La banalità del revisionismo. A proposito di “Anni spezzati”

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di Luciano Muhlbauer 

Quello che colpisce nella fiction “Gli anni spezzati” non è tanto l’ennesimo tentativo di ri-scrivere la storia recente del nostro paese e nemmeno il fatto che l’artefice dell’operazione sia la Tv di Stato, con il patrocinio dell’Associazione nazionale della Polizia di Stato. No, quello che colpisce e offende è che lo si faccia con tanta spudorata banalità, grossolanità e approssimazione e senza che ci sia almeno un accenno di scandalo pubblico.

Segno dei tempi anche questo, perché fino a non troppi anni fa almeno ci si sforzava un po’, si producevano ri-letture un po’ più sofisticate e confezionate meglio. Specie quando si toccava il tasto del periodo della strage di Piazza Fontana. E non perché la memoria storica fosse molto di più solida di oggi, come aveva evidenziato già nel 2006 un’inchiesta della Provincia di Milano tra gli studenti medi (vedi “Piazza Fontana, sono state le Br. O la mafia”, Corriere della Sera 13.12.2006), ma molto più semplicemente perché bisognava attrezzarsi in vista delle prevedibili reazioni pubbliche.

Oggi, invece, la prospettiva della polemica pubblica non sembra più preoccupare nessuno e i fatti, ahinoi, paiono dare ragione alla Rai, perché a due giorni dalla messa in onda del primo capitolo della trilogia, Il Commissario, la polemica, le reazioni, la critica e la stessa discussione sono fondamentalmente confinate in un pezzo di mondo assai caratterizzato. Come mi ha scritto ieri una mia amica su facebook: “Preoccupante è il fatto che ovviamente se ne parla solo tra noi”.

Beninteso, non che sui mezzi di informazione mainstream ci siano le standing ovation, ma ci si limita a far finta di niente oppure a parlarne criticamente soltanto a pagina 42, come fa oggi La Repubblica. Davvero un po’ poco per una fiction che è ha stravinto la gara degli ascolti televisivi (share del 18,66% per la prima parte e del 17.14% per la seconda).

E così, ci troviamo di fronte a un prodotto televisivo mediocre, dove la sciatteria nella cura dei dettagli, come quel manifesto contro Casa Pound in casa di un anarchico del ‘69 (vedi segnalazione di Militant), costituisce un semplice sottoprodotto di una più generale e grossolana noncuranza per la realtà di quegli anni, che porta a ignorare il clima politico, i movimenti di massa e l’autunno caldo e a ridurre la strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi di Stato, a mero e inintelligibile sfondo per una telenovela il cui unico fine è l’esaltazione di una versione alquanto irreale del Commissario Calabresi. Come stupirsi dunque che alla fin della fiera la fiction proponga sulla strage del 12 dicembre, sulla stagione della strategia della tensione e sulla stessa morte in Questura di Pinelli un livello di verità persino molto inferiore a quella che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva definito “una verità storica conseguita”.

Un’operazione di falsificazione storica, senza dubbio, offensiva per la coscienza e la memoria storica, per non parlare dei familiari di Giuseppe Pinelli e degli anarchici, ma anche un’operazione che ha spopolato in prima serata e che dunque ha raccontato la sua verità su anni cruciali della nostra storia a milioni di persone. Ecco perché è sbagliato il troppo silenzio da parte di troppi, che invece la possibilità di parlare pubblicamente ce l’avrebbero. E la qualità infima della revisione storica non è un attenuante per i silenzi, anzi, semmai è un aggravante.

E poi, non è neanche finita qui, perché ci aspettano ancora due puntate. Settimana prossima toccherà a Il Giudice, dedicato alla figura del giudice Mario Sossi, sequestrato dalle Brigate Rosse nel ’74, e poi arriva L’ingegnere, che pretende raccontarci la lotta operaia alla Fiat attraverso gli occhi di un dirigente della multinazionale…

Penso sia chiaro l’intento revisionista della fiction ed è altrettanto chiaro che si possa perseguire questo intento in maniera talmente banale e grossolana perché il vento che tira lo permette, perché l’egemonia culturale è ormai di qualcun altro, perché siamo passati dal pensiero debole a quello liquido, perché la storia lo scrivono i vincitori ecc. ecc. ecc. Eppure, tutto ciò non è una giustificazione per non dire e non fare, anzi, perché come sempre, quando si riscrive il passato, l’obiettivo è il presente e il futuro.