a cui sono molto legato, ricordo di una torrida estate a Radio Pop di Roma. Sognando Varela, si chiamava.

Stasera, tiferò Italia. L’Uruguay, però, resta una splendida passione.