Lupo morto nell’Aquilano

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Un lupo morto è stato trovato questa mattina nel territorio del Comune di Poggio Picenze , in un campo vicino alla zona industriale di Varranoni.

L’esemplare, un maschio, potrebbe essere stato investito da un’auto nella notte. A scoprirlo una pattuglia del Nucleo faunistico venatorio della Polizia provinciale che ha allertato il servizio veterinario della Asl per una prima ricognizione.

L’animale è stato all’Istituto Zooprofilattico di Teramo per l’esame autoptico.

Protesta disabili a Pescara,Carrozzine occupano parcheggi

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Carrozzine occupano parcheggi. I disabili “ricambiano il favore” agli automobilisti che parcheggiano nei posti riservati alle persone con disabilità: decine di carrozzine vuote con sopra cartelli con scritte quali ‘torno tra 5 minutì o ‘solo un attiminò hanno occupato nel pomeriggio altrettanti parcheggi del centro di Pescara, nel primo giorno di saldi. A promuovere la manifestazione di sensibilizzazione è stata l’associazione Carrozzine Determinate Abruzzo, in collaborazione con il Comune di Pescara e con l’Associazione Nazionale Carabinieri. Agli automobilisti e ai cittadini impegnati nello shopping, lungo corso Vittorio Emanuele, i rappresentanti dell’associazione hanno consegnato migliaia di volantini informativi e centinaia di confezioni di carbone dolce. Nei parcheggi, per tutto il pomeriggio, hanno stazionato le carrozzine, con l’obiettivo di sensibilizzare gli automobilisti, soprattutto quelli abituati a lasciare la macchina nei posti per i disabili, senza rendersi conto dei disagi arrecati. «I parcheggi riservati – spiegano il presidente e il vicepresidente di Carrozzine Determinate,  – non sono un privilegio, ma sono una necessità per chi ha bisogno di scendere dalla carrozzina. Cosa ancora peggiore di chi li occupa abusivamente sono coloro che sfruttano permessi scaduti o che non hanno disabili a bordo, parcheggiando con cognizione di causa». Per l’assessore comunale alla Mobilità, Berardino Fiorilli, si tratta di «un’iniziativa unica in Italia che Pescara ha sposato con forza e convinzione».

Crisi, il socialismo in un paesino solo, Marinaleda in Andalusia

 

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di Antonella Frustaci da controlacrisi.org

 

Di lui si è sentito parlare ad agosto 2012, quando affiancato da militanti del Sindacato Andaluso dei Lavoratori, Juan Manuel Sánchez Gordillo ha condotto una “espropriazione forzata” di alcuni prodotti alimentari – distribuiti poi ai più bisognosi – in parecchi supermercati. Sindaco della cittadina di Marinaleda, si è messo al capo di un movimento di resistenza popolare alla crisi e contro l’austerità. Là, grazie alla partecipazione e al sostegno di tutti gli abitanti, ha dato il via a un’esperienza politica ed economica originale, che ha fatto di questa cittadina una sorta di isola socialista nella campagna andalusa.

Con la crisi economica, Marinaleda ha avuto l’occasione di verificare se la sua utopia realizzata in 25 chilometri quadrati potesse essere una soluzione praticabile nei confronti del mercato. Il suo tasso di disoccupazione attuale è dello zero per cento. Una buona parte dei suoi abitanti è occupata nella Cooperativa Humar-Marinaleda, creata dai lavoratori agricoli stessi dopo anni di battaglie.

A lungo, infatti, gli agricoltori hanno occupato le tenute Humoso, appartenenti a un aristocratico, e ogni volta sono stati puntualmente dispersi dalla Guardia Civil, la polizia spagnola. “La terra è di chi la lavora”, era il loro motto. Nel 1992 sono riusciti a vincere la loro battaglia e sono diventati a tutti gli effetti proprietari della tenuta.Nelle loro terre gli abitanti di Marinaleda coltivano fave, carciofi, peperoni e olio extra vergine d’oliva. Sono sempre loro, i coltivatori, a occuparsi di controllare tutte le fasi della produzione, visto che la terra appartiene “a tutta la collettività”. L’azienda agricola annovera un’industria conserviera, un frantoio, alcune serre, attrezzature per l’allevamento del bestiame e un deposito.

A prescindere dalla loro occupazione, tutti i lavoratori ricevono uno stesso salario, corrispondente a 47 euro per ogni giornata di lavoro e per sei giorni la settimana, ovvero 1.128 euro al mese per 35 ore lavorative (contro un salario minimo fissato a 641 euro).

In piena stagione, la cooperativa dà lavoro a circa 400 persone, in bassa stagione a un centinaio. Ogni posto di lavoro, però, non è attribuito secondo una logica consueta a questo o a quello, bensì viene offerto a rotazione, per garantire un introito a tutti. “Lavorare meno per lavorare tutti”, questo è il principio messo in pratica. Del resto, alcune persone lavorano in piccoli appezzamenti di terreno dei quali sono proprietari. Il resto dell’attività economica dipende dai negozi, dai servizi di base e dalle attività sportive. In pratica, tutti gli abitanti del paese guadagnano quanto chi lavora nella cooperativa.

Tenendo ben presente che l’agricoltura bio crea più posti di lavoro dell’agricoltura tradizionale, si è provveduto ad assicurare lavoro a tutti e creare posti in più per coloro che tornavano alla campagna dopo aver perso il posto in città a causa della crisi.Marinaleda ha deciso di andare ostinatamente contro corrente alla speculazione immobiliare. Qui è possibile prendere in affitto un’abitazione in buono stato, di 90 metri quadrati e con balcone per 15 euro al mese. L’unica condizione è che ognuno deve partecipare alla costruzione del proprio alloggio, seguendo la filosofia orizzontale che regola tutte le attività di Marinaleda. Il comune è entrato in possesso di alcuni terreni lottizzati alternando acquisti ed espropri. Così adesso è in grado di offrire i terreni e di fornire il materiale necessario a procedere alla costruzione degli immobili. La costruzione è affidata ai locatari stessi, il sindaco ha alle proprie dipendenze alcuni muratori professionisti, che fungono da consulenti per i cittadini e realizzano i lavori più complessi. Infine, i futuri affittuari non sanno a priori quale sarà l’appartamento che sarà affittato loro e ciò favorisce l’aiuto reciproco. A Marinaleda la polizia non c’è e tutte le decisioni politiche sono prese da un’assemblea alla quale sono chiamati a partecipare tutti gli abitanti. In altri tempi la maggior parte dei contadini sapeva appena scrivere. Oggi gli agricoltori hanno a loro disposizione una scuola materna, una scuola elementare e media, un liceo che arriva alle prime due classi. La mensa costa soltanto 12 euro al mese. Tuttavia, secondo l’opinione di Sancho, “il tasso di abbandono scolastico è un po’ alto. Qui gli abitanti hanno alloggio e lavoro garantiti, al punto che molti non capiscono quale sia l’interesse di studiare. Si tratta di uno dei punti sui quali dobbiamo migliorare”.

Cittadinanza Bambini stranieri:Pelini (prc) : adesso nuove politiche di integrazione, Abrogazione Bossi-Fini e chiusura Cie

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L’Aquila concede la cittadinanza onoraria ai figli degli stranieri residenti nel comune. La cerimonia si è svolta questa mattina presso l’auditorium del castello alla presenza di centinaia di bambini e delle loro famiglie. La consegna delle pergamene per la cittadinanza onoraria e di una copia della Costituzione multilingue è stata effettuata dal Sindaco Cialente alla presenza degli assessori Di Giovambattista, Betty Leone e Pelini. Presenti all’iniziativa molti consiglieri tra i quali Ettore Di Cesere primo firmatario della mozione in consiglio comunale. Per l’assessore alle politiche del Lavoro Pelini l’iniziativa annovera la città dell’Aquila tra le primissime amministrazioni a dare un segnale forte affinchè il governo nazionale cominci un percorso di integrazione interculturale volto al superamento della Bossi-Fini e alla chiusura dei famigerati Cie: ” se tutti seguissero il nostro esempio” dice Pelini “la bossi-fini sarebbe messa seriamente in discussione nel suo stesso impianto ideologico nei fatti tramite il movimento dal basso che ispira iniziative come questa“. Per l’amministratore aquilano servono nuove politiche per l’integrazione interculturale: “a breve metteremo in campo con l’assessorato alle politiche del lavoro alcune iniziative volte all’integrazione anche lavorativa dei cittadini stranieri che risiedono nel nostro territorio”.

Giulio Petrilli:condanne completamente ingiuste sono certo in un esito positivo in appello

 

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Di Giulio Petrilli

l Tribunale dell’Aquila mi ha condannato a otto mesi di carcere e la Corte dei Conti al pagamento di 260 mila euro. Il tutto, perché ho trasformato cinque contratti di lavoratori dell`ente, da tempo determinato a tempo indeterminato e perché ho ridotto il compenso del direttore (figura obbligatoria) da 110mila euro annui a 39 mila, figura assolutamente compatibile con altri incarichi che aveva. L’Aret è l’unica azienda abruzzese che sopravviveva senza contributi regionali, ha avuto finanziamenti per progetti europei di grande validità sociale. Addirittura ha collaborato in uno di questi progetti con l`Ocse, Organizzazione delle Nazioni Unite, in una zona di guerra in Kossovo, a Mitrovica, dove mi sono recato insieme ad alcuni dipendenti. Con la mia presidenza sono finite le costose consulenze esterne e ho costruito una piccola pianta organica, oltretutto obbligatoria, quindi ho riportato la legalità all’interno dell’ente e ho ridotto totalmente i costi. Stavamo per ottenere altri grandi e importanti finanziamenti per progetti europei, ritenuti validissimi dalle commissioni preposte alla valutazione. Ma questa cosa dava fastidio.

Francia: il primo bimbo del 2014 è figlio di una coppia lesbica

 

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Uno degli eventi storici del 2013 è, senza dubbio, l’introduzione dei matrimoni gay in Francia. Ed è figlio di una coppia lesbica il primo bambino nato oltralpe. A mezzanotte e un minuto, a Saint-Pourçain-sur-Besbre, un paesino della regione dell’Alvernia, è nato Sasha figlio di due donne, Maude e Delphine.

Maude e Delphine non sono sposate, ma unite da un PACS nel 2010, per cui l’unica madre riconosciuta, finora, è Maude (le due donne aspettano il 29 gennaio quando l’Assemblea Nazionale dovrebbe prendere in esame la legge sul matrimonio egualitario e riconoscerne la costituzionalità). Ciò che risulta più bizzarro, però, è che in Francia una coppia omosessuale non può accedere alla fecondazione assistita. Per concepire Sasha, Maude e Delphine sono dovute andare in Belgio. Un paradosso che speriamo nel 2014 si possa risolvere.

Intanto, speriamo che la nascita di Sasha, oltre che gioia per le sue due mamme, sia un segno. Un segno di grande cambiamento. Magari non solo per la Francia.

Muore Eusebio tra i più grandi di sempre

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Aveva solo 71  anni, Eusebio, scomparso questa notte a causa di un’insufficienza cardiaca. Se Cristiano Ronaldo è il presente devastante, Figo e Rui Costa sono il recente passato, quello della Generazione d’Oro, la Pantera Nera è stato il tutto, il primo grandissimo del calcio Portoghese.

Fortissimo nel gioco aereo nonostante un fisico non eccezionale , veloce, un killer d’area. Uno che nel 1962 contribuiva a interrompere definitivamente il dominio del Real Madrid, guidando il Benfica alla vittoria della seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Bomber devastante autore di più di 400 goal ufficiali con la maglia tanto amata delle Aquile di Lisbona. Nel 1960 arrivò nella capitale portoghese dalla natia Mozambico, dalla capitale Lourenço Marque, per sposare il Benfica, trascinandolo in alto fino al 1975, quando andò negli Stati Uniti prima, in Messico poi, fino ad arrivare in Canada. Tutto condito da classe e goal, da Toronto a Boston, passando per Monterrey.

Tranne il mondiale e l’europeo con la nazionale(di cui era assoluto protagonista) ha vinto tutto, la Coppa Campioni (due volte le uniche del Benfica), il Pallone d’Oro del 1962 (primo giocatore di colore, unico fino a Gullit nel 1987), una decina di campionati portoghesi, due edizioni della Scarpa d’Oro. La sua fame da attaccante implacabile era inarrestabile, capocannoniere al Mondiale del 66 coin 9 reti, praticamente sempre nella liga porteghese e nelle coppe Campioni 60/61 e 61/62.

Oltre 100.000 persone si sono raccolte nel pomeriggio allo Stadio Da Luz di Lisbona per ricordarlo.

L’Aquila in emergenza pareggia a Prato

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Finisce in parità 0-0 al lungobisenzio di Prato. Tifosi e giornalisti al seguito raccontano come la squadra rossoblù pur non giocando una grande partita e penalizzata da diverse defezioni regge bene gli attacchi del Prato. Carcione oltre il novantesimo sfiora il colpaccio su punizione. Quarto posto mantenuto ma vetta che torna a +7 . Domenica grande sfida al Fattori con il Lecce di Miccoli che occupa la quinta piazza ad un solo punto dall’Aquila.

L’Aquila è scesa in campo con :Testa, Gallozzi, Dallamano, Carcione, Zaffagnini, Pomante, Corapi, Agnello, De Sousa, Ciciretti, Frediani

Pelini: La partercipazione all’Aquila rappresenta un grande sforzo collettivo

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La Partecipazione all’Aquila Di Fabio Pelini (tratto dal libro: Territorio e democrazia di Lina Calandra)


Il Regolamento sugli istituti di partecipazione, approvato dal Consiglio comunale di L’Aquila il 26 gennaio 2012 , rappresenta una grande opportunità. Dinanzi alla crisi della politica e della rappresentanza, è necessario e non più rinviabile costruire nuove relazioni tra governanti e governati, tra politici e cittadini.

Complice un sistema politico che nell’ultimo ventennio ha dato rappresentanza effettiva solo alle istanze “compatibili” con il pensiero unico della globalizzazione e  dei mercati, tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno marcato un distacco crescente dai bisogni che si materializzavano soprattutto tra i settori meno tutelati della popolazione. È accaduto così che anche governi sulla carta più sensibili a un cambio di paradigma nel sistema delle Il fallimento di una nuova politica, capace di gettare un ponte tra classe dirigente e cittadini nell’ottica di un rinnovamento della democrazia, ha palesato una crescente sfiducia che ha finito per accomunare nel sentire dei cittadini tutt la politica in quanto tale: un sentimento che ha definitivamente sancito per molti come il cleavage non fosse più, come storicamente avvenuto fino a qualche decennio fa, quello tra le categorie della destra e della sinistra, ma fosse invece determinato dalla divisione incolmabile tra l’alto e il basso della rappresentanza, tra i governi e la classe politica in quanto tali e i comuni cittadini. Questa tendenza ha finito per alimentare il sentimento dell’antipolitica e del populismo, per cui insieme ai deteriori esempi di malgoverno, rischiano di essere travolti irrimediabilmente i seppur pochi esempi di buona politica: nel buio della notte, cioè, tutti i gatti sono inequivocabilmente neri e poco importa se le responsabilità sono individuali e i contesti di riferimento sono molto differenti l’uno dall’altro.

Di fronte alla percezione, spesso fondata, di una democrazia degenerata e frutto della delegittimazione endogena della forma partito e del relativo sistema della rappresentanza, è prioritario costruire una nuova qualità della politica e dell’amministrazione pubblica: e la partecipazione dei cittadini alla scelte appare oggi come l’unico antidoto a questo preoccupante status quo.

Tanto più oggi che a tutti i livelli i cittadini vengono spogliati della capacità di scegliere da logiche sovranazionali e impalpabili: nella crisi planetaria che viviamo, commissariata è la politica economica internazionale, tecnico e non eletto dai cittadini è il Governo italiano.

A L’Aquila, dopo il rovinoso sisma del 6 aprile 2009, le scelte sono state dettate dall’alto, con un sistema – quello di Governo e Protezione civile –centralizzato e intrinsecamente autoritario, e ancora oggi è una governance commissariale a decidere sulle scelte più importanti, lasciando un potere sostanzialmente consultivo alle amministrazioni locali scelte dai cittadini. A maggior ragione in un contesto del genere, il percorso per giungere all’approvazione di un regolamento della partecipazione doveva essere il più partecipato possibile: si è pensato dunque, di coinvolgere nella discussione tutta la città-territorio, una delle dieci più ampie in Italia in termini di estensione territoriale. Il percorso partecipativo, pertanto, per forza di cose doveva interessare le frazioni per poi arrivare al centro della città. Centinaia di cittadine e cittadini hanno detto la loro, anche in maniera molto critica, ma sempre propositiva: va notato, che la bozza del regolamento presentata nella prima assemblea e che recepiva una precedente stesura dei comitati aquilani – ha ricevuto contributi che ne hanno modificato e arricchito il testo iniziale. Questo, infatti, prevedeva, quali istituti della partecipazione: il bilancio partecipativo, l’eventualità per i cittadini come singoli e associati di presentare istanze, petizioni e proposte di deliberazione e la possibilità, su grandi temi di interesse generale per tutta la città, di ricorrere al referendum consultivo. Durante le assemblee sul territorio, sono stati aggiunti due nuovi istituti: l’istanza pubblica e l’udienza pubblica.

L’approvazione nel Consiglio comunale del 26 gennaio 2012 ha rappresentato, dunque, il suggello a un grande sforzo collettivo per modificare il paradigma dominante per cui i cittadini sono esclusi dalle decisioni nelle scelte strategiche e la democrazia è squalificata, perché ridotta a un periodico e sterile esercizio. Insieme alle cittadine e ai cittadini che nonvogliono rassegnarsi a questo stato delle cose, abbiamo tentato di ripartire con un nuovo inizio, che riporti la buona politica e la buona amministrazione nella sfera degli interessi delle persone e non solo tra coloro che coltivano interessi particolari più o meno leciti; abbiamo inteso, cioè, interpretare fino in fondo la necessità di dare attuazione pratica ai capisaldi della democrazia: la trasparenza e la partecipazione. Con la consapevolezza che l’approvazione di un regolamento, per quanto avanzato possa essere, rappresenta solo il primo passo – necessario ma non sufficiente – per costruire un nuovo modello di politica e di amministrazione e, dunque, con la convinzione che il cambiamento potrà avvenire solo se i cittadini percepiranno come utile il proprio impegno nelle assemblee e nei luoghi del confronto e, soprattutto, se quei percorsi riusciranno a incidere nelle scelte dell’amministrazione. Un po’ come è avvenuto a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul.

È per questo che da subito abbiamo cercato di sperimentare il Regolamento, utilizzando gli istituti in esso previsti: primo banco di prova (marzo 2012) è stata la discussione del Piano di ricostruzione del Comune di L’Aquila, con le sue oltre cinquanta frazioni. Terreno minato, perché oggetto della disputa tra livello commissariale e livello locale, il confronto con i cittadini è stato proficuo in sé, ma utile anche per comprendere il valore del lavoro intorno al Piano di ricostruzione e per chiarire quale debba essere il futuro della città. Ne sono venute fuori cinque assemblee pubbliche sul territorio comunale (Paganica, Roio, Arischia, Sassa, Bagno), prima dell’Istruttoria pubblica a L’Aquila centro, dove sono state presentate in forma scritta le osservazioni al Piano in vista dell’approvazione definitiva.

Intanto, però, è arrivato il tempo per il rinnovo dell’amministrazione e quale migliore occasione potevamo avere per dare seguito in maniera concreta alla partecipazione, se non partecipare il programma elettorale della coalizione del centrosinistra aquilano con i cittadini? Il tentativo è stato generoso e senz’altro utile, anche quando a partecipare agli incontri c’era quasi esclusivamente personale politico, tendenza che ha evidentemente confermata la disaffezione dei cittadini nei confronti della politica e, forse in misura anche maggiore, la difficoltà di costruire percorsi credibili in campagna elettorale. La vittoria, netta, del centrosinistra ha premiato, con ogni probabilità, il coraggio dell’innovazione sul tema fondamentale della partecipazione, ma il dato più significativo – e quasi insperato – è stato l’avvio di un

processo di cambiamento reale, se è vero che tutte le forze politiche e sociali cittadine hanno finalmente messo al centro dei propri auspici e dei propri programmi la necessità della partecipazione come metodo di governo, ma anche come metodo di controllo dell’amministrazione attiva: è stato questo, crediamo, il successo più grande conseguito con il lavoro degli ultimi mesi.

Da questo momento in poi, sappiamo che la sfida che ci attende è grande e che la necessaria sperimentazione di un terreno finora inedito ci condurrà a fare passi in avanti, ma anche molti passi indietro: è del tutto fisiologico.

Ma siamo consapevoli altresì, che il percorso intrapreso è irreversibile e virtuoso, e non dovrà solo preoccuparsi di sconfiggere disaffezione e antipolitica, ma dovrà inverare un nuovo patto sociale e una nuova narrazione che riconsegnino alle cittadine e ai cittadini della polis un orizzonte di senso al loro vivere insieme.

 

Il nodo dell’euro non può più essere eluso

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di Andrea Ricci * docente di Economia internazionale all’Università di Urbino

 

Nell’ultimo semestre i mercati finanziari europei hanno vissuto una situazione di tranquilla bonaccia. Gli spreads tra i titoli di Stato dei PIIGS e quelli della Germania, pur se storicamente elevati, si sono assestati su valori ben inferiori a quelli registrati nel biennio 2011-12. Per l’Italia il differenziale tra BTP e Bund decennali ha oscillato intorno a quota 270, circa la metà del livello toccato nei momenti più acuti della crisi. Gli indici azionari sono ovunque aumentati nel continente, con la Borsa italiana in testa al gruppo, avendo incrementato la propria capitalizzazione di oltre il 30% nel corso dell’ultimo anno. Di fronte a queste rassicuranti notizie si è via via smorzato nei media l’allarme per un imminente crollo dell’euro. Rimane alta la preoccupazione per il debito pubblico, ma come dato strutturale di lungo periodo, destinato comunque a condizionare le politiche economiche dei prossimi anni.

 

Stridente è la contraddizione con l’andamento dell’economia reale, che invece ha visto peggiorare tutti gli indicatori, primi fra tutti quelli relativi al tasso di disoccupazione e al tasso di crescita della produzione. In Italia gli ultimi dati sul calo delle esportazioni, dopo mesi d’incremento della domanda estera che aveva generato incauti ottimismi, appaiono particolarmente preoccupanti. Segnali drammatici di una precipitazione della crisi sociale si colgono quotidianamente nelle notizie di cronaca. In tale situazione, non solo attenti osservatori, ma ormai anche autorevoli responsabili delle politiche economiche europee, come ad esempio il ministro dell’Economia italiano ed ex direttore generale della Banca d’Italia, Saccomanni, hanno parlato esplicitamente negli ultimi giorni del rischio di una nuova bolla finanziaria. In questo scenario, pensare che la questione del crollo dell’euro sia ormai alle nostre spalle è quantomeno imprudente e questa convinzione deriva da un’errata comprensione delle cause strutturali che stanno dietro alla crisi monetaria europea.

 

La divaricazione tra gli andamenti finanziari e gli andamenti reali dell’economia europea (e italiana in particolare) sono il frutto delle politiche monetarie fortemente espansive condotte, attraverso strumenti non convenzionali, dalle principali banche centrali. BCE, Fed, Bank of Japan e Bank of England hanno inondato nell’ultimo anno i mercati finanziari con un’enorme massa di liquidità, che in assenza di prospettive di profitto nel settore industriale, si è riversata nell’acquisto da parte degli operatori bancari e istituzionali di titoli obbligazionari e azionari. Di nuovo, e in forma ancor più gigantesca rispetto alle politiche monetarie accomodanti dell’era Greenspan, è con la costruzione di una piramide di debiti che si stanno sostenendo i mercati finanziari e le grandi banche globali.

 

Questa enorme massa liquida fluttuante può in qualsiasi momento prendere direzioni opposte a quelle finora intraprese e scatenare di nuovo, e con una violenza ancor più devastante, un attacco speculativo contro l’euro. Le probabilità che ciò accada, in assenza di cambiamenti strutturali nella politica economica europea, non sono trascurabili, perché ne esistono le condizioni oggettive. Quando ciò accadrà dipende invece dalle decisioni soggettive di un numero ristretto di operatori finanziari globali. Certamente, l’approssimarsi delle elezioni tedesche, previste per il prossimo 22 settembre, rappresenta un momento particolarmente critico perché può essere forte il desiderio di condizionarne i risultati attraverso manovre finanziarie, in un senso o nell’altro a seconda delle rispettive convenienze strategiche dei capitali finanziari in concorrenza.

 

Un eventuale nuovo attacco speculativo contro l’euro sarebbe stavolta ben più difficile da respingere perché la BCE ha già utilizzato gran parte del proprio arsenale a disposizione. Soltanto una radicale modifica dei compiti istituzionali della BCE che, in completa rottura con il suo atto costitutivo e la sua storia, consentisse il finanziamento monetario diretto dei deficit e dei debiti pubblici dei Paesi membri potrebbe forse essere efficace, se accompagnato da concrete e immediate misure d’integrazione fiscale europea. Questo passaggio tuttavia potrebbe essere compiuto soltanto in seguito ad un accordo politico dei Governi e dei Parlamenti europei di ridisegno complessivo dell’architettura istituzionale e dei compiti dell’Unione Monetaria Europea nel senso della costituzione di uno Stato federale. Una tale prospettiva appare però assolutamente irrealistica, dato il prevalere e addirittura l’approfondirsi degli egoismi nazionali non solo nelle classi dirigenti ma nei popoli europei.

 

Le cause profonde della crisi dell’euro sono insite nella sua stessa costruzione iniziale. L’idea di dotare 11 Paesi, poi divenuti addirittura 17, di una moneta unica in presenza di enormi divergenze nella struttura delle loro economie reali, senza contemplare meccanismi automatici di integrazione e redistribuzione fiscale, come avviene per qualunque altra moneta, è risultata folle. D’altra parte non era questo il progetto iniziale dichiarato per una parte delle classi dirigenti europee, come quella italiana. L’euro doveva rappresentare soltanto il primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa. L’oltranzismo europeista, illusorio e velleitario, è stato la principale fonte di legittimazione delle corrotte e decadenti classi dirigenti italiane nella ricerca di un consenso politico e sociale dopo il crollo della Prima Repubblica e la fine della divisione del mondo in blocchi. Infatti, accanto a corposi interessi materiali di una parte della borghesia italiana, la retorica dell’euro ha funto da collante politico-culturale per tenere insieme un Paese sempre più alla deriva, in preda alla frammentazione territoriale, sociale e politica e alla devastazione culturale e morale delle sue classi dirigenti.

 

I passi successivi alla nascita dell’euro non si sono però realizzati perché è apparso evidente che la Germania, e il blocco di stati satelliti che ruotano intorno ad essa, non perseguivano lo stesso obiettivo. Con l’euro la Germania ha ottenuto due risultati storici: il via libera politico e diplomatico alla propria unificazione e l’eliminazione di due strumenti fondamentali, tra loro interconnessi, di politica economica per i Paesi mediterranei (Italia e Francia in particolare), come la politica monetaria e la manovra sul tasso di cambio. Nelle discussioni intorno all’euro, capita spesso di assistere al levarsi di alti strali da parte dei coriacei difensori della moneta unica contro lo spettro della svalutazione, ricorrente negli ultimi venti anni di vita della lira. Si dimentica però che il tasso di cambio non è altro che un prezzo, più o meno amministrato dalle autorità di politica economica, pienamente rispondente al normale funzionamento di un’economia di mercato. Le sue fluttuazioni, spontanee o prodotte, servono per riallineare andamenti divergenti di fondamentali variabili economiche tra diversi Paesi. La fissazione irrevocabile di un tasso di cambio richiede necessariamente meccanismi alternativi che svolgano la stessa funzione. L’alternativa liberista al tasso di cambio, utopica e mai realmente esistita in nessuna epoca e in nessun posto, è la completa e istantanea flessibilità dei prezzi di tutti i beni e servizi, a cominciare dai salari. L’altra alternativa è quella seguita da tutte le monete esistenti ed esistite in passato, cioè la piena integrazione fiscale all’interno di uno Stato unitario, in cui operano meccanismi di redistribuzione sociale e territoriale delle risorse.

 

Con l’euro si è scelta, contro ogni logica, una “terza via”, quella di “una moneta senza Stato”. Ciò che ne è risultato è stato l’affermarsi dell’egemonia politica ed economica dello Stato più forte, la Germania, sul resto d’Europa spazzando via in un colpo solo e senza spargimenti di sangue, il precario equilibrio che dalla pace di Westfalia (1648) in poi aveva costituito il sacro principio delle diplomazie europee. Dapprima esercitata in forme morbide, con lo scoppio della crisi finanziaria l’egemonia tedesca è andata assumendo forme sempre più brutali, sino a sfociare in manifestazioni esplicite di neocolonialismo come nel caso greco, non dissimili da quelle esercitate dall’imperialismo USA nel Paesi dell’America Latina.

 

Di fronte a questa situazione, sempre più instabile, il problema dell’euro non può più essere eluso da parte delle forze della sinistra europea e italiana. Da questo punto di vista, non appare di buon auspicio la sconfitta all’interno della Linke tedesca di Oskar Lafontaine, che recentemente aveva sostenuto il superamento dell’euro e la necessità di un nuovo sistema monetario europeo. Non è più adeguato all’evolversi della situazione reale affermare la necessità di una svolta nelle politiche europee, abbandonando la logica dell’austerità e del rigore finanziario e le sovrastrutture istituzionali che all’interno dell’Unione Europea la sorreggono, senza affrontare la questione euro. Questa della svolta di politica economica è stata una partita aperta fino allo scoppio della crisi finanziaria globale del 2008. La partita si è chiusa con una sconfitta, perché le forze della sinistra europea, nelle diverse collocazioni di volta in volta assunte, non sono riuscite ad imporre l’abbandono delle politiche neoliberiste in Europa né ad impedirne il rincrudimento. Oggi il paradosso di questa posizione è che essa può realizzarsi soltanto se prima salta l’euro, perché l’euro reale, non quello immaginato, è un impedimento strutturale per politiche economiche alternative. Di ciò, sia pure in forma rozza, sta crescendo una consapevolezza di massa in Grecia, come in Italia e in tutti i Paesi più duramente colpiti dalla crisi. La vecchia, consolidata posizione, un tempo espressa nello slogan “Si all’euro, No a Maastricht”, che anch’io personalmente, come responsabile economico nazionale di Rifondazione Comunista per tanti anni ho contribuito a diffondere e ad articolare, non risulta più comprensibile, appare essa sì una scorciatoia velleitaria per sfuggire ai problemi e alle responsabilità reali e concrete. Per usare categorie gramsciane, quella linea era adatta a una fase di “guerra di posizione” e non ad una fase di “guerra di movimento”, come quella in cui la crisi sistemica del capitalismo ci ha condotti.

 

Una valuta non è mai semplicemente uno strumento neutro che può essere indifferentemente utilizzato per servire da sfondo a diversi modelli sociali. Nel sistema capitalistico la moneta è la sintesi finale, la più astratta e quindi la più complessa, di un ordine sociale storicamente determinato, frutto di sedimentazioni successive che costituiscono la concreta configurazione di classe realmente esistente. È ovvio che il crollo dell’euro (perché questo avverrebbe se un Paese delle dimensioni dell’Italia decidesse di uscirne) non equivale alla “vittoria finale”, né essa produrrà sicuramente immediati effetti positivi per le classi popolari. È ovvio che molto dipenderà da come avverrà e da quali saranno le forze trainanti di questo processo. Ciò che è certo è che la fine dell’euro ridislocherebbe le forze su scala europea e mondiale e aprirebbe nuovi scenari in cui svolgere il conflitto politico e sociale, che oggi in Europa appare chiuso a ogni ipotesi progressiva.

Il crollo dell’euro è oggi nell’ordine delle cose possibili, perché ne sono date le condizioni oggettive. La sinistra europea, e paradossalmente la sua componente oggi più disastrata, quella italiana, si trova di fronte ad un passaggio strategico cruciale. Essa, indipendentemente dalle sue volontà, deve decidere come collocarsi in questo scenario potenziale se vuole continuare ad esistere come forza attiva e non solo come scoria di un passato glorioso. Il nodo dell’euro è posto dalla storia, non dalle nostre elucubrazioni. Non rimane più molto tempo per scioglierlo.