Guido Bertolaso

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In questi giorni la stampa nazionale, ma soprattuto quella locale è
piena di commenti, a volte feroci altre volte di consenso, circa la
candidatura a sindaco di Roma di Guido Bertolaso. Un uomo potente,
capace di ramificare i propri contatti e le proprie referenze nei
svariati mondi della politica, degli affari, e anche con le alte
gerarchie ecclesiastiche. Un plenipotenzario che oggi è attaccato da
più parti per la sua attività spesso al limite della legalità, con
coni d’ombra che lasciano più di un sospetto. Tutte critiche sensate e
giuste, democraticamente fondate. Tuttavia Guido Bertolaso è stato
anche altro, ha interpretato in modo forte, mediatico, un modello
politico e istituzionale che ha fatto e tuttora fà tendenza verso un
funzionalismo amministrativo-politico di stampo europeo. Sono
fortemente persuaso che a questo modello di potere ormai
sovranazionale le classi dominanti impiegano una quantità di risorse,
energie affinché il loro potere vada in un certo modo piuttosto che in
un altro. Bertolaso attraverso la gestione dei rifiuti a Chiaiano
prima ed a L’Aquila dopo è stato interprete magistrale di quella
politica che vede un costante processo di esclusione e
marginalizzazione politica delle masse popolari, dei cittadini, di
quel popolo portatore di legittimi interessi. E per dovere di verità
va ricordato come quella nomina fu condivisa da entrambi gli
schieramenti. A Chiaiano come commissario straordinario sui rifiuti fu
nominato dal governo Prodi, viceversa a commissario straodinario ed
emergenziale per il terremoto fù nominato dal governo Berlusconi.
Nella sua linearità e semplicità questo esempio ci ricorda proprio
come l’affermarsi di una determinata Weltanschauung come la chiamano i
tedeschi cioe(concezione del mondo, della vita, riferito a un gruppo
umano o a un popolo)determini e delimiti le regole del gioco in un
determinato contesto storico. Ora gli storici sanno bene che quando si
mettono in moto dispositivi emergenziali essi costituiscono il
retroterra culturale e politico dei regimi totalitari. Negli anni che
precedettero la salita al potere di Hitler, ad esempio i governi
sicialdemocratici di Weimar avevano fatto un tale ricorso allo stato
di emergenza che è lecito dire che la Germania aveva smesso di essere
una democrazia parlamentare già prima del 1933. Così in un una
situazione di stato emergenziale le operazioni immediate sostituiscono
quello che di solito è appannagio di una democrazia normalmente
funzionante. Consigli Comunali, territoriali, apparati giudiziari,
stampa ecc. Essa viene di fatto superata dal funzionalismo degli
apparati calati dall’alto in nome di una emergenza vera o presunta.
Tutti ricorderanno la neo-lingua imposta subito dopo il 6 aprile.
DICOMAC-COM , CAPI CAMPO ecc. ecc. e quindi una rapida dissoluzione
delle istituzioni pubbliche. Oggi quell’aspetto, ai molti orripilante
è sostituito dall’algido logaritmo della finanza. Perché chi determina
tutto il flusso finanziario della ricostruzione è deciso in Europa,
qui si decide solo di contratti di secondo livello. Una democrazia
ampiamente commissariata. Con quel cambiamento politico imposto dal
nostro Commissario ci fù un salto nello statuto politico e giuridico
dei cittadini e del popolo che si reputavano depositari della
sovranità. In uno
stato di emergenza si osserva “una tendenza irrefrenabile verso una
depoliticizzazione progressiva dei cittadini, la cui partecipazione
alla vita politica si riduce a sondaggi elettorali. Tale tendenza è
ancora più inquietante se si considera che era stata teorizzata dai
giuristi nazisti, che definivano il popolo come un elemento
sostanzialmente impolitico al quale lo stato deveva garantire
protezione e crescita.”…”Quello che bisogna capire però è che quando
si depoliticizzano i cittadini poi l’unico modo di farli uscire da
questa passività è mobilitarli con la paura….”(Giorgio Agamben
“Dallo Stato di diritto Allo Stato di Sicurezza”). E quando
progressivamente si applicano simili politiche è lecito attendersi una
dissoluzione rapida e irreversibile delle istituzioni pubbliche. Ed in
tal senso se si guarda agli ultimi avvenimenti di carattere
amministrativo e politico tutto torna. Qualsiasi avvenimento di un
certo rilievo, spesso viene, o è sempre commissariato: dal’Expò, al
Comune di Roma, e abbiamo persino un commissario agli appalti. Ma
l’elenco potrebbe continuare. Si propaganda prima l’unutilatà della
democrazia, in nome della corruzzione diffusa, quindi si impongono le
regole dell’eccezionalità, dell’emergenza. Bisogna ammettere, anche a
distanza di tempo come la figura di Bertolaso ed il suo fare, abbia
corrisposto ad una forma politica post-democratica ed autoritaria. Io,
non so se l’agire politico e amministrativo di questo personaggio sia
stato supportato da tale consapevolezza, tuttavia ha sicuramente
interpretato una tendenza che oggi si dispega non solo nel nostro
paese ma è in opera in tutto il continente europeo con la scusa del
terrorismo. Ora criticare tutte le malefatte di Guido Bertolaso
“prestato” alla Protezione Civile è giusto e necessario, tuttavia a me
pare che questa opera di sfondamento della democrazia formale per
quanto traballante sia la cosa più seria e importante da sottoporre
alla riflessione ed alla critica più attenta.

Alfonso De Amicis