L’AQUILA: SOGGETTI IN FORMAZIONE E GENERAZIONE PRECARIA

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Di Ilaria Iapadre , dirigente nazionale dell’Unione degli studenti e della Rete della Conoscenza

Lo stato in cui oggi sono ridotte scuole e università è lo specchio delle politiche di austerità e privatizzazione che da tempo l’Italia sta sperimentando. L’obbligo del pareggio di bilancio e della riduzione del deficit pubblico, che l’austerità impone, comportano innanzitutto tagli massicci al welfare e ai diritti (istruzione, sanità, trasporti,…), considerati sprechi inutili che rallentano la crescita. Anni di tagli hanno causato nuovi danni agli edifici scolastici e alle condizioni di chi vive quotidianamente la scuola, e  una vera e propria espulsione di massa dai luoghi della formazione. Col passare del tempo si ergono barriere di accesso ai saperi sempre più difficili da valicare: costo proibitivo dei libri e dei trasporti, contribuzione “volontaria”, assenza di fondi per le borse di studio, costi sempre più alti dei canali informali di apprendimento (cinema, teatro, cd, dvd,…). Le politiche di disinvestimento e la centralità conferita alla contribuzione delle famiglie nel sostentamento degli istituti ci danno la dimensione di quanto sia attuale e necessario parlare del processo di privatizzazione di cui la scuola italiana è vittima.

Le nostre famiglie sono costrette a sacrifici ingiustificabili e per la maggior parte degli studenti studiare diventa sempre più un lusso piuttosto che uno strumento di emancipazione individuale e collettiva. La mia generazione, infatti, vive il dramma di poter studiare e formarsi solo grazie alle risorse familiari e deve fare i conti con un welfare dal forte impianto familistico, che al più presto dovrebbe essere riformato in senso universalistico, garantendo a tutte e a tutti la possibilità di autodeterminarsi indipendentemente dal contesto di provenienza, grazie anche all’introduzione di un reddito minimo garantito.

Come soggetti in formazione paghiamo quotidianamente le politiche di mercificazione e privatizzazione dei saperi e come frammento di una generazione precaria scontiamo i costi di una crisi che non abbiamo prodotto. Non esiste, dunque, dicotomia o contraddizione alcuna tra la soggettività in formazione e la generazione precaria. Veniamo espulsi dai luoghi ormai privatizzati della formazione, non abbiamo forme di tutela o prospettive di futuro, siamo subordinati alla mercificazione del sapere e a una classe dirigente sorda rispetto alle nostre istanze. La precarietà non è più un paradigma meramente contrattuale o salariale, ma un fenomeno e un processo esistenziale. Oggi in Italia il livello di disoccupazione giovanile supera il 40% e con umorismo nero affermiamo di detenere noi la maggioranza politica nel nostro Paese. A peggiorare il tutto c’è la preoccupazione che l’aumento della disoccupazione abbia ormai assunto un carattere strutturale. Al contempo, il livello di disuguaglianza ha raggiunto picchi allarmanti in seguito alla “cura” dell’austerity e delle misure anti-crisi, e la mobilità sociale raggiunge i livelli più bassi d’Europa. Diversi studi hanno dimostrato che esiste un doppio legame tra istruzione e disuguaglianze: se da una parte le origini familiari tendono ad aprire o a escludere le porte di accesso all’istruzione, dall’altra esiste una precisa relazione tra l’investimento in istruzione e le politiche educative e il livello di disuguaglianza generato nella società.

L’Aquila, città in cui la precarietà si presenta sotto il triplice aspetto di condizione, prospettiva e minaccia, è l’esempio perfetto di come i soggetti in formazione, e in particolar modo le studentesse e gli studenti delle scuole superiori, siano la categoria sociale costretta dalle politiche emergenziali a vivere nella marginalità. In questi anni abbiamo provato a portare avanti, spesso a fatica, le nostre rivendicazioni circa la mancanza di servizi o agevolazioni per il diritto allo studio, spazi sociali, aggregazione e cultura. Attraverso le pratiche della cittadinanza attiva e dell’impegno sociale abbiamo interpretato insieme i nostri bisogni e sappiamo di voler essere gli artefici della loro elaborazione, progettazione e concretizzazione.

Nel periodo immediatamente successivo al sisma siamo riusciti a ritagliarci uno spazio vitale all’interno dei centri commerciali in mancanza di alternative e ogni giorno dimostriamo di nutrire un solido senso di appartenenza nei confronti di una terra martoriata. Le occupazioni delle nostre scuole, che stereotipi narrano generate per ricorrenza, nascono al contrario dal sentore o dalla necessità pressante di dover colmare il vuoto della politica nella nostra città. Le abbiamo fatte diventare un palcoscenico di approfondimento culturale, politico e partecipativo e abbiamo saputo svolgere un ruolo programmatico e decisionale migliore dei grandi con cui ci confrontiamo. Ci affacciamo ad un ricambio generazionale che comporterà che i nuovi soggetti in formazione non saranno più coloro che oggi sono consapevoli di come era strutturata la loro vita sociale nel centro storico e la nuova sfida sarà riuscire a creare un percorso che sappia tener conto anche delle modificazioni inerenti i bisogni materiali e immateriali delle studentesse e degli studenti che verranno.

Una regolamentazione delle esigenze materiali dei soggetti in formazione dovrebbe essere garantita da una legge sul diritto allo studio, che dopo la “riforma del Titolo V” non è più di competenza nazionale, bensì regionale. In Abruzzo la legge regionale sul diritto allo studio risale al 1978 e nella sua arretratezza non è in grado di agevolare uno studente nella sua quotidianità, fuori e dentro la scuola. Da tempo ne rivendichiamo una revisione sostanziale, mediante cui si potrebbe introdurre il comodato d’uso dei libri di testo e il trasporto gratuito per tutte le studentesse e tutti gli studenti, nonchè istituire un tavolo di confronto tra associazioni dei commercianti, provincia, ufficio scolastico provinciale, giunta della Consulta provinciale degli studenti, e associazioni studentesche in merito all’adozione di una carta dello studente che sappia incidere realmente sui costi di accesso alla cultura.

Il 22 novembre 2013 sul quotidiano locale “Il Centro” è stato pubblicato un articolo dal titolo “Il centrodestra punta sui ragazzi”, in cui veniva resa nota la proposta di cinque consiglieri di inserire la Consulta dei giovani nel Regolamento del Comune dell’Aquila con lo scopo di favorire la partecipazione alla vita politica e alla ricostruzione della città della popolazione di età compresa tra i quattordici e i trent’anni. Sempre secondo l’articolo, cinque componenti della Consulta dei giovani saranno nominati dal Consiglio comunale mediante modalità che non sono state ancora chiarite. Già dal titolo con cui la notizia è stata data è palese l’interesse nell’evidenziare l’investimento del centrodestra sugli studenti aquilani. Pretendiamo che vengano utilizzati linguaggi diversi per esprimere le interazioni tra gli studenti e le istituzioni, in quanto ci rifiutiamo di accettare che un percorso di rivendicazione partito dal basso venga mascherato come un processo verticale. In realtà, infatti, non è il centrodestra che punta sui giovani,ma sono i giovani che da quattro anni pretendono risposte dal Comune dell’Aquila, e quindi anche dalla sua componente di centrodestra. Questo autunno non ci siamo esentati dal creare momenti di confronto con le istituzioni, nonostante la costante e inaccettabile assenza di risposte concrete, anche da parte di chi adesso si sta spendendo per costruire questo percorso di rappresentanza che riteniamo necessiti di alcune precisazioni.Risulta difficile pensare, per come è stato presentato, che tale schema di rappresentanza possa essere realmente inclusivo e democratico, ma soprattutto che sia la risposta complessiva ai bisogni materiali e immateriali dei soggetti in formazione aquilani.

Per riuscire anche solo ad abbozzare una prospettiva di futuro c’è bisogno di uno sforzo colletivo, mediante cui venga sradicata la concezione della politica come di un processo volto a raggirare le persone e adoperarsi affinchè diventi una ricchezza culturale e partecipativa alla portata di tutti,  realmente in grado di incidere sull’esistente. Non c’è più tempo per i piccoli provvedimenti. Abbiamo bisogno di un significativo investimento politico ed economico su quei saperi che pretendono la libertà di avere spazio nella società e la dignità per sentirsi ed essere fondamentali per la ricostruzione della nostra città.