Nessun futuro per L’Aquila nell’Europa della Merkel

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Di Roberto Santilli giornalista di Abruzzoweb

 

L’Europa muore sotto i colpi di un manipolo di individui con un potere immenso tra le mani. E le genti d’Europa nella maggior parte dei casi sono impegnate a curare il giardinetto fuori casa (o a occuparsi, nei momenti ‘morti’, del dannosissimo gioco del calcio come fa il sottoscritto), un metro quadrato di spazio ancora per poco respirabile in mezzo a un disastro economico da star male per decenni, convinte, o illuse, di potersi salvare le chiappe, di riuscire a tenersi a distanza di sicurezza dalla tempesta. È impossibile riassumere in poche righe le motivazioni, psicologiche prima di tutto, che impediscono a milioni di persone di considerare il tracollo economico e sociale europeo come l’unico frutto possibile di quell’albero malato, perché malato è stato voluto e cresciuto, chiamato Eurozona, da cui o si esce o si resta schiacciati, nessuna via di mezzo è possibile.

Ma se si dà un’occhiata all’Aquila terremotata, si può capire più di qualche passaggio. La città peggiora ogni giorno di più nonostante qualche cantiere, anche importante, sia partito, una dinamica che somiglia in modo inquietante a ciò che succede nelle realtà economicamente indecenti ma comunque ‘alla moda’ e dal bicchiere spacciato come mezzo pieno: lavori come uno sguattero (se lavori), puoi permetterti una bella tv e un bel paio di pantaloni, ma dormi in un tugurio e non hai accesso a ciò che conta di più nella vita: una casa tua, una comunità sana di cui sentirti parte, un lavoro che ti permetta di crescere, di migliorare, di non ammalarti o di curarti senza perdere tutto ciò che hai se ti ammali e di godere, domani, di una vecchiaia decente, guardando i tuoi figli fare ciò che hai fatto tu qualche anno prima. L’Aquila questo è. L’Aquila di questi anni, come l’Italia di questi anni.

Quando lo sviluppo se ne va per affari suoi, quando è una questione non coordinata e aperta a tutti, chi resta fuori dal gioco , sostanzialmente, muore, isolandosi e convincendosi che un misero fazzoletto riciclato non si sa bene come sia in fondo meglio di niente e che quelle regole ormai cristallizzate siano giuste e impossibili da cambiare. Del resto, se tutti chiedono un affitto di 600 euro per una caverna e se quella caverna oggi la chiami casa, perché ribellarsi?. Oppure, nei casi addirittura peggiori, lanciandosi in battaglie che in un momento storico come questo non sono prioritarie e altro non fanno che rimescolare le acque, impedendo la comprensione radicale, completa, assoluta, di ciò che accade sopra di noi e quindi da noi, qui, a casa nostra. Andiamo più spediti. Qualche giorno fa Guy Abeille, il funzionario francese che ha inventato il vincolo del 3 per cento nel rapporto deficit/pil, il vincolo per cui L’Aquila intesa come città con un futuro degno di essere chiamato tale, non un’accozzaglia di monumenti a uso e consumo di quattro randagi fermi al presente e al passato, ha ammesso: “Serviva un numero facile da ricordare da sbattere in faccia ai ministri francesi che chiedevano soldi”.

Insomma, l’elemento macroeconomico che sta polverizzando le democrazie europee (L’Aquila è in Europa e dipende dall’Europa, lo sapevate?), democrazie imperfette certo ma non per questo da strangolare, è una balla colossale. Una frase del genere dovrebbe provocare una rivolta da leggenda, invece in Italia, più che altrove, si sprecano energie, tempo, idee, dietro alle pagliacciate degli sprechi pubblici e delle altre diavolerie inventate dai servi dei demoni europei e generalmente sovranazionali. Un sottosegretario appena entrato sulla scena, al contrario, conferma: il 3 per cento non si sfora.

Più Europa, più nazismo, più crimini. Chiaro, sì? E intanto si continua a ignorare, a questo punto non importa più se consapevolmente, la differenza fra un cancro e un prurito alle parti basse. Così come si continua a ignorare il funzionamento di uno Stato con una sua sovranità monetaria e di bilancio, (l’Euro ha distrutto i fondamentali della nostra democrazia, non una puttanella in quel di Arcore), puntando il dito contro ciò che mai, mai, può annientare l’economia di un Paese, vedi auto blu, evasione fiscale, quella che oggi salva le aziende italiane altrimenti destinate a una corda appesa a una trave), e altre sciocchezze assortite. In conclusione.

Era il 24 giugno del 2013. Al dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia, lo staff tecnico dell’allora vice ministro Stefano Fassina, rispondeva, lo riassumiamo, all’economista statunitense Warren Mosler: le sue proposte con cui reperire i circa 6 miliardi che servono per rimettere in piedi L’Aquila, non coincidono con gli accordi che il governo di Enrico Letta ha preso con la Germania di Angela Merkel. Erano proposte che al rapporto deficit/pil, quello di cui sopra, quello fissato al 3 per cento senza alcuna motivazione scientifica, facevano forse un po’ di solletico, cioè non lo toccavano sul serio, anzi, permettevano il rientro di quattrini nelle casse dello Stato. L’ennesimo governo non eletto, abusivo, antidemocratico e insolente, si è insediato in Italia, promettendo agli italiani favolette senza valore o ricette economiche che porteranno l’Italia, definitivamente, a una condizione kosovara. Da quel giugno del 2013, cui si era arrivati sanguinanti a causa dei colpi inferti da un sadico cadavere ambulante servo di criminali in giacca e cravatta come Mario Monti, che nell’unica visita all’Aquila non si è beccato manco un uovo in faccia, le cose sono decisamente peggiorate.

Il ‘nuovo che avanza’ Matteo Renzi è costretto, per carriera, a fare lo spogliarello davanti a Hitler con la gonna, la signora Merkel. I voti ai negri d’Europa, noi tutti, li dà quella bionda là. Questa è la realtà dei fatti. Ma all’Aquila c’è chi preferisce dannarsi l’anima per inchieste patetiche e ombre del potere che conta sul serio e che ci uccide giorno dopo giorno. Poi arriva un sottosegretario alla presidenza del Consiglio come Graziano Delrio, che senza indugi fa sapere agli strangolatori di Francoforte e Bruxelles che l’Italia farà la brava e non si azzarderà a sforare quel maledetto e fasullo 3 per cento. In manicomio non saprebbero da dove cominciare.

Amen.

Lettonia nell’Europa unita. Bravi, bravi, bravi!

ley










Di Tina Massimini e Alfonso De Amicis

E con viva è vibrante emozione che apprendiamo l'entrata in Europa
della Lettonia. Bravi, bravi, bravi. Hanno fatto i compiti a casa come
meglio non si poteva. Nel giro di quattro anni sono passati da un PIL
di meno 18% a un più 4%. Miracolo dell'austerità espansiva, o come è
già successo con qualche paese piigs c'è qualche trucco contabile
sapientemente calibrato da commissari guerci? I dubbi,  malfidati?
Certo siamo poco inclini nel credere ai miracoli. La potica
politicienne è l'arte dell'impossibile. Settantanni sono passati da
quando per conquistare terreno e persone c'era la necessità di super
armamenti e sofisticate macchine amministrative. Oggi la finanza (il
finanzismo come lo chiama Franco Berardi Bifo) conquista e distrugge
in un batter d'occhio intere nazioni. La pervicacia con cui hanno
sprofondato una nazione come quella Ellenica rappresenta l'essenza del
capitalismo odierno. Altresì vergognoso  è il modo in cui è stato
abbandonato questo popolo dalle centrali sindacali e dalle
socialdemocrazie europee.