Mettere subito in sicurezza la curva killer tra Barisciano e Poggio Picenze

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Da anni i cittadini dei paesi collegati con il capoluogo dalla SS17  segnalano la pericolosità della curva posta al termine del lungo rettilineo che da Barisciano porta a Poggio Picenze. Da sempre quel tratto di strada ha visto il susseguirsi di incidenti con cadenza settimanale, alcuni dei quali mortali.

Per mettere in sicurezza la curva killer basterebbero solo pochi lavori di sbancamento per allargarla e addolcirne l’angolazione. Così com’è oggi, stretta e ad angolo retto rappresenta un imbuto per gli automobilisti che si trovano a passare. Si attivi immediatamente l’Anas per posizionare una segnaletica adeguata e poi per avviare i lavori.

E’ triste dover constatare che la città capoluogo d’Abruzzo debba essere collegata con Pescara e altri importanti centri della regione in questo modo indegno. Nei prossimi giorni scriveremo all’Anas e a tutti gli amministratori del territorio per risolvere un problema che riguarda la sicurezza stradale e di conseguenza la tutela dei cittadini.

Goffredo Juchich

Segretario Comunale Prc L’Aquila Circolo A Casamobile

Anpi e Ampia il 10 Febbraio per la Giornata del ricordo

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In occasione della “Giornata del ricordo” (celebrazione nazionale istituita con la legge 30 marzo2004 n. 92 per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata) l’ANPI e l’ANPPIA dell’Aquila organizzano un incontro dal titolo: “Il nazi-fascismo, la guerra imperialista italiana sul confine orientale, le foibe: conoscere la storia per capire la realtà”con l’obiettivo di riflettere su questa drammatica vicenda nel quadro degli avvenimenti storici che coinvolsero quelle popolazioni sin dal primo conflitto mondiale, poi con l’avvento del fascismo e il tentativo di annessione del territorio jugoslavo, infine con la seconda guerra mondiale e le scelte Alleate sui confini nord orientali dell’Italia.

In questo quadro e senza reticenze si affronta la tragedia delle foibe che per troppi anni nel dopoguerra – anche per speculazioni politiche da parte della destra – è stata sottovalutata.

A partire dagli anni ’90 la ricerca storica si è sviluppata coinvolgendo anche le istituzioni: e nel 1993 i Ministeri degli Esteri di Italia e Slovenia istituirono una commissione congiunta storico-culturale che dopo 7 anni approvò all’unanimità una relazione fondamentale per inquadrare il dramma delle foibe nel contesto storico.

Nel corso dell’incontro promosso da ANPI e ANPPIA, oltre a documenti, testimonianze e interventi, verrà proiettato Fascist Legacy (“L’eredità del fascismo”) un documentario sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la seconda guerra mondiale, realizzato nel 1989 dalla BBC (regia di Ken Kirby) con interviste agli storici Claudio Pavone, Giorgio Rochat e Giovanni De Luna.

L’appuntamento è per lunedì 10 febbraio 2014, alle ore 18 presso la Sala convegni dell’Hotel 99 Cannelle all’Aquila.

 

Domani Antiproibizionisti in piazza a Roma

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di Va. re. – il manifesto

Otto anni fa entrava in vigore una delle leggi più liber­ti­cide in mate­ria di droga mai appro­vate in un regime demo­cra­tico, la così detta Fini-Giovanardi. Otto anni dopo gli effetti sono gli occhi di tutti: cri­mi­na­liz­za­zione dei con­su­ma­tori di sostanze, aumento degli ingressi in car­cere per reati legati agli stu­pe­fa­centi, nes­sun serio intral­cio agli affari delle nar­co­ma­fie. Una legge nata da una for­za­tura isti­tu­zio­nale, inse­rita d’urgenza nella decre­ta­zione legata alla sicu­rezza delle olim­piadi inver­nali di Torino.

La Fini-Giovanardi nasce nel clima della guerra alla droga di Bush junior che det­tava la linea in tutto il mondo. Ora che quella guerra è stata persa sono­ra­mente, il dogma del proi­bi­zio­ni­smo viene messo in discus­sione a livello glo­bale. Negli Stati uniti diversi stati vanno verso la lega­liz­za­zione e la ven­dita di mari­juana sotto il con­trollo dello stato, come accade da qual­che set­ti­mana in Colo­rado, l’Uruguay di Mujica ha intra­preso con deci­sione la stessa strada. Obama con­fessa can­di­da­mente di aver fumato spi­nelli, pec­cato di gio­ventù ammette, e apre al dibat­tito sulla legalizzazione.

L’11 feb­braio la Fini-Giovanardi pas­serà al vaglio della Con­sulta, men­tre sabato pros­simo il movi­mento anti­proi­bi­zio­ni­sta tor­nerà ad occu­pare le strade di Roma con una street-parade nazio­nale. «Sono stati anni di resi­stenza — rac­conta Mefi­sto, una delle voci sto­ri­che dell’antiproibizionismo ita­liano — ma una legge assurda e ingiu­sta ha creato gli anti­corpi a se stessa nella società che l’ha subita. E’ ora di cam­biare direzione».

Tutto si è rimesso in cam­mino lo scorso 15 dicem­bre quando al cen­tro sociale romano Forte Pre­ne­stino asso­cia­zioni e realtà di base da tutta la peni­sola si sono incon­trate per deci­dere di tor­nare in piazza assieme. L’appello «Ille­gale è la legge» a quel punto ha rac­colto cen­ti­naia di firme: ci sono per­so­na­lità dei par­titi della sini­stra, asso­cia­zioni anti­ma­fia e per il rispetto dei diritti umani, arti­sti e intel­let­tuali, pazienti che chie­dono di avere il diritto di curarsi con l’erba, reti stu­den­te­sche e sociali. «Il fronte anti­proi­bi­zio­ni­sta si è allar­gato in que­sti anni, non è più solo lo slo­gan di una mino­ranza. Il proi­bi­zio­ni­smo forse è già mino­ranza nella società reale anche se non è così nei palazzi», spiega ancora Mefi­sto aggiun­gendo che «non basta di certo can­cel­lare la Fini-Giovanardi per ripri­sti­nare la situa­zione pre­ce­dente, ma que­sta legge può dav­vero essere giu­di­cata inco­sti­tu­zio­nale, come già acca­duto in tante sen­tenze di tri­bu­nale. Anche l’Europa ha richia­mato il nostro paese per­ché le Fini-Giovanardi va con­tro le diret­tive comu­ni­ta­rie in materia».

Alla con­fe­renza stampa è inter­ve­nuta anche Vale­ria Grasso, impren­di­trice sici­liana che ha detto no al rac­ket e che ora vive sotto scorta, che ha spie­gato le sue ragioni d’adesione alla mani­fe­sta­zione. «Prima l’idea di lega­liz­zare la can­na­bis mi sem­brava una fol­lia, poi mi sono docu­men­tata e ho cam­biato la mia opi­nione. La lotta alla mafia si con­duce anche attra­verso una poli­tica diversa legata alle sostanze». Lotta alla mafia e al nar­co­traf­fico, libertà di scelta, crisi eco­no­mica e pos­si­bi­lità di svi­luppo: sono tante le ragioni dell’antiproibizionismo. Tra que­ste il rap­porto tra leggi liber­ti­cide in mate­ria di dro­ghe e car­cere. Patri­zio Gon­nella, pre­si­dente dell’associazione Anti­gone, sot­to­li­nea come «è irri­man­da­bile dimi­nuire il flusso in ingresso nelle car­ceri, il cosid­detto svuota car­ceri è asso­lu­ta­mente insuf­fi­ciente ed è asso­lu­ta­mente neces­sa­rio modi­fi­care la legi­sla­zione sugli stu­pe­fa­centi. E’ un bat­ta­glia che si può vin­cere gra­zie anche al dibat­tito pub­blico inter­na­zio­nale che si è aperto e al pas­sag­gio costi­tu­zio­nale dell’11 feb­braio». L’appuntamento è per sabato 8 alla Bocca della Verità, a Roma.

Maggio 1919 Antonio Gramsci‏

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Maggioranze e minoranze, riforme e rivoluzioni, parole
arcaiche e vuote di senso, se il senso deve essere quello tradizionale
registrato dai libri e definito negli atti dei congressi.
        
Non esistono maggioranze e minoranze: esiste il caos sociale.
non esiste più possibilità di riforme; dove non c'è nulla, anche il re
perde i suoi diritti, immaginate il riformista! Il riformismo è un
lusso dei tempi di abbondanza, è prodigalità di Epulsone verso Lazzaro
affamato.... Esiste un'organizzazione logorata e arruginita: il
complesso degli istituti degli istituti economici, politici e morali,
generati dalla struttura economica della proprietà privata
capitalistica, lo Stato nazionale parlamentare. Essa non riesce più a
contare i suoi aderente, che la disertano, che evadono interroriti o
nauseati  dal suo dominio. La maggioranza della borghesia è un mito
sguaiato...  La finzione giuridica del contratto statutario di
convivenza pacifica fra le classi e i ceti in concorrenza legale per
la conquista dello Stato è irremediabilmente caduta."
 
        Antonio Gramsci "L'ORDINE NUOVO"
 
           Postato per voi affinché ne facciate buon pro'
 
                IL DUCA GAGLIARDO DELLA FORCOLETTA

Italo Grossi

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Poesia di Nando Giammarini

 

Era un politico, onesto sensibile e originale

Dialettica chiara un colto linguaggio

Che ben sapeva districarsi tra il bene e il male

In ogni circostanza si distingueva il suo messaggio

Uomo di umiltà e di bontà che tanto vale

Persona di correttezza infinita, uomo saggio

Difendeva i meno abbienti con fermezza ma pacato

Senza arroganza , modesto ed educato.

Di Italo Grossi nessuno si è dimenticato

Io lo ricordo con immenso affetto e con piacere

Tante le prove di correttezza egli ci ha lasciato

Le diffondiamo ai quattro venti, è nostro dovere

A difendere la verità aognun di noi ha insegnato

Illustre uomo di coerenza e nobili maniere

Trasmetti ai giovani esempi di vita e gloria

che di te fanno luminosa storia.

Qui si fa sosta è davvero obbligatoria

Che di generosità sei stato modello

Perciò lunga sarà la cronistoria

Ti antepongo davanti a questo o a quello

Senza alcuno sforzo di memoria

Passato l’inverno arriva il tempo bello

In vita sei stata persona giusta e onesta

Memore in Abruzzo il tuo ricordo resta!

Stop omofobia, l’Ue tuteli i diritti omosessuali

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Il par­la­mento euro­pero ha appro­vato una riso­lu­zione con­tro l’omofobia e sol­le­ci­tato Bru­xel­les una sorta di tabella di mar­cia per arri­vare a garan­tire in tempi certi la tutela dei diritti fon­da­men­tali delle per­sone lesbi­che, gay, bises­suali, tran­sgen­der e inter­ses­suali. La riso­lu­zione, non legi­sla­tiva, è stata appro­vata con 394 voti a favore, 176 con­trari e 72 asten­sioni. «L’omofobia non deve più essere tol­le­rata in Europa», ha detto la rela­trice della riso­lu­zione, la verde austriaca Ulrike Luna­cek. Stra­sburgo «con­danna con forza qual­siasi forma di discri­mi­na­zione legata all’orientamento ses­suale e all’identità di genere» e «deplora viva­mente che i diritti fon­da­men­tali» di omo­ses­suali, tran­sgen­der «non siano ancora sem­pre pie­na­mente rispet­tati nella Ue». Per que­sto i depu­tati chie­dono alla Com­mis­sione Ue di pre­sen­tare una chiara stra­te­gia anti-discriminatoria e pro-integrazione da decli­nare nella scuola (no al bul­li­smo), al lavoro e nella sanità (eli­mi­na­zione dalla list dell’Oms della tran­ses­sua­lità come disturbo mentale).

Un po’ di realtà

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di Luigi Fiammata

 

Alla fine del 2013, gli Iscritti al Centro per l’Impiego de L’Aquila, erano 23.310.

Il Centro per l’Impiego de L’Aquila, serve l’area che va, più o meno,  da Montereale a Capestrano, dove vivono circa 106.000 persone; gli Iscritti al Collocamento, quindi, sono il 21,88% dei residenti.

 

Tra il 2009 e il 2013, il numero degli iscritti al Centro per l’Impiego è cresciuto di 6980 unità, un aumento del 42% circa.

Il 52% degli Iscritti al Centro per l’Impiego è donna.

 

Circa il 38% degli Iscritti al Centro per l’Impiego è diplomato; circa il 9% è laureato; il 30% circa ha, come titolo di studio, solo la scuola dell’Obbligo.

 

Al 31/12/2013 , risultano iscritti al Centro per l’Impiego, da più di 24 mesi,  4115 persone ( il 17% del totale degli iscritti, circa; di questi, 1671 sono maschi, e 2444 sono femmine. Dal 2009, i maschi in questa specifica condizione, sono aumentati dell’81%; le femmine sono aumentate del 102%.

 

Dal 2009 ad oggi, gli avviamenti al lavoro, sono passati da 9322 a 10309, con un aumento del 10,5%.

Nello stesso periodo, le cessazioni dei rapporti di lavoro, sono passate da 9693 a 11515, con un aumento del 18,7%.

 

Il dato degli Iscritti al Centro per l’Impiego, provenienti da altri Paesi, ha solo una base provinciale. Si tratta quindi di un dato non paragonabile con i numeri aquilani.

Va detto, comunque, che, su base provinciale, gli stranieri comunitari iscritti ai Centri per l’Impiego, nel 2009 erano 2271, mentre nel 2013 erano 4425 ( con un aumento del 94% ); quelli extracomunitari sono passati, nello stesso intervallo di tempo, da 4063 a 6633 ( con un aumento del 63% ). Tra gli stranieri iscritti al Centro per l’Impiego nel 2013, 5370 sono donne e 5688 uomini.

 

Questi sono alcuni  numeri scelti tra quelli che il Centro per l’Impiego e la Direzione provinciale del Lavoro monitorano. E spiegano alcune linee di tendenza della nostra realtà.

 

In primo luogo, spiegano che, tra il 2009 e il 2013, gli anni della crisi globale, e italiana in special modo, L’Aquila ha vissuto e vive un peggioramento netto della propria condizione materiale. Lo si vede da tre fattori, specialmente:

  • l’aumento degli iscritti al Centro per l’Impiego, ben al di la di una crescita derivata da un incremento demografico;
  • la dinamica occupazionale costantemente negativa, nel saldo annuale tra avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro;
  • l’aumentato numero di quelli che sono iscritti al Centro per l’Impiego da un tempo lungo, e che non riescono a rientrare, o entrare nel mondo del lavoro.

 

Questi dati indicano che il tessuto economico del territorio, neanche in una condizione specialissima come quella della ricostruzione post-sisma, riesce ad intaccare lo stock di Iscritti e Iscritte al Centro per l’Impiego, sia pure scontando un saldo migratorio attivo che certamente incide su questa condizione.

 

Questi dati indicano svariate criticità :

 

  1. Non vi sono state in questi anni politiche anti-cicliche, o, semplicemente, capaci di sostenere l’economia: si è discusso, sul nostro territorio, di misure come la “zona franca urbana”, o di fondi dedicati alla ricostruzione economica dell’area colpita dal sisma, e il risultato è negativo. La politica, o le forze sociali ( Sindacati e Imprese ), che hanno discusso di questo, hanno dimostrato di non aver compreso nulla di quanto accade sul Territorio e nel Paese: le Imprese che intendano assumere o investire, lo fanno a partire da considerazioni che prescindono dalla presenza di sostegno pubblico, che è comunque gradito e ricercato, ovviamente;
  2. Non vi è stata alcuna politica attiva del lavoro; né in termini generali, né specifici. Nessuna politica capace di intervenire sul fenomeno di coloro i quali da troppo tempo sono assenti dal mercato del lavoro; o sul fenomeno della disoccupazione scolarizzata o sul fenomeno della disoccupazione femminile; o su quella degli ultracinquantenni gettati nella disperazione dalle riforme pensionistiche;
  3. Vi sono state solo politiche passive del lavoro, attraverso l’uso dei cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga, che hanno prodotto e producono passivizzazione e frustrazione, umiliando le persone che, tra l’altro, non percepiscono mensilità da luglio 2013 e che, dal momento del licenziamento, non ricevono alcun ri-orientamento pubblico al lavoro; ma creando anche pericolose sacche di “lavoro nero”, necessitato, o di comodo. Queste stesse politiche sono senza prospettive reali, vista la mancanza di fondi, e l’uso dei fondi per l’area del terremoto, per tutto l’Abruzzo, e visti i progetti di riforma del Governo che sono in realtà tagli selvaggi a quel poco che oggi c’è. Queste politiche passive hanno sino ad ora consentito di non affrontare conflitti sociali: lo hanno consentito in primo luogo al Sindacato  e alla Regione Abruzzo, che si sono comodamente sdraiati sui finanziamenti nazionali, permettendo alle imprese, nei fatti, ogni libertà di ristrutturazione e di licenziamento. Arrivando al paradosso di aziende che, attraverso il ricorso alla cassa integrazione in deroga, continuano a drogare la loro competitività sul mercato;
  4. Non c’è alcun intervento di cui si avverta il peso per equilibrare la presenza di Lavoratori stranieri sul nostro territorio. Tale presenza, sta già producendo un conflitto sordo: che è quello che si gioca sul terreno della cosiddetta “sicurezza” e delle statistiche sui reati commessi nel territorio. Mentre è in realtà soprattutto un conflitto per il lavoro e sul lavoro. In presenza di una assurda politica nazionale sui fenomeni migratori, gli Enti Locali, le Forze Sociali, avrebbero il dovere di costruire seri percorsi che disinneschino la bomba sociale sui cui a L’Aquila siamo seduti. E forse è già tardi;
  5. La dinamica occupazionale costantemente negativa in questi cinque anni, non è solo il frutto di una crisi che è nazionale e globale, e sulla quale la ricostruzione non ha inciso significativamente, se non magari contribuendo a rendere più ampi e veloci i fenomeni, ma anche di una ulteriore precarizzazione in nessun modo contrastata, ma anzi favorita dagli innumerevoli strumenti che non producono un solo posto di lavoro in più ( borse lavoro, tirocini, stages etc. ), ma solo sostituzione di posti di lavoro stabili con posti di lavoro ricattabili: lo si legge in controluce anche dalla qualità degli avviamenti al lavoro nel nostro territorio: quelli a tempo indeterminato sono circa il 40% degli avviati totali, tenendo conto che anche in edilizia si avvia con contratti a tempo indeterminato, per poi licenziare con la brutta stagione.

 

Nessuno può pensare che da L’Aquila, o dall’Abruzzo, sia possibile porre in essere politiche in grado di sconfiggere una crisi economica drammatica come quella che viviamo dall’estate del 2008 ad oggi.

Ma è davvero difficile accettare che nessuna delle politiche poste sin qui in essere abbia prodotto un qualche risultato di rilievo. Nessuno dei nodi strutturali che riguardano la situazione del mercato del lavoro aquilano è stato oggetto di studio e di intervento politico o sociale. E, in verità, nessuno pare neanche essersi posto il problema.

La deregolamentazione di questi decenni, la drammatica perdita di potere contrattuale del Sindacato, l’assenza di ogni politica industriale o di serio sostegno all’economia del Paese e del Territorio, ci lasciano un campo di battaglia irto di macerie e trappole, nel quale le persone si aggirano da sole, e senza protezione alcuna, che non sia quella delle reti familistiche o clientelari.

 

Buona parte della Questione Morale, da qui nasce.

Sei aquilano se..

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di Christian Marchetti

Sei aquilano se… Sei aquilano se ti trovi all’Acquacetosa, a Roma, al Centro di preparazione olimpica del Coni che poi è il quartier generale della Nazionale di rugby, e ti senti solo come un cane in mezzo a tanta gente. Vuoto cosmico, un film polacco con sottotitoli in ucraino. Gli uomini di Jacques Brunel preparano in questi giorni la sfida alla Francia di domenica a Saint Denis, e di aquilano non si sente nemmeno un seppur vago “ju”. Sei aquilano se poi incroci Troiani, Gino Troiani, il manager azzurro, e… ‘ngulo… loco te ringalluzzisci… e gli dici: “Oh, Gi’, mbè? Che dici?” E lui: “Eh, gnende. Tu?”. E tu: “Eh, gnende”. Ma prima con Gino era diverso. Gli rubavi un quarto d’ora prima dell’intervista e cominciavi a fare discorsi del tipo: “‘ngulo, Gi’, ma sta a vede’ L’Aquilarebbi?” E lui (rammaricato): “Eh, la stengo a vede’…”. E tu: “Eh, ‘nfatti”. Oggi invece Gino, ex estremo e apertura dell’Aquila rugby, squadra con cui ha vinto gli ultimi tre scudetti, boh… che ne saccio, s’è “rezzelato”. Nel senso che l’altro giorno ha cazziato l’autore di queste righe: “Su, se dobbiamo parla’ parliamo sennò mi rimetto a fare quello che stavo facendo”. Non si parla nemmeno più in dialetto aquilano, con Gino. Che tra un po’ si farà chiamare pure Luigi… Sei aquilano se capisci perché Gino fa così. E Gino fa così perché pure issu, ju quatranu, se sente solo. Masò, che poi sarebbe Andrea Masi, non c’è più. Cioè, lui è infortunato. Era infortunato. Uno di quei guai che ci metti tanto, un ginocchio grosso come ‘nu cocommaru faceva vedere su Twitter. Ma adesso Masò è tornato e tutti, a Londra, tra gli Wasps che poi è il suo club, sono felici. Sì, ma è Londra. E sei aquilano se… se ti senti solo. Nella capitale inglese, nella stessa squadra, c’è pure Carlo Festuccia. Tallonatore, ha rinnovato da poco con il club. Gioca molto, se fa ‘nu c..u che la metà abbasta, negli intervalli degli allenamenti prepara pure la Carbonara (non gli arrosticini soltanto perché gli inglesi manco ju sanno mette ‘nu zippo ‘mmezzo a carne suscì piccola) ed è felice così. A chi scrive lo dice Luca, il fratello, che ogni tanto lo chiama per farlo sentire meno solo. Sei aquilano se, comunque, caro Carlo, ultimamente qui tra i colleghi s’è fatto il tuo nome. “Oh, riga’, Ghiraldini rischia”. “Titolare Giazzon, allora. Ma un altro convocato lo devi chiama’”. “Festuccia!” “Eh, Festuccia!” “Fermi! Brunel non sembra essere d’accordo con voi. Davanti gli ha messo Manici e D’Apice”. Sei aquilano se… poi ti incazzi pure un po’ con L’Aquila rugby, che da qualche anno non ha il vivaio rigoglioso come un tempo. Sarà che a L’Aquila jela… Scherzi a parte, di convocati nelle nazionali giovanili se ne vedono sempre meno. Tutto questo mentre i ragazzi della prima squadra tirano ju collu per via di quegli stipendi che arrivano a singhiozzo. A Natale però Marchetti ha conosciuto il presidente. Simpatico ‘na cifra, per carità, ma costretto, porello, a recitare il solito ruolo da sempre pittoresco di presidente dell’Aquila rugby: non è lui a tirar fuori direttamente i dindi, bensì questa sorta di pool di sponsor (ahahahahahahah). Una volta c’era la Cassa di Risparmio ma mo, da quando so’ diventati emiliani, chi ji capisce più quiji? E comunque la squadra gioca in Serie A, che non è più la Serie A di una volta. Oggi è una specie di Serie B e nel massimo campionato, l’Eccellenza, giocano Mogliano (campione d’Italia) e San Donà. Certo che s’è ‘mpazzito forte ‘sto mondo! Sei aquilano se ti chiedi quale fine abbia fatto Quartaroli, l’ultimo talento di livello internazionale espresso dal rebbi de noiatri. Gioca a Parma, nelle Zebre. Oddio, gioca… Ultimamente non è che si sia visto tanto in campo. Tra infortuni prima ed esclusioni dal giro della Nazionale poi. Anzi, la prossima volta glielo chiedo a Brunel: “Jacques, ma Quartaroli che fine ha fatto?” Ma poi quello lo chiamerà “Quartarolì”, alla francese, e ci sarà da ‘nguastisse. Sei aquilano se, dentro questo bar all’Acquacetosa, in attesa di parlare con ‘sti ragazzi del Norde con la maglia azzurra, ti giri verso la finestra, guardi la pioggia scendere e ti chiedi cosa sarà mai successo a quello sport che tanto amavamo e che tanto lustro ha dato alla nostra città. Boh, vallo a capi’. Gino, hai due minuti? Mi sento solo.

Carta di Lampedusa: una svolta nella lotta al razzismo

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di Stefano Galieni

 

Il primo febbraio potrebbe, il condizionale è d’obbligo, segnare una data di passaggio nel mondo dell’antirazzismo e della percezione d’Europa non solo in questo Paese. L’approvazione della Carta di Lampedusa, un patto di riconoscimento comune fra realtà diverse, non riguarda solo i temi dell’immigrazione. In 3 giorni si è discusso, in un’isola battuta dalle intemperie, frontiera sud del continente di come ripartire per ribaltare la frontiera, i linguaggi, le prospettive. Un lavoro complesso nel metodo e nel merito, iniziato mesi fa, dopo l’immonda ecatombe del 3 ottobre, non certo per lavarsi la coscienza ma per uscire da un imbuto di morte e di impotenza in cui tutti sembriamo spesso rinchiusi. Il testo emerso da giorni intensi che hanno visto il coinvolgimento di cittadini di Lampedusa, di migranti e di persone provenienti dall’intero continente, non è la soluzione di tutti i mali o il segnale della costituzione di un ennesima nuova soggettività fra le altre insufficienti. Basta leggerne la versione per ora definitiva (pubblicata su www.meltingpot.org ) per comprendere come si tratti, almeno nella stesura di un salto di qualità, culturale e politico con cui è necessario fare i conti. Un testo a tratti difficile, forse foriero di astrazioni e di utopie, poco compatibile col quadro politico attuale e per questo eversivo e condivisibile. Si è provato in un percorso partecipato, facilitato dall’utilizzo della tecnologia, dal wikiblog alle web conference, a rendere orizzontale una riflessione che vede compartecipi soggettività per tanti anni incompatibili ma legate da un sotterraneo legame di classe. Nella 3 giorni lampedusana si sono incontrati e confrontati soggetti lontani fra loro: gli imprenditori dell’isola e gli attivisti dei movimenti, i rifugiati sparsi per l’Europa e gli attivisti di associazioni laiche e religiose, le madri lampedusane che pagano caro il proprio isolamento e le teste pensanti di un mondo diverso, gli studenti costretti in un unico liceo e i militanti di sindacati, coordinamenti vecchi e nuovi, che localmente, da Bolzano a Catania credono e combattono per un mondo senza frontiere incuranti degli equilibri di una politica distante e incomprensibile. Voci discordanti che trovavano nella richiesta di un pianeta diverso un proprio punto di convergenza in cui si tentava di alterare i linguaggi e i rapporti di potere che questi sottintendono. Utopia sì. Utopia e realtà che si sono incontrate, l’ambizione di spezzare catene prestabilite e la certezza di avere ipotesi concrete di rivedere le relazioni umane a partire da questa sponda estrema del Mediterraneo. Un mare senza navi di guerra e ponte per persone che possano decidere se muoversi in ogni senso, restare, resistere o circolare, un’isola che rifiuta di essere di essere stereotipo di emergenza per migranti e pretende di veder garantita la parità di condizioni di vita per autoctoni e persone appena arrivata. Un’isola in cui oggi nascere è una impresa – il parto e l’assistenza alla gravidanza sono garantiti sono viaggiando continuamente verso la Sicilia – in cui in inverno, il riscaldamento, le verdure, il gasolio, dipendono dalla clemenza del mare, in cui ci si sente spesso estranei all’Europa, cittadini di seconda classe. Ma un’isola che può rideclinarsi come risorsa e luogo di mobilitazione, motore di energia sovversiva e dirompente, capace di imporsi ben oltre i propri 22 km quadrati di superfice. Ora il patto stabilito deve tramutarsi in pratiche concrete sui territori, in azioni capaci di allargare il consenso senza perdere in radicalità e capaci di rimbalzare nel continente come paradigma alternativo e di ridefinizione dei contesti prestabiliti. Le oltre 200 persone faticosamente giunte a Lampedusa in questo appuntamento sono necessarie ma non sufficienti ad un compito così arduo ed occorre che il percorso intrapreso si estenda. Curioso come, nei primi commenti brilli per assenza il ruolo delle tradizionali organizzazioni legate al centro sinistra e dei media mainstream che hanno ignorato o sottovalutato l’appuntamento lampedusano. Paradossalmente soltanto Radio Vaticana si è mostrata interessata ad una visione così palesemente “rivoluzionaria” del rapporto fra la ripartizione dei diritti, una curiosa sintonia fra un potere assoluto come quello del Pontefice e il mondo libertario e poco incline ai compromessi politicanti di un contesto distante dalla realtà come quello attuale. Rifondazione Comunista ha scelto consapevolmente di non avere alcuna ambiguità e di schierarsi, lavorando in questo ambizioso progetto, superando, resistenze e antichi quanto inutili ostacoli pregiudiziali. Dietro la Carta di Lampedusa c’ è un considerarsi, migranti, lampedusani, europei, uomini e donne di ogni latitudine, come persone che faticano nella stessa barca, avendo come avversari le forme vecchie e nuove del dominio capitalista, delle leggi di mercato, dei dettami neoliberisti, dei razzismi che ne costituiscono un comune mortifero collante ideologico. Se la Carta produrrà azioni comuni o diversificate, frutto di specificità e approcci ma accomunati anche da una comune coscienza di classe, potrà costituire un enorme passo in avanti. Bisognerà starci dentro come soggetto propositivo e agente, senza pretese dominanti ma senza neanche celare o sminuire la propria identità e la propria coerenza. Gli spazi ci sono, sta ai tanti compagni e alle tante compagne attenti alle nuove dimensioni che questo Paese e questo mondo va costruendo, malgrado leggi razziste e mura fondate sul sangue, agire e reagire, farsi protagonisti delle mille istanze che si aprono. Oggi una componente consistente di chi è arrivato in Europa non rappresenta un soggetto fragile da accudire con paternalismo ma un formidabile alleato con cui costruire il conflitto del ventunesimo secolo. La Carta di Lampedusa, con tutte le difficoltà di una sintesi ancora da costruire, annuisce a questo, una ragione in più per farla propria, evitando ogni elemento di sterile tatticismo.

In Italia si continua a morire sul lavoro. Ma si parla d’altro

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di Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e Rsl-Firenze

 

Nonostante l’Inail ci dica ogni anno, che le morti e gli infortuni sul lavoro sono in costante calo, io non mi rassegno al rispondergli che le cose non stanno assolutamente così. E come me non si rassegna neanche l’amico Carlo Soricelli, curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna sulle morti sul lavoro.
Dio solo sa quante volte ci siamo chiesti chi c’è lo fa fare di portare avanti questa battaglia per più sicurezza sul lavoro nell’indifferenza generale, tanto che, diverse volte, presi dallo sconforto, volevamo pure mollare, ma anche se, con molta fatica, abbiamo continuato questa battaglia, perchè qualcuno deve portarla avanti, perchè è importante! E anche se sui mezzi d’informazione se ne parla raramente delle stragi sul lavoro, vi posso assicurare che le morti sul lavoro non sono in calo, anzi aumentano, nonostante la crisi economica, che pur che se ne dica, ancora è lontana da essersi conclusa o quanto meno l’Italia di sicuro non ne è ancora uscita.
Nel 2013, secondo i dati dell’Osservatorio Indipendente di Bologna: (http://www.cadutisullavoro.blogspot.it/) sono morti sul lavoro oltre 1300 lavoratori, mentre per l’Inail solo 790. Non mi stancherò mai di dire che i dati Inail sono sottostimati, e che l’Inail considera morti sul lavoro solo i suoi assicurati, che poi io vorrei che qualcuno mi spiegasse come sul 1296 denunce per infortunio mortale nel 2013, l’Inail ne ha riconosciuti solo 790. E gli altri 500? Con quale criterio non sono stati considerati morti sul lavoro?
Quasi 20 miliardi di euro di “tesoretto Inail”, depositati presso un conto infruttifero della Tesoreria dello Stato, non vengono utilizzati per aumentare le rendite da fame agli invalidi sul lavoro e ai familiari delle vittime sul lavoro, ma sono bloccati li, e vengono spesi solo per ripianare i debiti dello Stato Italiano: è una vergogna!
Un tema quello della salute e sicurezza sul lavoro, troppo spesso ignorato e su cui c’è poca sensibilità.
Vorrei inoltre rispondere all’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro di Vega Engineering, che parla solo di 1500 vittime sul lavoro in 3 anni. A me risulta invece, che dal 2011 al 2013 siano almeno 3580 i lavoratori che sono morti sul lavoro.
A livello politico non sento tutta questa sensibilità sulla sicurezza sul lavoro, e non mi sembra che questo tema sia assolutamente al primo posto nell’agenda politica di ogni partito politico: che tristezza! E anche il sindacato avrebbe il dovere di fare molto di più!
Vorrei far capire a chi ci legge, che io e Carlo Soricelli, sarebbe giusto che non fossimo considerati dei rompiscatole come si considerano in molti, ma delle risorse per questo Paese.
Inoltre, possibile che le mie denunce ottengano più ascolto a livello Europeo, mentre in Italia nessuno mi prende in considerazione? Sono anni che vado chiedendo che vengano aumentati i controlli per la sicurezza, il personale Asl è ridotto all’osso e le aziende da controllare sono troppe, che vengano ripristinate le sanzioni dimezzate ai datori di lavoro, dirigenti e preposti dal Dlgs 106/09 (abbiamo una procedura d’infrazione aperta), che la sicurezza sul lavoro venga insegnata fin dalle scuole elementari come si fa in Francia, che vengano aumentate le pene per responsabili delle morti sul lavoro, che venga rivisto il TU 1124/65, che regola i risarcimenti Inail per gli infortuni e le morti sul lavoro, peccato che nessuno mi stia ad ascoltare.
Quando muore un lavoratore, dietro a lui c’è una moglie, un padre, un figlio, un fratello, una sorella, che si ritrovano molto spesso abbandonati a se stessi a piangere il proprio caro ammazzato sul lavoro, abbandonati da tutti e da tutto.
Molto spesso costretti a lottare anche per avere un risarcimento e verità e giustizia per la morte del proprio caro, con processi che spesso si concludono con pene irrisorie per i responsabili dell’accaduto o peggio ancora con la prescrizione, e con risarcimenti che spesso hanno il sapore della beffa!
Chi di dovere dovrebbe avrebbe il dovere morale di fare qualcosa per cambiare tutto cio, ma purtroppo questo non accadrà!