L’anno scorso la JP Morgan si lasciò andare con un giudizio parecchio pesante su alcuni paesi dell’eurozona. Per i vertici del colosso finanziario la crisi di queste nazioni si sarebbe risolta solo attraverso radicali riforme politiche. Si invitavano apertamente i cosiddetti paesi PIIGS ad abbandonare le costituzioni nate dalla resistenza perché obsolete, quindi ascrivibili a vecchi arnesi con contenuti ideologici e con forti venature socialiste. Se una delle più grandi banche speculative del mondo si occupava con tanta attenzione di quella che Marx chiamava sovrastruttura evidentemente nutriva buone e motivate ragioni.
Per realizzare riforme economiche liberiste richieste dalla continuità dell’euro e dal sistema finanziario e bancario continentale ci vuole in Italia in particolare una grande riforma politica. Una riforma che permetta al potere esecutivo di decidere quelle misure che il mercato globale richiede senza subire freni e contestazioni. Per questo la politica nel sud dell’Europa deve venire prima dell’economia. Per questo è nato il governo Renzi. Il nuovo governo è altra cosa da quelli che l’hanno preceduto. Da questi ultimi raccoglie alcuni aspetti, le tendenze ma li inserisce in una strategia più definita e con la capacità di individuare precisi obbiettivi programmatici e strumenti di potere per realizzarli.
Le premesse da cui prende le mosse l’attuale governo vanno ricercate nella presa d’atto della necessità di creare le condizioni per una trasformazione strutturale dell’economia italiana. Il fine è quello di realizzare per il nostro paese una nuova collocazione nella divisione internazionale del lavoro, essendo quella vecchia ormai logorata dai mutamenti degli ultimi decenni. Mutamenti in gran parte voluti anche dalla nuova classe predatoria italiana. Il programma costituente di Renzi è portato avanti con determinazione finalizzato a trovare una nuova posizione del sistema produttivo italiano nello spazio della competizione globale e ancora più in quello europeo ad egemonia tedesca. Una posizione che non potrà che essere di arretramento rispetto a quello dei 30 anni che seguono il secondo conflitto mondiale.
Una collocazione di “internazionalizzazione subalterna” della nostra economia. E’ in questo quadro che che va valutato il percorso attuale e futuro del Governo Renzi, sono queste necessità che lo orientano a costruire nuovi equilibri sociali e istituzionali. E’ questo il percorso che prende le mosse per la sua contro-rivoluzione conservatrice. Una controrivoluzione dai forti connotati autoritari e che Pasolini non avrebbe esitato a chiamarli “nuove forme di fascismo”. Una controrivoluzione che investe tutti i settori della società: Sanità, scuola, lavoro, immigrazione, spettacolo, sono investite da questo tsunami capitalistico. Questo governo si è incaricato di abbandonare ogni apparenza di “sistema umano” che aveva caratterizzato il capitalismo dello scorso secolo, ogni forma di mediazione e compromesso.
Ci consegna Un sistema predatorio e totalitario. In questo senso la lettura che molti danno della nuova realtà è fuorviante e mistificatoria. Il programma del governo dei “giovani” non è sotto dettato della confindustria nazionale, bensì è l’espressione più fedele più rispondente alla nuova “governance aziendale” che si è definita dopo 25 dal crollo del muro di Berlino. Oggi l’agenda viene dettata dalla Commissione Europea, dalla BCE di Draghi e dalla Bundesbank. Un artifizio del nuovo potere delle elites europee. Un super stato senza legittimazione popolare. Questo governo è l’avanguardia, la testa di ponte del capitalismo europeo nell’aggressione a quel poco che rimane delle posizioni conquistate dal movimento di classe del secolo passato. Il progetto di Renzi è quello di azzerare in modo preventivo ogni pur minima possibilità che i subalterni possano rialzare la testa, riprendere la parola e rimettersi in cammino per ritornare a essere un soggetto sociale autonomo dalle regole di questo sistema.
Non sarà facile rompere questa gabbia, scrollarsi di questo “tallone di ferro”, modificare i rapporti di forza. Tuttavia per intraprendere un percorso di risalita bisognerà ritornare su un terreno per troppo tempo abbandonato. Tornare sui luoghi dove il sistema produce il suo alimento indispensabile: il profitto. Sarà dura perché dovremmo attrezzarci con strumenti adeguati e abbandonare le facili certezze del passato. Nulla è scontato: il futuro è ancora da scrivere.
Alfonso De Amicis