Riandiamo indietro nella memoria. Per capire da dove siamo partiti e
purtoppo dove siamo approdati. “Il personale è politico” è lo slogan
che che più illumina e ha illuminato sulla stretta relazione politica
tra la dialettica fra generi. Essa coglie chiaramente la divisione del
lavoro famigliare: il maschio a produre il plus-valore in fabbrica, la
donna a riprodurre la forza lavoro in casa, il tutto incastonato in
una catena gerarchica la cui subordinazione femminile appare come il
necessario presupposto dello sfruttamento della forza lavoro.
Politicizzare il personale in quel contesto significava mettere in
discussione l’esistenza di una barriera fra il carattere
pubblico/politico della sfera del lavoro e il carattere personale
della sfera delle relazioni famigliari, unificando le due sfere sul
terreno della lotta anticapitalistica. La postdemocrazia e la
modernizzazione liberista dell’economia e della politica hanno
provocato uno slittamento semantico che, decontestualizzando lo slogan
del significato originale di lotta, lo ha fatto divenire sinonimo di
personalizzazione/privatizzazione della politica: dalla messa in gioco
di ciò che del personale può essere politico, si è passati alla
teorizzazione di una riconversione immediata del privato in pubblico.
Scrive Anna Straniero(Sessismo democratico. L’uso strumentale delle
donne nel neoliberismo) “La sfera privata scoppia nella sfera pubblica
spargendosi in mille pezzi e inserendosi come chiacchiera
spettacolarizzata, commercializzata, mentre la seconda implode su se
stessa, svuotata dall’elemento della formazione attiva delle opinioni
da parte di pubblici che sembrano aver perso la propria capacità di
critica”. Attraverso i dispositivi paralleli di femminilizzazione del
lavoro e omologazione della cominicazione politica e mediatica ai
canoni della neoligua politica, non sono le donne a essere incluse
nella vita pubblica bensì la loro immagine, ridotta a componente di un
corpo sociale “identificabile attraverso le ripartizioni semantiche:
le donne, i disabili, i gay e le lesbiche, i neri, i trans, ecc.” Non
c’è dubbio che oggi- almeno sul piano culturale e simbolico-si vive in
un mondo postpatriarcale, ma ciò non ha sancito l’egemonia politica
del movimento femminista, ne tanto meno il crollo della democarzia
neoliberale. Questo sistema si è dimostrato ampiamente in grado di
adattarsi alla nuova realtà; anzi se ne è fatto il più zelante ed
entusiasta sostenitore nella misura in cui interpreta le “nuove
libertà “come una nuova forma di schiavitù rispetto ai valori
consumistici di tipo neoliberale e rispetto ai dispositivi messi a
punto per gestire pubblicamente le soggettività. Il sessismo non può
più essere inteso e combattuto nella sua forma classica- ormai
defunta-, ma va riconosciuto e contrastato in quanto dispositivo che
non ha più la funzione di escludere le donne o altri generi, dalla
scena pubblica, bensì di promuovere “l’inclusione differenziale”. Nel
frattempo la “vittoria” del patriarcato produce una serie di effetti
che non si rivoltano solo contro le donne, ma contro l’intero corpo
sociale a partire da un disordine simbolico che rischia di divenire
ingovernabile, come nota Ida Dominijanni commentando sarcasticamente
la rielezione di Giorgio Napolitano: “mi chiedo a quale cornice
simbolica corrisponda la mossa del più giovane e femminilizzato
parlamento della storia italiana che si consegna mani e piedi a un
padre raddoppiato nell’età e nell’incarico”( Il “Raddoppio” Rivista
Alfabeta). Da questo parlamento giovanilista e femminizzato giunge la
proposta di legge sulle coppie di fatto. Ora, tutti noi siamo
favorevoli e tuttavia sollecito una riflessione più approfondita e
critica sui risvolti dei diritti, i quali non sempre hanno un codice
progressivo. Come la storia insegna il procedre ha sempre dei risvolti
ambivalenti. Dopo il tramonto dei grandi soggetti storici pare che
solo il diritto resta a opporsi alla naturalizzazione delle leggi
economiche, le quali si riducono, di fatto alla legge del più forte.
Quindi per tenere insieme i vecchi diritti sociali conquistati con
decenni di dure lotte di clesse, insieme con i nuovi diritti civile
dovrenno ridefinire quali soggetti sociali e politici possana far
valere ambedue i diritti. Qualora così non fosse rischiamo che tutto
scivoli verso una omologazione della personalizzazione del diritto
che è omologo alla personalizzazione della politica. A conti fatti
bisogna riconoscere che il liberalesimo con tutti i suoi archetipi
culturali è riuscito a sfondare alla grande dentro il nostro
territorio. E in verità in molte varianti è stato aiutato da noi
stessi.
Alfonso De Amicis