Crisi, una donna anziana rapina una banca a Prato: “Mi servono i soldi per le medicine”

anziana rapinatrice

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una donna anziana ha rapinato una banca a volto scperto e armata di taglierino e pistola (giocattolo). E’ accaduto alla banca Cassa di Risparmio di Lucca-Pisa-Livorno agenzia di Prato. L’anziana signora si e’ sentita in dovere di giustificare il gesto dicendo ai cassieri che i soldi serviranno per l’acquisto di medicine. La signora dopo essersi appropriata del bottino, circa 4.000 Euro, e’ “fuggita” a piedi. Secondo le testimonianze degli addetti e dei presenti, la donna si e’ presentata alla cassa dell’istituto di credito come una normale cliente, dopo aver atteso il suo turno. Ma quando e’ arrivata davanti al bancone, a tu per tu con il cassiere, ha tirato fuori una pistola, ”visibilmente di plastica” riferiscono gli investigatori, e poi un coltello. E, minacciando l’impiegato, gli ha chiesto di darle i soldi. Una rapina, nelle modalita’, come altre, solo che ad agire, in base alle testimonianze raccolte dai carabinieri, e’ stata una donna inizialmente indicata come una settantenne ma che, da successivi accertamenti e verifiche, avrebbe una decina di anni meno. Un’anziana che, sempre in base alle dichiarazioni di un cassiere, riferiscono fonti investigative, avrebbe anche detto che “i soldi le servivano per le medicine”.
Erano da poco passate le 11.30, ieri, quando e’ avvenuta la rapina, nella filiale della Cassa di risparmio di Lucca-Pisa-Livorno a Prato, fra la stazione ferroviaria e il centro storico della citta’ laniera, zona piuttosto frequentata a quell’ora. La donna, presi i soldi, circa 4.000 euro, si e’ diretta verso l’uscita e ha fatto perdere le sue tracce. “Noi non l’abbiamo seguita soprattutto perche’ temevamo si potesse fare del male da sola, magari con gli stessi strumenti di minaccia con cui ha chiesto a noi il denaro”, avrebbero spiegato alcuni dipendenti della banca ai carabinieri, intervenuti in via Tacca dopo che era stato dato l’allarme e a loro volta stupiti per l’identita’ indicata loro sulla persona che aveva messo a segno il colpo.

PRC:CANDIDATURA D’ALFONSO RIMANE INOPPORTUNA

SINISTRA: PARTITO CORTEO A ROMA, L'OPPOSIZIONE E' NOSTRA

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ tipicamente berlusconiano pensare che il voto delle primarie cancelli le questioni che rendono inopportuna la candidatura di Luciano D’Alfonso, tra cui ricordiamo quella non secondaria che un’eventuale condanna in appello riporterebbe al voto la Regione dopo pochi mesi.

Il risultato delle primarie non modifica quindi il nostro giudizio sull’inopportunità della candidatura di Luciano D’Alfonso alla Presidenza della Regione Abruzzo semmai lo rafforza.

La bassa affluenza dimostra che c’è un malessere diffuso rispetto a un PD che in Abruzzo ha collezionato negli ultimi anni più inchieste della camorra in Campania ma che non riesce a fare i conti con la questione morale.

Soltanto le comunali di Pescara e di altri piccoli centri hanno risollevato un dato di affluenza che appare piuttosto gonfiato per nascondere il flop sul territorio regionale.

Dopo il Fatto quotidiano anche La Stampa ha segnalato il caso Abruzzo e non c’è davvero bisogno di essere giustizialisti per rendersi conto che in qualsiasi paese europeo i fatti e le relazioni oggetto delle inchieste avrebbero spinto a un prudente passo indietro.

E’ vero che le responsabilità penali sono personali e vanno accertate in sede giudiziaria, ma è invece collettiva la responsabilità politica del centrosinistra abruzzese per la sua ormai storica indifferenza verso la questione morale che viene confermata anche da questa vicenda.

Il cambiamento in Abruzzo non può certo essere rappresentato dalla candidatura di D’Alfonso e dal caravanserraglio che ha aggregato, pieno di transfughi del centrodestra e di ras clientelari che hanno lasciato in eredità centinaia di milioni di debiti nelle società dell’acqua.

Sarebbe stato per noi comodo garantirci il rientro in Consiglio Regionale facendo finta che tutto vada bene e mettendoci al sicuro all’ombra di una coalizione che viene data vincente ma non vogliamo aggiungerci alla schiera già affollatissima degli ignavi.7
Rifondazione Comunista non sosterrà alle regionali questo centrosinistro (la o finale non e’ un errore ortografico) dato che è persino dubbio che possa essere qualificato un “meno peggio”: le relazioni di D’Alfonso con le imprese ci sembrano più preoccupanti di quelle di Pagano e Chiodi con le amanti.

Lavoreremo per costruire con l’altro Abruzzo, quello che non ne può più dei vecchi sistemi di potere e si batte per i beni comuni, una proposta alternativa, di sinistra e ambientalista.

Marco Fars, segretario regionale PRC-Sinistra Europea

  Maurizio Acerbo, consigliere regionale PRC-Sinistra Europea

L’eclissi di una classe pseudo dirigente

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Di Alfonso De Amicis

Il tempo delle buone recite è finito. La condizione dell’Italia, ma anche della stessa Europa è drammatica. I dati economici sociali e politici annunciano tempeste. Qualcuno ha pensato bene di provare una sorta di avventurismo o di prove da scenari per una III guerra mondiale, magari modulando i connotati e il conflitto attraverso una guerra a bassa intensità o di nuovo conio.

L’Ucraina è il primo esperimento. La classe politica peninsulare cerca solo di prendere tempo. Non hanno la benchè minima percezione del dramma. Allora è tutto uno spettacolo.Renzi come attore è senz’altro più bravo dei suoi ministri, ma sempre attore è. Bisogna pur dirlo, non può neanche imitare, come politico s’intende, Ronal Reagan, i tempi sono diversi e, aggiungo che una minestra riscaldata non sempre è riproponibile per i commensali. Le soluzioni sui 10 miliardi di cuneo fiscale richiede scelte drastiche e di campo. O si elemina l’IRAP per le imprese o l’IRPEF ai lavoratori.

Altre strade sono impensabile. I grandi giornali, il giornale della Confindustria lanciano severi avvertimenti. L’economia e il sociale sono l’iceberg su cui il galeone di Renzi rischia di affondare. Certamente non preoccupa nessuna compagnia governativa l’alzata del tono di voce di Susanna Camusso che ha minacciato scioperi “se non saremo ascoltati”.

Figuriamoci per la controriforma Fornero dichiararono 3 ore di scipero (sic), oggi al massimo, possono continuare a dichiarare. La sensazione è che si arrivi ad un rompete le righe quanto prima. Le prossime elezioni europee chieriranno molti aspetti. Uno su tutto quello che pensano gli europeii dell’Europa del fiscal copmpact del patto di stabilità, dell’euro come moneta unica, esclusiva.

Lattanzi:Perplessità sulla modalità d’utilizzo dell’Auditorium

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Ho letto con attenzione l’articolo pubblicato qualche giorno fa da Il Centro e L’Editoriale, firmato da Maurizio Fischione, che si qualifica come operatore culturale ma è anche docente presso la Scuola Secondaria di I° grado “Dante Alighieri” dell’Aquila, e relativo alla delibera con la quale il Comune dell’Aquila ha affidato la gestione del famoso  e controverso Auditorium del Parco.

La prima cosa che mi ha lasciato perplesso è il silenzio “inquietante” dei tanti aventi titolo che avrebbero potuto portare un contributo importante e stimolare una comune riflessione sul problema sollevato nell’articolo e invece nulla, neanche un timido sussulto, solo qualche parola detta sottovoce, a tu per tu, quasi con timore e con la classica premessa:”Qui lo dico e qui lo nego!”.Perchè?

Il problema, vorrei sottolineare, non è dovuto all’affidamento della gestione alla Società Aquilana dei Concerti“B.Barattelli”, benemerita e antica Istituzione cittadina di cui mi onoro di essere Socio e in passato anche amministratore, che ha tutto il diritto di avere uno spazio adeguato alla prestigiosa programmazione che ogni anno mette a disposizione della città.

La critica del maestro Fischione, che mi sento di condividere, è basata sulla modalità utilizzata per tale affidamento e i costi che, per le piccole Associazioni e per le Istituzioni Scolastiche, risultano insostenibili, soprattutto se l’attività svolta prevede l’utilizzo dell’Auditorium per più giorni durante l’anno.

Sulle modalità ritengo sarebbe stata utile e necessaria una consultazione tra tutti i potenziali utenti della struttura, per ascoltare le esigenze di ognuno, per pianificare le modalità di utilizzo, per favorire un uso razionale ed evitare sovrapposizioni di eventi che da sempre è elemento di estrema criticità per la crescita culturale cittadina.

D’altra parte il Sindaco, nelle consultazioni seguite al ritiro delle dimissioni, non ha ritenuto di dover ascoltare il mondo della scuola che pure è parte fondamentale per la rinascita della nostra sfortunata città e che ambiva al riconoscimento come Città della Cultura per il 2019.

In merito ai costi di utilizzo, da Dirigente Scolastico, non posso che sottolineare la difficoltà delle Istituzioni Scolastiche di accedere all’Auditorium, considerando la endemica carenza di fondi ministeriali di cui soffre da troppi anni la scuola e la totale mancanza di altre fonti di entrata, se non la richiesta alle famiglie, già gravate da tante spese e fiaccate da una crisi economica che sembra non avere fine.

Va sottolineato che a L’Aquila operano due grandi Scuole Medie ad Indirizzo Musicale, la  Dante Alighieri e la Mazzini-Patini, e il Liceo Musicale istituito da qualche anno.

In queste scuole si studiano numerosi strumenti musicali e tutte e tre sono dotate di una Orchestra degli studenti che si esibisce annualmente in numerosi concerti, oltre ad ensemble da camera e formazioni strumentali diverse, dalla Banda alla Big Band Jazz.

Ebbene nessuno dei tre Istituti è dotato di un Auditorium dove far esibire i gruppi strumentali che, in alcuni casi, arrivano a contare anche 100 elementi che difficilmente possono essere contenuti nelle anguste aule dei MUSP, o come sottolinea Fischione per Paganica in container di ferro, ma nemmeno negli edifici in muratura, potendo contare solo su fredde e rimbombanti palestre dove si spegne la magia della musica.

Le poche chiese agibili non vengono concesse, e sono anch’esse fredde, stessa sorte per la Sala S.Pio X al Torrione e l’immenso Auditorium della Guardia di Finanza buono solo per adunate militaresche o concerti amplificati.

La donazione alla città dell’Auditorium del Parco sembrò essere una prima risposta  a queste esigenze, finalmente uno spazio nato per la musica, non una chiesa sconsacrata trasformata in teatro, ma una vera sala da concerto con una acustica fenomenale.

Ora, dopo le tante polemiche sul suo posizionamento, si scopre che la gestione dell’Auditorium è eccessivamente onerosa per il Comune, si parla di oltre 100.000 euro all’anno, tanto da non poterlo gestire direttamente, cosa che sarebbe stata auspicabile, ma rendendo necessario l’affidamento ad un Ente terzo che, a sua volta, è costretto ad imporre una gabella a chi voglia utilizzare la struttura, secondo tariffe stabilite dalla convenzione con l’Ente proprietario.

Un dono che doveva avviare la rinascita culturale della città si trasforma, di fatto, in una zavorra pesantissima, un po’ come ricevere in regalo una Ferrari e non avere i denari per riempire il serbatoio di benzina e quindi essere costretti a chiedere l’elemosina agli angoli delle strade o a tenerla in garage destinandola, inesorabilmente, ad un triste declino.

E così, in un eterno gioco dell’oca, si ricomincia da capo, con l’impossibilità per piccole realtà musicali, associazioni corali, scuole, di poter utilizzare la sala per la propria attività.

E se nessuno, o pochi fortunati, chiederanno di utilizzare l’Auditorium con quali risorse si provvederà alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile? Chi provvederà a saldare le bollette di acqua, luce e gas?

È necessario, quindi, ripensare la gestione degli spazi culturali della città, mettere in campo un progetto che leghi insieme le migliori energie nei vari campi del sapere, che dia centralità alla scuola come volano per la crescita e lo sviluppo delle nuove generazioni, che freni quel regresso culturale “di massa” a cui drammaticamente assistiamo quotidianamente.

La nostra città non avrà un futuro se, insieme alle abitazioni, al patrimonio architettonico civile e religioso, agli impianti sportivi, alle scuole non metterà in campo ogni possibile azione per la ricostruzione del tessuto sociale, in un’ottica di solidarietà, inclusione, lotta alle disuguaglianze, aiuto a chi è più debole.

Sono temi di cui la scuola discute ogni giorno, di cui si preoccupa nella quotidianità del lavoro d’aula, a cui cerca di dare risposte concrete attivando progettualità, buone prassi, ricerca e sperimentazione.

Il nuovo Presidente del Consiglio Renzi parla ogni giorno di scuola, come ha fatto anche nel discorso di insediamento al Senato, mi auguro che alle parole seguano i fatti e che anche il Comune dell’Aquila possa mettere al centro dell’agenda politica la “questione scuola”, intesa come ricostruzione degli edifici ma anche come baluardo contro la barbarie.

Spero, in conclusione, che altri facciano sentire la loro voce, non solo sulla questione Auditorium ma, più in generale, sulle prospettive di rilancio culturale di una città che merita molto di più del quotidiano ciarpame campanilista, spesso contrabbandato per manifestazione di orgoglio aquilano.

Il Dirigente Scolastico

Prof. Antonio Lattanzi

 

Marijuana, prima licenza per la coltivazione nello Stato di Washington

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Le autorità dello stato di Washington hanno rilasciato la prima licenza per la coltivazione di marijuana a uso ricreativo, a un privato che avrà pronto il primo raccolto entro un paio di mesi. Sono quindi due gli stati della confederazione (l’altro è il Colorado) ad arrivare alla fase operativa dopo i referendum pro-legalizzazione. Il primo ad aver ricevuto la licenza è Sean Green, un uomo di Spokane, che è già un coltivatore di marijuana a uso terapeutico, e che passerà da 5mila metri quadrati di piantagione a 21mila. Secondo le regole dello Stato Green ha 15 giorni per registrare tutte le piante possedute, anche quelle che non fioriscono. “Stiamo vivendo il sogno americano – ha affermato Green – proprio qui e adesso”.

Nello Stato di Washington molto presto anche il possesso e il consumo di marijuana a casa propria potrebbe potrebbe non essere più un reato penale. Il consiglio comunale ha infatti approvato, quasi all’unanimità, una legge che depenalizza il consumo della cannabis rendendolo un illecito amministrativo andando così ad aggiungersi a 17 Stati americani che hanno preso decisioni simili. Prima di diventare legge la norma deve passare dal Congresso che ha 60 giorni per rigettarla. Non è atteso però alcun intervento da parte dei legislatori federali: esso richiederebbe l’intervento sia di Camera sia di Senato, qualcosa che è accaduto solo tre volte dal 1979. Se arriverà il semaforo verde, il possesso fino a 28 grammi di marijuana sarà sanzionato con un’ammenda da 25 dollari, la più bassa rispetto a ogni altro Stato eccetto l’Alaska. Con le norme ora in vigore si finirebbe dietro le sbarre fino a un anno. Il consumo di cannabis in pubblico verrà inoltre equiparato al consumo di una birra, reato che comporterà una pena massima di 500 dollari e fino a sei mesi di carcere, meno di una multa da 1.000 dollari e un anno di carcere attualmente previsti.

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Si parte! “L’altra Europa con Tsipras”, presentati liste e simbolo.

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Un cerchio rosso con al centro una scritta bianca, in stampatello: “L’altra Europa con Tsipras”. È questo il simbolo scelto dalla lista che alle elezioni europee di maggio sosterrà il leader del partito greco Syriza, Alexis Tsipras. Nel corso di una conferenza stampa presso l’Associazione Stampa Romana sono stati svelati i nomi della lista.

 

Collegio Sud
Ermanno Rea
Barbara Spinelli
Gano Cataldo
Antonia Battaglia
Claudio Riccio
Antonio Maria Perna
Valeria Parrella
Teresa Masciopinto
Eleonora Forenza
Raffaele Ferrara
Enzo Di Salvatore
Riccardo Di Palma
Antonio Di Luca
Anna-Lucia Bonanni
Costanza Boccardi
Franco Mario Arminio
Silvana Arbia

Donne, padrone della loro vita, le iniziative per la Giornata Internazionale della Donna

studenti

 

 

 

 

 

 

Donne, padrone della loro vita, protagoniste della società. Questo il titolo di una serie di iniziative messe in campo per la Giornata Internazionale della Donna dagli Assessorati alle Pari Opportunità, alle Politiche Sociali e alle Politiche Culturali dal Comune dell’Aquila, in collaborazione con le associazioni di donne del territorio.

Il 5 e il 6 marzo sono in programma due proiezioni cinematografiche, in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia e l’Istituto Cinematografico La Lanterna Magica.
Il 5 marzo alle 18 presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, saranno proiettati il cortometraggio di Gilles Rocca, “Metamorfosi” e il lungometraggio di Susanna Nicchiarelli “Cosmonauta”. Seguirà un dibattito con autori ed interpreti.

Il 6 marzo sempre alle 18 al Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila, sarà la volta della pellicola di Alina Marazzi “Vogliamo anche le rose”. A seguire un dibattito con la prof.ssa Silvia Mantini, docente di Storia Moderna dell’Università e la dott.ssa Alessia Salvemme, presidente AIED dell’Aquila.
L’8 marzo le donne saranno protagoniste a Palazzetto dei Nobili, dove dalle 11 alle 18 si alterneranno dibattiti, musica, poesia, arte, giochi, letteratura, in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti, l’Associazione Donne Terre Mutate, l’Associazione Femminile Immigrate per le pari Opportunità. l’Associazione Itinerari Armonici,

L’Aquila per le Donne, il Conservatorio Casella, Donne CGIL, Persone Libro Donne di Carta e Teatrando.
In via del tutto inedita, il Comune ha pubblicato, inoltre un calendario con tutte le iniziative che altre associazioni ed istituzioni culturali hanno proposto in vista dell’8 marzo.

Notizie dalla Valle dell’Aterno

Macrino_d’Alba,_Autoritratto;_Tempera_su_tavola;_Torino,_Museo_Civico_d’Arte_Antica

 

 

 

 

 

 

Cialente: ” Casette nessuna sanatoria”. Mano dura del Comune. So
proprio sfortunato. Mo che volevo fa’ n’abuso il sindaco si mostra
inflessibile.

Edimo: Siglato l’accordo per la cassa integrazione. Spero tanto per i
lavoratori in un futuro migliore. Ho la vaga sensazione che: ho i
lavoratori autonomamente creano le condizioni per una vita diversa
altrimenti so ca….. Noto che il mostro che ha divorato la pianura
alla fin fine chiama istituzioni e sindacati per una soluzione che al
padrone può apparire dignitosa. Questa è casa mia è qui comando io.
Come nel ‘700 se vuoi aver diritto dvei chiamar l’avvocato dei poveri.

L’Aquila: Stadio Acquasanta. Avanti piano. Moroni, “in tempo per il 1
novembre” So cavoli amari. Dove parcheggiano le auto tifosi e fedeli.
Il Centrosinistra richiama Antonio Centi.

IL DUCA GAGLIARDO DELLA FORCOLETTA

Guerra fra lavoratori nella Silicon Valley

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di Carlo Formenti

Ricordate i panegirici dei guru della New Economy  sulle magnifiche sorti e progressive della “classe creativa”? Erano gli anni Novanta e la bolla speculativa dei titoli tecnologici non era ancora scoppiata. La tesi di fondo era che, così come in passato la proprietà della terra e il controllo sul capitale avevano consentito a due classi sociali – latifondisti e capitalisti – di dominare l’economia, nel futuro immediato sarebbe stato il controllo su conoscenze e informazioni a regalare il potere a ingegneri informatici, sviluppatori, web designer, studiosi di marketing online, fondatori si startup, ecc. vale a dire a tutti coloro che detengono il know how necessario a navigare nei procellosi mari dell’economia di rete.

 

Di quei sogni è rimasto pochino: l’economia digitale del duemila è dominata da un pugno di grandi imprese monopolistiche e i “creativi” che avrebbero dovuto soppiantarne il management – i pochi che non sono sprofondati nella disoccupazione, o che non sono costretti a sbarcare il lunario nelle catene di subfornitura delle applicazioni per Facebook, Apple e Google o, peggio, che non sono finiti a lavorare per dieci (o meno) dollari l’ora nel terziario arretrato a fianco dei migranti – non sembrano essersi issati (ad eccezione di pochissimi) ai posti di comando.

Al contrario: gli accordi trasversali fra le grandi imprese negano loro persino la libertà di cambiare posto di lavoro ogniqualvolta si presentino migliori opportunità. Come rivela infatti un articolo del New York Times è in corso una causa intentata da 64.000 programmatori contro Apple, Google e altri, i quali, da almeno cinque anni, avrebbero stretto accordi segreti per non assumere professionisti che abbiano lavorato per imprese concorrenti (così se uno lascia Google non potrà mai sperare di trovare lavoro alla Apple o viceversa) allo scopo di non “rubarsi” reciprocamente segreti. Si tratta di una pratica illegale secondo la legge americana, ma di cui sarà difficile dimostrare l’esistenza e che, anche nel caso le vittime ottenessero risarcimenti, sarà ancora più difficile sradicare.

L’interessante è che, secondo lo stesso articolo, la battaglia legale di ingegneri e programmatori non sta affatto riscuotendo la solidarietà degli altri lavoratori, i quali, al contrario, continuano a considerarli una minoranza che gode di privilegi “pagati” dalla maggioranza degli altri lavoratori. Come spiega, per esempio, un articolo dell’Huffington Post le cifre stratosferiche che finiranno nelle tasche dei 50 dipendenti di WhatsApp, la startup comprata per ben tre miliardi di dollari da Facebook, vengono viste come uno scandalo dalle decine di migliaia di altri dipendenti di piccole e medie imprese che sbarcano il lunario per stipendi da fame nelle catene di subfornitura: alla ricchezza di pochissimi fanno da contrappunto le condizioni marginali della stragrande maggioranza dei lavoratori del settore.

Alla vecchia favola in base alla quale le diseguaglianze sono compensate dal fatto che la marea, quando sale, sale per tutti premiando le barchette al pari dei transatlantici, dopo sette anni di crisi catastrofica non crede più nessuno. E a salire è piuttosto il risentimento, come dimostrano le manifestazioni dei cittadini di San Francisco e di Seattle i quali, da qualche mese, hanno cominciato a dare l’assalto ai bus dei dipendenti di Google, Facebook e Microsoft contestando il fatto che i fondi pubblici delle loro città vengano usati per finanziare servizi privati – un risentimento alimentato anche dalla spinta inflattiva che la presenza di questi lavoratori “di lusso”  provoca sui prezzi degli affitti e sul costo della vita in generale.

Come già avvenuto in passato, insomma, il conflitto di classe non oppone solo capitale e lavoro, ma anche lavoratori di serie A e lavoratori di serie B.

A PROPOSITO DI INVASIONI ED INVASORI

Da Controlacrisi.org

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Su quel che accade in Ucraina socializziamo questo commento del giornalista Silvestro Montanaro, autore del bel programma Rai “C’era una volta”, raro caso di informazione e approfondimento fuori dal coro purtroppo cancellato dal palinsesto.

 

La Crimea e’ russa. Lo e’ storicamente, culturalmente, economicamente. Fa parte intimamente della leggenda della Grande Madre Russia. E’ sul suo sangue, nella resistenza durata quasi un anno, all’invasione nazista che si decidono le sorti della Seconda Guerra Mondiale, della stessa Russia e della libertà nel mondo. La sua annessione all’Ucraina negli anni sessanta fu puro fatto amministrativo, non rivendicazione autonoma di un popolo.
La cagnara dei media occidentali, serva e bugiarda come al solito, totalmente nelle mani dei potenti della grande finanza, racconta in queste ore che la Crimea e’ stata invasa dai russi. Parla di violazioni, minaccia guerre e sfracelli, una nuova Guerra Fredda.
L’ “occupazione” e’ avvenuta in poche ore, meno di un giorno. Senza una sola vittima, un solo ferito ed un solo sparo. La “terribile violenza” vede la gente del territorio “occupato” in festa. Uomini e donne che si definiscono russi, perché russi sono e tali vogliono restare. La diplomazia occidentale promette di liberarli. Loro, lo hanno già fatto. E, nel caso, sono pronti a battersi contro i “liberatori”.
Non ho particolari simpatie per Putin e, meno ancora, per il deposto presidente dell’Ucraina. Ciò detto e chiarito, la partita che si e’ giocata e si continua a giocare sull’Ucraina ha fino in fondo i tratti della politica da western tipica del peggior Pentagono e del Dipartimento di Stato americano. Una politica folle ed avventurista che gia’ tanti danni ha provocato nel mondo. Una politica che in questi giorni ha conclamato un nuovo principio che fa maledettamente a pugni con tutte le basi di cio’ che e’ democrazia. Da pochi giorni, infatti, i governi non si cambiano grazie a libere elezioni, ma a spallate di piazza. E che piazza, poi, nel caso ucraino. La peggior feccia del nazionalismo, del fascismo e dell’oligarchia ladrona ha nei fatti operato un golpe armato e violento. Se il presidente deposto era un farabutto, chi lo sostituisce veste gli stessi sporchi panni.
In un colpo solo, nella mente folle di chi ha spinto sull’acceleratore della crisi ucraina, si volevano cogliere più ed impossibili obiettivi. Conquistare un territorio ricco di manodopera a basso costo, prendere il controllo dei gasdotti ed oleodotti che da li’ passano, azzerare il condizionamento russo sulle politiche europee, annientare lo sbocco russo sui mari caldi e quindi tutta la sua influenza sul Mediterraneo e sul medioriente, mettere in crisi l’influenza del Cremlino sull’intero Caucaso. Insomma, si voleva cambiare il mondo, in un colpo solo. Follia. A Putin e’ stato sufficiente raccogliere la richiesta di aiuto che veniva dalla parte russa dell’Ucraina, spaventata dalla strana congerie golpista al governo di Kiev, per parare il colpo.
Seguiranno settimane e mesi di gelo internazionale e nuovi conflitti. A pagarne il prezzo saranno soprattutto gli europei che da un deterioramento dei rapporti con la Russia hanno molto da perdere. Ma forse era questo l’obiettivo vero degli strateghi a stelle e strisce. E pagherà un prezzo amarissimo il popolo ucraino. Il paese e’ alla bancarotta e da questa non lo salveranno certamente i nuovi banditi ora al potere.Anzi. La crisi ucraina si riverserà sull’Europa che di problemi ne aveva già tanti. Un risultato straordinario per chi da anni sogna di far bottino sulla crisi dell’eurozona.
Intanto, saremo costretti a sorbirci la retorica prezzolata sull’invasione russa della Crimea. La stessa retorica prezzolata che ha salutato come guerra umanitaria la distruzione prima del’Iraq, poi della Libia. Quelle non erano invasioni? Un milione di morti e paesi rasi al suolo ed in ogni senso. Che schifo.
E sopporteremo il tutto in attesa di una nuova sapiente spallata, quella che deponendo il governo venezuelano, restituirà agli Stati Uniti il controllo del suo cortile di casa, il Sudamerica. Li’, purtroppo, a costo di tanto sangue perché i chavisti,che pure hanno i loro torti, non accetteranno a cuor leggero un golpe modello ucraino.
E’ troppo sperare che la costruzione della democrazia nel mondo, perché sia veramente tale e non lurida affermazione dell’arroganza di poteri occulti, sia liberata dai cowboys?