Se non ci fosse stato Stefano..

alfons

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Confesso che se non ci fosse stato Stefano mi sarei del tutto
estraniato da questa specie di competizione elettorale. Lo so: di
fronte ad un atto politico i sentimenti prevalenti dovrebbero
avvalersi di ragioni storico, analitiche, di fase. Ha prevalso il
sentimento dell’amicizia, del considerare la persona vicina come un
“figlio”. Cicerone ha fatto scuola circa la preponderanza
dell’amicizia. Ma tutto ciò non impedisce di analizzare in maniera
critica l’inutilità delle recenti elezioni in materia di
partecipazione delle XII circoscrizioni che compongono il vastissimo
territorio del Comune dell’Aquila. Un territorio grande e di difficile
gestione visto la sua ampiezza il suo prevalere montano. Scontiamo
ancora oggi la stupidità politica, amministrativa, autoritaria e
autoreferenziale dei notabili del fascismo. Ma questo è. Tuttavia la
domanda da porsi è: C’è vita democratica nel nostro paese, nella
nostra città? Negli ultimi mesi e anni non è forte il convincimento
che la pervicacia dell’ordoliberalesimo ha consegnato alla forza
roditrice della storia ogni residua credibilità sulla validità delle
cosiddette democrazie occidentali. Le consultazione elettorali sono
doventati riti. Riti di un paganesimo democratico dove non si decide
più nulla, figuriamoci quale valenza possano esercitare in una città
distrutta, dispersa e polverizzata come quella aquilana.
Comprensibilmente abbandonando qualsiasi convincimento o superstizione
possiamo dirci che siamo dentro un inquietanta fase postdemocratica.
Il tentavivo del sindaco e di altre forze politiche e di movimento è
di postare nei vari spazi della nuova modernità post-terremoto dei
droni umani  che facciano da antenna e riferimento e magari forma di
consenso amministrativo politico e elettorale. Mancando i corpi
intermedi una sua sostituzione più leggera e funzionale è d’obbligo
Una lunga mano di quel che rimane della vecchia forma partito.
Trasformati questi ultimi in forme di potere sempre più oligarchici e
escludenti. Insomma come ci ricorda Franco Berardi Bifo negli ultimi
anni alla parola democrazia non corrisponde più nulla. Perché prendere
sul serio l’esperienza di Syriza in Grecia, o la vicenda del
referendum italico contro la privatizzazione dell’acqua, i suoi
risultati, e i suoi effetti praticamente nulli sul piano economico e
politico? Negli ultimi anni sempre più la strada della domocrazia
liberale appare sempre meno percorribile. Le elezioni politiche non
decidono più nulla. Noi non contiamo niente. Più che elezioni sembrano
sondaggi di gradimento. Tanto la politica è ridotta a marketing. Le
grandi questioni che attengono alla materialità della nostra vita del
nostro futuro, i grandi cambiamenti le decisioni vengono dettate e
prese nelle segrete stanze di Bruxelles, di Francoforte o nelle sedi
delle grandi banche. I sistemi politici occidentali sopravvivono a se
stessi in competizioni finte e pompate all’inverosimile dai media
ufficiali e non. I diversi schieramenti sono sempre più simili e
complemantari. La loro funzione è solo apparente. Questo non ci esime
dal dire che questo sistema e soprattutto questa Europa con la sua
moneta unica e le sue politiche ci porterà diritti alla catastrofe.
Siamo sulla buona strada. La disintegrazione di questa nuova forma di
“super stato” senza popolo avrà come effetto un’ulteriore sterzata,
violenta, autoritaria, antidemocratica, xenofoba, razzista. Il nostro
paese è sulla buona strada altro che buona scuola o altre amenità. La
crisi della democrazia trae forte alimento da una recessione globale
che dura ormai da più di sette anni. Neanche la guerra stessa pare in
grado, come in passato di dare una mano per uscire da una  crisi che
si rivela sempre più sistemica. Come non ha senso scimmiottare il
totem della crescita, essa non è più possibile, non è più necessaria
nelle forme conosciute, non è più compatibile con la sopravvivenza del
pianeta. Ogni suo tentativo coincide con la devastazione ambientale e
sociale. Da questi fatti apprendiamo con evidenza che ogni discorso
sul termine democrazia è viziato da diverse ambiguità sostanziali e
formali. fino a rompere il suo emblema. “La democrazia si è retta nel
tempo su un intoccabile sistema simbolico: Potete dire quello che
volete della società politica, nei suoi confronti, potete esibire una
ferocia critica, senza precedenti, denunciare l’orrore economico:
poiché lo fate in nome della democrazia. Perché in definitiva è in
nome del suo emblema, e dunque del suo stesso nome, che avete tentato
di giudicare la società. Non ne siete usciti, siete rimasti suoi
cittadini,come sostiene essa stessa, non siete barbari e vi si potrà
ritrovare al vostro posto democraticamente stabilito; e in primo luogo
non c’é alcun dubbio alle prossime elezioni” (Alain Badiou) Ma questo
sistema che tutti ritenevano perfetto e perfettibile mostra i suoi
limiti le sue carenze, le sue deficienze storiche, vere storture
strutturali. Il suo stesso emblema viaggia in un spazio funereo.
Elezioni farse con vincitori e vinti che proclamano e condividono le
stesse politiche. Democrazie sempre più di censo, sempre più
verticali. La stessa JP-Morgan una delle grandi banche mondiali, senza
neanche tanto pudore consegnò il suo programma di inizio secolo
mettemdo al bando le democrazie Costituzionali nate dalla lotta al
nazifascismo. Non è passata in secondo piano la famosa lettera di
Trchet e Draghi dove oltre ai tagli al Welfare, alla riduzione dei
salari alle privatizzazioni vi era la precisa raccomandazione di
disfarsi rapidamente di alcuni istituti democratici e di passare
rapidamente alle controriforme Costituzionali. L’abolizione delle
province e la riforma del Senato obbediscono al rovesciamento della
Costituzione Italiana all’annullamento e annichilimento di alcuni
istituti democratici. La destituzione dell’emblema democratico è nei
fatti, nelle vicende storico politico in atto da oltre trenta anni.
Quello che stupisce e come ancora oggi, c’è chi si accapiglia  per
elezioni come quelle aquilane che dire da tragicommedia è un
eufemismo. I giovani sono qelli che più si sono sperticati per una
tornata elettorale che vale meno di un’assise condominiale. Forse
pensano e sperano in un trampolino di lancio verso il mondo di sopra.
Nel secolo scorso sfogliando i giornali che anticipavano la tornata
elettorale l’occhio si fermava su una delle notizie di maggior
importanza e quasi fondamentale: “i giovani che per la prima volta si
recavano alle urne
erano più di un milione”. Era assicurata una ventata di consenso e
forza per i partiti della sinistra. Aria nuova e di forte movimentismo
e contestazione verso una società  gerarchizzata bigotta e
cristallizzata . Oggi, al massimo i giovani di nuovo conio partono
futuristi e li ritrovi rottamatori e cinquettanti. Sanno l’inglese,
parlano perfettamente diverse lingue, “sono disposti a mettersi in
gioco” conoscono l’informatica e la tecnologia ma non sanno nulla
della caduta tendenziale del saggio di profitto o della teoria del
valore, troppo marxiano e soprattutto non conoscono la formazione
dell’Inter di Helenio Herrera. Questo mondo, per loro è l’unico
immaginabile e possibile. La fantasia non va al potere

 

 

Alfonso De Amicis