L’Amore ai tempi della ricostruzione

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Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb

 

Periferia aquilana, un freddo boia all’ombra di un palazzone sventrato da ricostruire chissà quando.

Ho parcheggiato la macchina nei paraggi, ma prima di riprenderla decido di fermarmi a parlare con tre ragazzotti stranieri, Europa dell’Est senza dubbio.

Uno di loro ha appena dato un calcio alla lattina di birra che ha trangugiato, potrebbe non essere l’ultima della sua serata perché sul muretto ce ne sono altre quattro, in bella mostra, mica lattine piccole.

Gli altri due, nel frattempo, bevono dalle loro. Hanno tutti e tre i volti anneriti dalla fatica, lerci i jeans e le tute, tutto è sporco, sa di sporco, dove dormiranno stanotte, chi cazzo lo sa?

Tiro fuori una sigaretta e chiedo secco se hanno da accendere.

Quello che piglia dalla tasca del jeans l’accendino ha le mani grosse, da lavoratore che le ha prese e le ha date nella vita, sono mani rovinate, annientate, quelle di tanti come lui.

I compari, fa freddo pure per chi il freddo lo conosce meglio di tanta gente di montagna, nel frattempo hanno posato le loro birre sul muretto e si sono infilati le mani nelle saccocce.

Mentre mi dà da accendere, chiedo ai tre di dove sono.

“Moldavia”, fa quello più basso dei tre, però fisico asciutto, forte, da muratore come gli altri. Indossa un maglione rosso completamente ricoperto di polvere e pezzi di calce.

Avete finito di lavorare? “Sì, in un cantiere qua vicino”, fa sempre il più piccolo dei tre.

E, udite udite, nel giro di un minuto, complice una ragazza molto carina e ben vestita che è passata svelta a una trentina di metri da noi, finiamo a parlare di amore.

Roba di coppie, di matrimoni, di tradimenti e di litigi furiosi ma pure di vecchie fidanzate che non si sentono più da secoli e di quanto sia dura vivere senza quella cosa assurda e miracolosa che ci riempie la vita, di quanto sia veramente difficile stare senza la persona che si ama al nostro fianco.

Sì, va bene, ma il sesso? Il sesso, non ci crederete, è rimasto sullo sfondo.

Perché a quattro coglioni fermi sotto un palazzone sventrato di una città terremotata, tre operai sottopagati moldavi e una mezza sega di giornalista senza soldi, in un freddo pomeriggio di provincia, mancava da morire il bacio senza paura di una ragazza da amare, che poi alla fine è il motore per tutto il resto.

Dopo una ventina di minuti ad altissimi livelli, tra qualche rutto per via della birra e una mezza bestemmia per la birra nel frattempo finita, ci siamo salutati con energia.

Io ho le mani deboli, sapete? E loro, tutti e tre, con le loro mani grandi da muratori, me le hanno stritolate.

Ma non è per questo che non li dimenticherò.

il rapporto deficit/pil al 3% una follia senza nessuna base economica

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Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb.it

Superare il rapporto deficit/pil fissato al 3 per cento.Questa è la missione che molti politici italiani affermano di voler portare avanti e che ovviamente riguarda anche L’Aquila terremotata, i cui fondi che mancano per la ricostruzione completa dipendono in tutto e per tutto dall’abbattimento di quel vincolo.In parole povere, c’è da sedersi ai tavoli della Commissione Europea e far pressione a chi comanda, a chi comanda sul serio, affinché il famosissimo tetto massimo venga superato.

Perché il Parlamento non conta nulla, è un teatrino a uso e consumo dei beoni che credono di contare qualcosa in un posto in cui per legge si viene presi a pesci in faccia.In parole ancora più povere, lo Stato italiano deve lottare per le briciole dopo che qualcuno gli ha sottratto il pane.Ormai lo sanno pure i sassi.Va ricordato che per aver aderito all’Unione Europea, l’Italia ha accettato una valanga di clausole capestre come quella, devastante, dell’utilizzo di una moneta a debito da prendere in prestito dai privati, come se per respirare cedessimo i nostri polmoni a uno sconosciuto e poi gli chiedessimo di prestarceli a tassi usurai.

Una follia, specie se si conosce il corretto funzionamento del denaro che nulla ha a che vedere con la versione europea della moneta.Così come è una follia far passare per “normale” il concetto di battaglia, di lotta, quando c’è di mezzo il rapporto deficit/pil al 3 per cento, cioè quello strumento che impedisce agli Stati – letteralmente evirati, cioè non più sovrani: devo andare in bagno, chiedo permesso a un tale che non conosco e devo anche sperare che mi presti ciò che prima era mio – di fare gli Stati, cioè di spendere a deficit per il settore pubblico e per il settore privato.

Che il 3 per cento fosse un numero assolutamente privo di basi economiche degne, è stato detto e scritto da fior di econimisti.E le prove storiche sono ormai inconfutabili, non serve più neanche un premio Nobel come Paul Krugman – che nel 2011 scriveva sul New York Times “Adottando l’Euro, l’Italia si è ridotta a un Paese da Terzo Mondo” – per dimostrare il fallimento, certo voluto e studiato a tavolino al di là della propaganda di facciata – di un’Unione Europea che di fatto ha annientato l’Europa, la stessa Europa che esisteva ben prima di un “sogno” dato in pasto a centinaia di milioni di persone per la felicità di poche migliaia di speculatori.Ma la follia in questo Continente non ha limiti.

Recentemente un signore che risponde al nome di Guy Abeille, ex funzionario francese e creatore del 3 per cento preso come modello dai tecnocrati di Bruxelles per imporre il cappio intorno al collo degli Stati come detto già evirati, ha dichiarato senza alcun problema che si è trattato di un numero preso a caso.Insomma, ha ammesso pubblicamente una truffa che è diventata legge. E che sta spazzando via il presente e il futuro di intere nazioni.E allora perché fare una battaglia su queste basi?Perché sedersi a un tavolo di gente che è autorizzata per legge a barare a poker per chiedere a quella stessa gente di lasciarci vincere almeno una mano?Che senso ha? Che diavolo significa?Perché ridursi a tanto?Forse perché noi italiani siamo un popolo di spendaccioni e di corrotti?Oppure perché siamo tangentari di professione?Probabilmente perché c’è l’evasione fiscale, che per capirci in questo periodo storico salva ad esempio le piccole e medie imprese?Perché c’è la Mafia? Sarà mica colpa della solita casta?Signore e signori, resettate.Quei ‘capitoli’ c’erano anche prima.Anche prima che si facesse largo un cancro capace di sterminare un Continente.

Quel cancro si chiama Euro.E il cancro o lo uccidi, o lui uccide te.A meno che non abbiate accettato l’idea che distruggendo la Terra si può finalmente distruggere il male che c’è sulla Terra.Se proprio non vi va di capirlo e siete convinti che l’Italia debba pagare colpe tremende e farsi guidare dai giusti e limpidi tedeschi, sappiate che in quel tribunale si fa carne di porco.E tra i Piigs, tra i maiali d’Europa, ci siete anche voi.

Nessun futuro per L’Aquila nell’Europa della Merkel

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Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb

 

L’Europa muore sotto i colpi di un manipolo di individui con un potere immenso tra le mani. E le genti d’Europa nella maggior parte dei casi sono impegnate a curare il giardinetto fuori casa (o a occuparsi, nei momenti ‘morti’, del dannosissimo gioco del calcio come fa il sottoscritto), un metro quadrato di spazio ancora per poco respirabile in mezzo a un disastro economico da star male per decenni, convinte, o illuse, di potersi salvare le chiappe, di riuscire a tenersi a distanza di sicurezza dalla tempesta. È impossibile riassumere in poche righe le motivazioni, psicologiche prima di tutto, che impediscono a milioni di persone di considerare il tracollo economico e sociale europeo come l’unico frutto possibile di quell’albero malato, perché malato è stato voluto e cresciuto, chiamato Eurozona, da cui o si esce o si resta schiacciati, nessuna via di mezzo è possibile.

Ma se si dà un’occhiata all’Aquila terremotata, si può capire più di qualche passaggio. La città peggiora ogni giorno di più nonostante qualche cantiere, anche importante, sia partito, una dinamica che somiglia in modo inquietante a ciò che succede nelle realtà economicamente indecenti ma comunque ‘alla moda’ e dal bicchiere spacciato come mezzo pieno: lavori come uno sguattero (se lavori), puoi permetterti una bella tv e un bel paio di pantaloni, ma dormi in un tugurio e non hai accesso a ciò che conta di più nella vita: una casa tua, una comunità sana di cui sentirti parte, un lavoro che ti permetta di crescere, di migliorare, di non ammalarti o di curarti senza perdere tutto ciò che hai se ti ammali e di godere, domani, di una vecchiaia decente, guardando i tuoi figli fare ciò che hai fatto tu qualche anno prima. L’Aquila questo è. L’Aquila di questi anni, come l’Italia di questi anni.

Quando lo sviluppo se ne va per affari suoi, quando è una questione non coordinata e aperta a tutti, chi resta fuori dal gioco , sostanzialmente, muore, isolandosi e convincendosi che un misero fazzoletto riciclato non si sa bene come sia in fondo meglio di niente e che quelle regole ormai cristallizzate siano giuste e impossibili da cambiare. Del resto, se tutti chiedono un affitto di 600 euro per una caverna e se quella caverna oggi la chiami casa, perché ribellarsi?. Oppure, nei casi addirittura peggiori, lanciandosi in battaglie che in un momento storico come questo non sono prioritarie e altro non fanno che rimescolare le acque, impedendo la comprensione radicale, completa, assoluta, di ciò che accade sopra di noi e quindi da noi, qui, a casa nostra. Andiamo più spediti. Qualche giorno fa Guy Abeille, il funzionario francese che ha inventato il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, il vincolo per cui L’Aquila intesa come città con un futuro degno di essere chiamato tale, non un’accozzaglia di monumenti a uso e consumo di quattro randagi fermi al presente e al passato, ha ammesso: “Serviva un numero facile da ricordare da sbattere in faccia ai ministri francesi che chiedevano soldi”.

Insomma, l’elemento macroeconomico che sta polverizzando le democrazie europee (L’Aquila è in Europa e dipende dall’Europa, lo sapevate?), democrazie imperfette certo ma non per questo da strangolare, è una balla colossale. Una frase del genere dovrebbe provocare una rivolta da leggenda, invece in Italia, più che altrove, si sprecano energie, tempo, idee, dietro alle pagliacciate degli sprechi pubblici e delle altre diavolerie inventate dai servi dei demoni europei e generalmente sovranazionali. Un sottosegretario appena entrato sulla scena, al contrario, conferma: il 3 per cento non si sfora.

Più Europa, più nazismo, più crimini. Chiaro, sì? E intanto si continua a ignorare, a questo punto non importa più se consapevolmente, la differenza fra un cancro e un prurito alle parti basse. Così come si continua a ignorare il funzionamento di uno Stato con una sua sovranità monetaria e di bilancio, (l’Euro ha distrutto i fondamentali della nostra democrazia, non una puttanella in quel di Arcore), puntando il dito contro ciò che mai, mai, può annientare l’economia di un Paese, vedi auto blu, evasione fiscale, quella che oggi salva le aziende italiane altrimenti destinate a una corda appesa a una trave), e altre sciocchezze assortite. In conclusione.

Era il 24 giugno del 2013. Al dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia, lo staff tecnico dell’allora vice ministro Stefano Fassina, rispondeva, lo riassumiamo, all’economista statunitense Warren Mosler: le sue proposte con cui reperire i circa 6 miliardi che servono per rimettere in piedi L’Aquila, non coincidono con gli accordi che il governo di Enrico Letta ha preso con la Germania di Angela Merkel. Erano proposte che al rapporto deficit/pil, quello di cui sopra, quello fissato al 3 per cento senza alcuna motivazione scientifica, facevano forse un po’ di solletico, cioè non lo toccavano sul serio, anzi, permettevano il rientro di quattrini nelle casse dello Stato. L’ennesimo governo non eletto, abusivo, antidemocratico e insolente, si è insediato in Italia, promettendo agli italiani favolette senza valore o ricette economiche che porteranno l’Italia, definitivamente, a una condizione kosovara. Da quel giugno del 2013, cui si era arrivati sanguinanti a causa dei colpi inferti da un sadico cadavere ambulante servo di criminali in giacca e cravatta come Mario Monti, che nell’unica visita all’Aquila non si è beccato manco un uovo in faccia, le cose sono decisamente peggiorate.

Il ‘nuovo che avanza’ Matteo Renzi è costretto, per carriera, a fare lo spogliarello davanti a Hitler con la gonna, la signora Merkel. I voti ai negri d’Europa, noi tutti, li dà quella bionda là. Questa è la realtà dei fatti. Ma all’Aquila c’è chi preferisce dannarsi l’anima per inchieste patetiche e ombre del potere che conta sul serio e che ci uccide giorno dopo giorno. Poi arriva un sottosegretario alla presidenza del Consiglio come Graziano Delrio, che senza indugi fa sapere agli strangolatori di Francoforte e Bruxelles che l’Italia farà la brava e non si azzarderà a sforare quel maledetto e fasullo 3 per cento. In manicomio non saprebbero da dove cominciare.

Amen.

Mosler per L’Aquila e il silenzio della città

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Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb

L’economista Warren Mosler attende una risposta dalle istituzioni politiche aquilane. È disponibile a presentarsi a gennaio a Bruxelles con una delegazione politica allargata per dire all’Unione Europea: “I fondi per L’Aquila terremotata si trovano in questo modo, non c’è nessun pericolo per le vostre idee e per i vostri bilanci. Se non vi sta bene, si va avanti lo stesso senza la vostra approvazione, volevamo soltanto avvisarvi”.

Fino a questo momento, però, nonostante Mosler rappresenti nel mondo il più alto livello qualitativo in fatto di macroeconomia e ingegneria finanziaria, nessuno si è fatto avanti concretamente per portare una battaglia di tale importanza nelle stanze che contano, una battaglia che si combatte non con dicerie economiche, ma con armi sofisticatissime frutto della straordinaria padronanza della materia da parte di Mosler.

Non andare a Bruxelles sarebbe un fallimento, il mancato utilizzo del cervello mosleriano sarebbe un fallimento, come se L’Aquila Calcio dicesse di no a Messi, gratis, per una finale play off. Nel caso andasse così, sarà giusto incoraggiare i più giovani ad andare via ancora prima del tempo e i più grandi a fare la stessa cosa prima che sia tardi dal punto di vista anagrafico.

È così che funziona la giustizia che conta. Una città che vuole crepare da stupida provinciale, ha tutto il diritto di farlo.

Buon Natale L’Aquila

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Di Roberto Santilli giornalista Abruzzoweb

A Natale dobbiamo dirci la verità. Vivere all’Aquila è una sciagura. C’è chi si aggrappa ai ricordi e riesce a far finta di niente chiudendosi in un locale con gli amici di sempre, altri non ne vogliono sapere di uscire, di migliorare la vita sociale. Intanto questa città viene ricostruita senza criterio e pure a singhiozzo, con un gigantesco punto interrogativo sul futuro che presto sarà una croce.

E noi non possiamo farci niente, al massimo riusciamo a mantenere vivo il sentimento per ciò che è stato e che non tornerà più. Incastrati in un presente senza direzione, incastrati nel passato di bellezza e noia che oggi vorremmo come il pane, perché significherebbe tranquillità. Siamo incastrati qui. E qualche schifoso nazista che siede a Bruxelles si permette pure di vietare la ricostruzione, tanto i bastardi al governo qui in “patria” obbediscono e non fiatano.

Per riprenderci L’Aquila, poche storie: bisogna gettare in mare tutti quelli che hanno deciso di mangiarsela o di farla morire così, con qualche palazzo rimesso a nuovo e nessun giovane a valorizzare L’Aquila che verrà. La galera non serve a niente, i mafiosi locali, nazionali e sovranazionali, fanno saltare in aria chi gli rovina il business, oppure distruggono la società stoppando gli investimenti che la salverebbero. L’unico modo che abbiamo di difenderci è scovarli e gettarli in pasto agli squali. Perché quella è la fine che meritano.