di Luigi Fiammata
Alla fine del 2013, gli Iscritti al Centro per l’Impiego de L’Aquila, erano 23.310.
Il Centro per l’Impiego de L’Aquila, serve l’area che va, più o meno, da Montereale a Capestrano, dove vivono circa 106.000 persone; gli Iscritti al Collocamento, quindi, sono il 21,88% dei residenti.
Tra il 2009 e il 2013, il numero degli iscritti al Centro per l’Impiego è cresciuto di 6980 unità, un aumento del 42% circa.
Il 52% degli Iscritti al Centro per l’Impiego è donna.
Circa il 38% degli Iscritti al Centro per l’Impiego è diplomato; circa il 9% è laureato; il 30% circa ha, come titolo di studio, solo la scuola dell’Obbligo.
Al 31/12/2013 , risultano iscritti al Centro per l’Impiego, da più di 24 mesi, 4115 persone ( il 17% del totale degli iscritti, circa; di questi, 1671 sono maschi, e 2444 sono femmine. Dal 2009, i maschi in questa specifica condizione, sono aumentati dell’81%; le femmine sono aumentate del 102%.
Dal 2009 ad oggi, gli avviamenti al lavoro, sono passati da 9322 a 10309, con un aumento del 10,5%.
Nello stesso periodo, le cessazioni dei rapporti di lavoro, sono passate da 9693 a 11515, con un aumento del 18,7%.
Il dato degli Iscritti al Centro per l’Impiego, provenienti da altri Paesi, ha solo una base provinciale. Si tratta quindi di un dato non paragonabile con i numeri aquilani.
Va detto, comunque, che, su base provinciale, gli stranieri comunitari iscritti ai Centri per l’Impiego, nel 2009 erano 2271, mentre nel 2013 erano 4425 ( con un aumento del 94% ); quelli extracomunitari sono passati, nello stesso intervallo di tempo, da 4063 a 6633 ( con un aumento del 63% ). Tra gli stranieri iscritti al Centro per l’Impiego nel 2013, 5370 sono donne e 5688 uomini.
Questi sono alcuni numeri scelti tra quelli che il Centro per l’Impiego e la Direzione provinciale del Lavoro monitorano. E spiegano alcune linee di tendenza della nostra realtà.
In primo luogo, spiegano che, tra il 2009 e il 2013, gli anni della crisi globale, e italiana in special modo, L’Aquila ha vissuto e vive un peggioramento netto della propria condizione materiale. Lo si vede da tre fattori, specialmente:
- l’aumento degli iscritti al Centro per l’Impiego, ben al di la di una crescita derivata da un incremento demografico;
- la dinamica occupazionale costantemente negativa, nel saldo annuale tra avviamenti e cessazioni dei rapporti di lavoro;
- l’aumentato numero di quelli che sono iscritti al Centro per l’Impiego da un tempo lungo, e che non riescono a rientrare, o entrare nel mondo del lavoro.
Questi dati indicano che il tessuto economico del territorio, neanche in una condizione specialissima come quella della ricostruzione post-sisma, riesce ad intaccare lo stock di Iscritti e Iscritte al Centro per l’Impiego, sia pure scontando un saldo migratorio attivo che certamente incide su questa condizione.
Questi dati indicano svariate criticità :
- Non vi sono state in questi anni politiche anti-cicliche, o, semplicemente, capaci di sostenere l’economia: si è discusso, sul nostro territorio, di misure come la “zona franca urbana”, o di fondi dedicati alla ricostruzione economica dell’area colpita dal sisma, e il risultato è negativo. La politica, o le forze sociali ( Sindacati e Imprese ), che hanno discusso di questo, hanno dimostrato di non aver compreso nulla di quanto accade sul Territorio e nel Paese: le Imprese che intendano assumere o investire, lo fanno a partire da considerazioni che prescindono dalla presenza di sostegno pubblico, che è comunque gradito e ricercato, ovviamente;
- Non vi è stata alcuna politica attiva del lavoro; né in termini generali, né specifici. Nessuna politica capace di intervenire sul fenomeno di coloro i quali da troppo tempo sono assenti dal mercato del lavoro; o sul fenomeno della disoccupazione scolarizzata o sul fenomeno della disoccupazione femminile; o su quella degli ultracinquantenni gettati nella disperazione dalle riforme pensionistiche;
- Vi sono state solo politiche passive del lavoro, attraverso l’uso dei cosiddetti ammortizzatori sociali in deroga, che hanno prodotto e producono passivizzazione e frustrazione, umiliando le persone che, tra l’altro, non percepiscono mensilità da luglio 2013 e che, dal momento del licenziamento, non ricevono alcun ri-orientamento pubblico al lavoro; ma creando anche pericolose sacche di “lavoro nero”, necessitato, o di comodo. Queste stesse politiche sono senza prospettive reali, vista la mancanza di fondi, e l’uso dei fondi per l’area del terremoto, per tutto l’Abruzzo, e visti i progetti di riforma del Governo che sono in realtà tagli selvaggi a quel poco che oggi c’è. Queste politiche passive hanno sino ad ora consentito di non affrontare conflitti sociali: lo hanno consentito in primo luogo al Sindacato e alla Regione Abruzzo, che si sono comodamente sdraiati sui finanziamenti nazionali, permettendo alle imprese, nei fatti, ogni libertà di ristrutturazione e di licenziamento. Arrivando al paradosso di aziende che, attraverso il ricorso alla cassa integrazione in deroga, continuano a drogare la loro competitività sul mercato;
- Non c’è alcun intervento di cui si avverta il peso per equilibrare la presenza di Lavoratori stranieri sul nostro territorio. Tale presenza, sta già producendo un conflitto sordo: che è quello che si gioca sul terreno della cosiddetta “sicurezza” e delle statistiche sui reati commessi nel territorio. Mentre è in realtà soprattutto un conflitto per il lavoro e sul lavoro. In presenza di una assurda politica nazionale sui fenomeni migratori, gli Enti Locali, le Forze Sociali, avrebbero il dovere di costruire seri percorsi che disinneschino la bomba sociale sui cui a L’Aquila siamo seduti. E forse è già tardi;
- La dinamica occupazionale costantemente negativa in questi cinque anni, non è solo il frutto di una crisi che è nazionale e globale, e sulla quale la ricostruzione non ha inciso significativamente, se non magari contribuendo a rendere più ampi e veloci i fenomeni, ma anche di una ulteriore precarizzazione in nessun modo contrastata, ma anzi favorita dagli innumerevoli strumenti che non producono un solo posto di lavoro in più ( borse lavoro, tirocini, stages etc. ), ma solo sostituzione di posti di lavoro stabili con posti di lavoro ricattabili: lo si legge in controluce anche dalla qualità degli avviamenti al lavoro nel nostro territorio: quelli a tempo indeterminato sono circa il 40% degli avviati totali, tenendo conto che anche in edilizia si avvia con contratti a tempo indeterminato, per poi licenziare con la brutta stagione.
Nessuno può pensare che da L’Aquila, o dall’Abruzzo, sia possibile porre in essere politiche in grado di sconfiggere una crisi economica drammatica come quella che viviamo dall’estate del 2008 ad oggi.
Ma è davvero difficile accettare che nessuna delle politiche poste sin qui in essere abbia prodotto un qualche risultato di rilievo. Nessuno dei nodi strutturali che riguardano la situazione del mercato del lavoro aquilano è stato oggetto di studio e di intervento politico o sociale. E, in verità, nessuno pare neanche essersi posto il problema.
La deregolamentazione di questi decenni, la drammatica perdita di potere contrattuale del Sindacato, l’assenza di ogni politica industriale o di serio sostegno all’economia del Paese e del Territorio, ci lasciano un campo di battaglia irto di macerie e trappole, nel quale le persone si aggirano da sole, e senza protezione alcuna, che non sia quella delle reti familistiche o clientelari.
Buona parte della Questione Morale, da qui nasce.