Scrivo con ritardo sull’incontro di venerdì scorso promosso da Appello
per L’Aquila e La Città Che Vogliamo. I dubbi c’erano prima e se
vogliamo sono accresciuti. Siamo dentro il cono d’ombra di pasoliniana
memoria. Una spoliticizzazione completa dell’Aquila, un corpo senza
nervi senza memoria. Si ripropongono parole d’ordini sorpassate,
mediatiche: Trasparenza, partecipazione, la politica dal basso. “ma
sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche in definitiva non
politiche” (Pier Paolo Pasolini). Insomma prima del grande tuono
questa città già non c’era. “Non era stata mai capace di un gesto
coraggioso, sempre matrigna con i suoi figli migliori, ostile alla
diversità fino all’offesa, ossequiosa e servile con lo straniero
potente” Ha sempre accettato l’omologazione impietosa che anticipa la
morte”. Il grande frastuono ha messo in evidenza quello che era in
atto da tempo: il ridisegno della città un “nuovo modo di possederla e
viverla”. Una inclinazione in atto da oltre venti anni. Una naturale
disposizione che mette la rendita, la finanziarizzazzione dei grandi
centri storici delle città europee come uno dei tanti modi di
valorizzare il denaro, moltiplicarlo. L’espulsione da questi luoghi
dei giovani, dei proletari, della vecchia piccola borghesia, è una
delle primi atti politici amministrativi che impongono questo nuovo
corso.
La prima ed immediata decisione è consegnare l’enorme
patrimonio a banche uomini d’affari, ricchi rampanti. Il potere di
oggi le sue rappresentanze stanno applicando anche nella nostra città
questa tendenza storica. Dentro questa tragedia si sta facendo
mercato, commercio. “C’è chi lo fa con volti teatralmente affranti da
quel moderno efficientismo” che è la comunicazione, la
spettacolarizzazione degli eventi chi riservandosi poltrone bianche
nel salotto buono della politica aquilana e nazionale. “Niente è
rimasto estraneo a questo percorso degenerativo; dal dramma di una
comunità, elevato a tragica rappresentazione, mediatica, dal diritto
di cronaca, dal cinismo dello sguardo, dalla processione dei potenti,
dal pellegrinaggio turistico”. Se è vero tutto questo, alla fine di un
percorso forse lungo ed accidentato riavremo una città sognata da
molti amministratori locali e potenti di turno ma non sarà la città
che dal medioevo si era mostrata al mondo. Sarà una città “bomboniera”
una città fatta di negozi, banche uffici di riferimento, ma niente a
che fare con la storia che ha fatto grande questo paese. Uno spazio
senza anima. Tutto in una logica del vivere fuori da ogni storia
urbanistica che l’Umanesimo italiano ha collocato in Europa e oltre.
Già oggi abitiamo uno spazio senza confini, in una dimensione “molto
americana” ma senza esserlo. Auspicherei una discussione su questo
futuro prossimo. Per carità una legge sulla ricostruzione, un esame
sul vuoto di governo (non di governance, questo sa molto di azienda),
sulla trasparenza la partecipazione, e magari rivedere la mia casa
come quella degli altri, giustamente le vediamo tutte come cose giuste
e “normali”. Tuttavia sarebbe auspicabile riflettere, lottare, per
riavere una città rispondente alle reali esigenze del vivere.
Interrogarsi su quale nuova forma di polis. Se non si fa questo
diventeremo come ci suggerisce Jack Kerouac in Mexico city blues
“…Li ho visti morire su delle sedie
Silenziosi in una città che non avevano mai progettato”.
La perla finale cosi come il virgolettato sono presi da uno scritto di
Giampiero Duronio.
Alfonso De Amicis