Cosa c'entra LA CITTA' DEL SOLE con A testa Alta? Bisognerebbe chiederlo all'operatore. Come mischiare il Ca..... con il Padrenostro. Invece di parlarsi al Castello potevano darsi un bell'appuntamento alla Rivera. Una volta per comunicare alla popolazione in tempo di pace di guerra e di elezioni era ad uso il seguente procedimento: Questa sera alle ore 20,30 l'esponete del Partito della Restaurazione Nazionale parleraaa alla Rivera interveniti tutti. Il Duca alle ore 17,30 sarà a Nasu Stortu con il suo cane di rappresentanza.
2000 persone in piazza con il centrosinistra
Sono state circa 2000 le persone che questo pomeriggio hanno raccolto l’invito del centrosinistra a scendere in piazza per ribadire l’onestà della coalizione e il diritto alla ricostruzione. La manifestazione ha registrato l’adesione di diversi pezzi del mondo politico, sindacale e produttivo della città. L’attuale vice sindaco Betty Leone ha coordinato la scaletta degli interventi. Unanime la richiesta al Sindaco Cialente di ritirare le dimissioni per scongiurare il commissariamento e nuove elezioni in questa fase difficilissima della storia della città.
Riflessioni del Duca Gagliardo della Forcoletta
"Oggi è il 10 gennaio 1610. L'Umanità scrive nel suo Diario: abolito il cielo". "Galileo: quelli che vedono il pane solo quand'è sulla tavola, non vogliono sapere come è stato cotto. Quelle canaglie preferiscono ringraziar Dio piuttosto che il fornaio! Ma quelli che, il pane, lo fanno, quelli sapranno capire che non si muove niente che non venga messo in movimento. Ludovico: Rimarrete in eterno schiavo delle vostre passioni" Bertold Brecht VITA DI GALILEO Mentre le piazze si riempiono un'altra fabbrica si avvia alla chiusura? La OPTOPLAST fabbrica metalmeccanica ci si chiede è in crisi? Perchè del LAVORO E DEI LAVORATORI NESSUNO NE' PARLA: FORSE NON E' MODERNO!
IL DUCA GAGLIARDO DELLA FORCOLETTA
Oggi alle 17,30 manifestazione a testa alta per la ricostruzione
Oggi alle 17.30 si svolgerà al parco del castello di fronte l’auditorium la manifestazione convocata dalle forze del centrosinistra cittadino per rivendicare l’onorabilità dell’amministrazione comunale e rilanciare l’azione della stessa. L’appello alla partecipazione ricorda che bisogna reagire alla forte aggressione nazionale messa in atto da poteri forti e dare una risposta per la Ricostruzione che ha bisogno delle risorse finora concesse con il contagocce dal governo Letta/Alfano. Saranno installati 2 cappannoni dove si svolgerà il dibattito. Prevista una grande partecipazione da parte dei cittadini.
Riflessioni del Duca Gagliardo della Forcoletta di Tempera
Corre sui giornali e sul web la proposta sul sindaco Quarantenne. I gggiovani al potere. Giustamente, dopo Renzi, un giovane anche a L'Aquila. Due semtimenti contrapposti fanno da rododentro alla mia coscienza. Non nessuna possibilità di diventare sindaco. Nerone uccideva tutti i cinquantenni. Mia figlia potrebbe ambire alla massima carica cittadina. Giovane, laureata, senza partito. Il massimo. Peccato che nella sua famiglia non ci sono medici, avvocati, professionisti ecc. Speravo tanto che la generazione del futuro spazzasse via la nuova e matura democrazia di censo. No, no, queste so' considerazioni ideologiche! Aborro, aborro l'ideologia. Il Duca Gagliardo della Forcoletta
Torino dice si alla legalizzazione della Cannabis
Il Comune Torino vota sulla legalizzazione della cannabis
Il voto è destinato a far discutere. Ieri il consiglio comunale di Torino , ha approvato un ordine del giorno di Sel che chiede alla giunta comunale di “attivarsi presso il governo per superare l’impianto proibizionistico e dare il via alla legalizzazione della produzione e della distribuzione della cannabis anche per scopo ricreativo”. L’ordine del giorno è passato per due voti (15 contro 13 contrari); astenuti il Movimento 5 Stelle, Pd diviso. Il Sindaco Fassino si è astenuto.
Il consigliere Grimaldi (sel) primo firmatario dell’ordine del giorno spiega: ““La legalizzazione porterebbe da 5 a 10 miliardi di euro nelle casse dello Stato, come ha stabilito uno studio della Sapienza, e quindi la crisi potrebbe aver fatto maturare i tempi. Per non parlare dei costi indotti: sono dagli 8 ai 10mila le persone in carcere in Italia per consumo o possesso di marijuana, un costo umano ed economico non più sostenibile. Si deve depenalizzare, togliere un regalo ai narcotrafficanti – prosegue. Noi vorremmo un decreto legge che renda l’accesso libero per fini terapeutici ma anche ludici, con la possibilità di auto-produrre e poi un sistema di monopolio di stato con accisa oppure in convenzione con le cooperative agricole”.
In abruzzo un analogo provvedimento è stato proposto dal gruppo regionale del Prc
intervista di Liberazione a Ferrero:«E adesso rilanciare Rifondazione»
Il Cpn di questa fine settimana ti ha riconfermato nel ruolo di segretario, quali saranno i punti principali dell’azione politica della fase che si apre?
I punti fondamentali sono due. In primo luogo il pieno dispiegamento del Piano per il Lavoro, cioè della proposta concreta che facciamo per uscire qui ed ora dalle politiche di austerità e che potrebbe dar vita a milioni di posti di lavoro. L’idea di fondo è molto semplice: solo la redistribuzione del reddito, del lavoro e un intervento pubblico nei settori di pubblica utilità può ridurre drasticamente la disoccupazione. E’ una ricetta opposta a quella avanzata da Renzi che vuole invece proseguire nelle politiche di austerità e cioè nell’aggravamento della crisi che oramai è diventata deflazione. Il Piano del Lavoro non è solo un progetto ma è una proposta di lotta su cui costruire relazioni sociali e conflitto, territorio per territorio, settore per settore. Costruire un movimento per il lavoro a partire da un intervento pubblico è il nostro obiettivo, per ricominciare a parlare al paese a partire dai problemi del paese.
E il secondo?
Il secondo è la proposta di realizzare una lista unitaria di sinistra per le elezioni europee. Una lista che abbia Alexis Tsipras candidato a Presidente, che si riconosca nel Partito della Sinistra europea e nel GUE, che aggreghi tutte le forze che in Italia vogliono rovesciare le politiche neoliberiste. La situazione è fluida e per questo positiva: abbiamo l’appello di Camilleri e Spinelli, abbiamo varie realtà che si sono pronunciate per Tsipras, anche in SEL vi è un dibattito attorno a questo nodo. La nostra proposta è di costruire una lista unitaria che sia un vero e proprio spazio pubblico della sinistra antiliberista, da costruirsi in modo democratico, partecipato e paritario. Non proponiamo di fare la lista di Rifondazione Comunista allargata – perché sappiamo che non riuscirebbe ad unire tutte le forze e persone che effettivamente sono d’accordo sui nostri stessi contenuti sull’Europa – ma non accettiamo esclusioni o discriminazioni: in un quadro di chiarezza di contenuti, di rinnovamento dei volti e di radicale democratizzazione dei percorsi di costruzione della lista, noi lavoriamo affinché questa sia la lista di tutti coloro che vogliono rovesciare le politiche europee da sinistra. Proprio oggi pomeriggio abbiamo un incontro con i compagni di Syriza qui a Roma e da qui vogliamo partire per un percorso unitario che deve coinvolgere il partito a tutti i livelli e che, lo ribadisco, vedrà un referendum al nostro interno per verificare se la scelta che stiamo perseguendo è condivisa dai compagni e dalle compagne.
Il progetto politico è chiaro ma il CPN restituisce l’immagine di un partito ancora diviso. Come mai in questo mese non si è riusciti a ricomporre la frattura?
Chiudendo il Congresso che ha visto una larga maggioranza sul documento 1, invece di proporre semplicemente la votazione sulla mia riconferma, abbiamo proposto di fare una consultazione tra tutti i membri del CPN e la gestione unitaria del partito. Ritengo infatti che la linea politica sia quella decisa dai compagni e dalle compagne nei congressi, ma che tutto il gruppo dirigente e tutto il partito deve contribuire alla gestione del partito su quella linea politica. Era una occasione per superare in avanti le divisioni congressuali, costruendo un quadro di rinnovamento che non lasciasse sul campo vinti e vincitori. Purtroppo i dirigenti cosiddetti “emendatari” hanno scelto, come i dirigenti della mozione 2, di non partecipare alle consultazioni e hanno fatto una presa di posizione collettiva che ribadiva i termini del dibattito congressuale. Considero questo un grave errore perché non si è colta l’occasione di fare un passo in avanti tutti insieme, prendendo atto che il Congresso era stato fatto ma che era anche finito e che non poteva continuare all’infinito. In questa condizione, la consultazione ha dato un responso chiarissimo, con una larga maggioranza di compagne e compagni che hanno indicato il mio nome come segretario e parallelamente posto una grande domanda di rinnovamento. Questo abbiamo fatto nel Cpn, dove la proposta di segreteria che ho avanzato e che è stata approvata, vede un significativo rinnovamento, ben 6 su 10 dei suoi membri non ne facevano parte. Per la prima volta da quando sono segretario la segreteria ha una età media più bassa della mia….
Essere un segretario “di minoranza” cosa comporta?
Una cosa semplice e complicata nello stesso momento: assumere le decisioni congressuali che, ripeto, sono state approvate a larga maggioranza, come la strada maestra su cui muoversi e sulla base di quel progetto politico rimettere in moto il partito, lavorando per costruire ad ogni livello la gestione unitaria. Non considero questa situazione una situazione definitiva: la considero una necessaria fase di passaggio per rimettere in moto il partito sulla base del l’indirizzo politico deciso nel Congresso. Non potevamo allungare il brodo ulteriormente, far passare altri mesi. Non intendo infilarmi in trattative sui posti, mediazioni infinite e patti di gestione. Questo l’ho fatto consapevolmente negli anni scorsi per cercare il massimo di unità del gruppo dirigente. Purtroppo questa unità è deflagrata vergognosamente il minuto dopo il fallimento di Rivoluzione Civile a febbraio, nonostante tutte le decisioni fossero state prese in modo collegiale e unitario. L’unica strada per rilanciare Rifondazione non può essere la danza immobile della trattativa tra le correnti ma il tentativo di ridare fiato e senso alla nostra impresa politica. Io penso che le differenze politiche che abbiamo tra di noi, perlomeno quelle dichiarate, siano inferiori a quel che appare e che quindi sia possibile rilanciare il partito e su questo rilancio costruire le condizioni per arrivare ad una effettiva gestione unitaria del partito.
Vi è chi dice che tu avresti fatto uno scambio con la Mozione 3 per ottenere il voto di astensione sulla segreteria, snaturando così l’esito del Congresso.
Ho letto questo rilievo e mi pare che chi lo avanza continua a non voler capire cosa è successo. Le differenze politiche con la mozione 3 sono palesi e non si sono ridotte. Ad esempio gli unici due atti politici fatti dal Congresso ad oggi e cioè la scelta di fare l’accordo con il centro sinistra in Sardegna e l’approvazione dell’Ordine del giorno sul congresso della Cgil nel Cpn, hanno visto il pieno dissenso dei dirigenti della mozione 3 e il consenso dei dirigenti di Essere Comunisti. Io stesso ho ribadito in modo molte netto di essere vincolato alla realizzazione di quanto deciso nel Congresso e cioè all’attuazione di quanto previsto dal documento 1 approvato, ripeto, a larga maggioranza. A me pare che i dirigenti del Documento 3 abbiano semplicemente preso atto che il Congresso era finito e che era opportuno che il partito si rimettesse in movimento evitando di avvitarsi in una spirale autodistruttiva riguardante l’elezione dei gruppi dirigenti. Questo senza alcuna modifica di giudizio, negativo, che questi compagni e compagne danno sulla linea politica del partito, tant’è che i dirigenti della mozione 3 hanno presentato una candidatura alternativa alla mia a segretario nella persona della compagna Ussi. In questa vicenda non si è misurato chi era più vicino o più distante politicamente ma chi ha deciso di garantire immediatamente un rilancio dell’iniziativa politica del partito e chi invece ha proseguito una battaglia politica come se il congresso non fosse terminato. Per quanto mi riguarda io continuerò a perseguire la gestione unitaria del partito a tutti i livelli e penso che chi vuole esercitare il suo ruolo di direzione, nel pieno rispetto delle differenze, deve farlo. Abbiamo bisogno di tutte le forze e di tutte le intelligenze e nel concreto del lavoro politico confido di poter superare questa situazione.
Però la mozione 1 si è divisa.
Si è divisa esattamente come era stata divisa nel Congresso e infatti avevo proposto la consultazione come terreno per costruire una ricomposizione che non è avvenuta. Il motivo mi pare il seguente: a nessuno sfugge che dentro la Mozione 1, il tema del rinnovamento veniva declinato in modo molto diverso, tant’è che vi erano due emendamenti al testo del documento che parlavano di rinnovamento. Da un lato chi voleva cambiare il segretario, definito settario, e modificare per questa via anche la linea politica. Dall’altra chi voleva il rinnovamento per rendere più efficace l’attuazione della linea politica di cui il segretario era stato interprete ed esecutore. Nel Congresso ha prevalso questa seconda ipotesi: l’emendamento Mainardi è stato approvato e quello Albertini bocciato. Questo è cosa hanno deciso le migliaia di iscritti e iscritte che hanno partecipato al Congresso: occorreva prenderne atto, perché a un certo punto finisce il Congresso e si tratta di gestire il partito. Questo purtroppo non è avvenuto, a mio parere perché l’aver fatto della rottamazione del segretario il punto fondamentale della battaglia congressuale, ha reso tutto più difficile, dalla discussione sul rinnovamento a quello sui gruppi dirigenti. Così, dopo la consultazione andata in quel modo e vista l’indisponibilità di Essere Comunisti di far parte della segreteria, la proposta avanzata nel Cpn è stata conseguente, sia sul segretario che sulla segreteria.
Preoccupato?
Solo un imbecille non lo sarebbe. Ma sono anche fiducioso sulla possibilità di poter rilanciare l’azione politica del partito in modo largamente unitario. Sulle elezioni europee vedo un terreno significativo di convergenza e azione unitaria: la possibilità di fare una lista legata alla sinistra europea, chiaramente alternativa a socialisti e popolari è un obiettivo largamente condiviso nel partito. In più è evidente che il progetto politico di SEL di fiancheggiamento del centro sinistra è sempre più in crisi per cui sulle europee vi è addirittura la possibilità di mettere in discussione l’attuale configurazione della sinistra italiana. Mi pare che su questo ci sia un grande terreno di lavoro politico unitario, di ricomposizione politica. Così come il rilancio del lavoro sociale del partito attorno al Piano del Lavoro può rispondere positivamente alla critica di politicismo che nel Congresso è emersa con forza. Possiamo ridislocare il Partito nel lavoro sociale con una proposta forte e su questo riguadagnare un ruolo che oggi svolgiamo solo molto parzialmente.
Ci saranno cambiamenti organizzativi?
Si tratta di fare un radicale bagno di democrazia nel modo di funzionare del partito. Questa è la critica maggiore che è emersa nel Congresso da parte dei compagni e delle compagne. Su questo intendo cambiare registro radicalmente: dal pieno coinvolgimento del partito nelle decisioni a partire dal referendum sulle europee all’accorciare la distanza tra centro e periferia, qui abbiamo da cambiare molto: la logica pattizia di gestione del partito si può superare solo con un forte coinvolgimento democratico di tutto il corpo militante del partito all’interno di una gestione unitaria dello stesso. E’ quello che vogliamo fare.
Dimissioni di Cialente e ultima chiamata
di Alfonso De Amicis L'Aquila è in perfetta sintonia con il 21 gennaio. Santa Agense. Molti si vedono capovolti come in una camera oscura. Le dimissioni di Cialente ha molto in comune con le dimissioni di molti sindaci. In mancanza di opposizione-la politica è morta da tempo, fine della politica apoteosi del denaro, formano una congiunzione astrale trentennale- le rotture amministrative vengono prese altrove. E' un discorso che dura dal 1992, in realtà la seconda repubblica non è mai nata. Una nuova classe dirigente non la si improvvisa a tavolino. Trovo delirante pensare e credere che la storia inizi il 6 aprile. Questa data non ha costituito una epifania politica un risorgimento. Affatto. Ha messo in evidenza la fragilità civile di una intera comunità, una vergognosa sottomissione alle logiche che dall'alto venivano, con sapiente mano, propinate. Draquila è stata forse la migliore analisi descrittiva, politica e letteraria dello stato dell'arte di questa città e dell'Italia. Sbaglia chi pensa di andare avanti senza fare i conti con questa storia. Si possono vincere elezioni di medio termine avere qualche successo elettorale ma tutto si definirà in una logica dell'alternaza. Sel'alternativa si pensa di costruirla nel perimetro dei Quattro Cantoni, in questo caso, sarà una linea d'ombra. Vedo che le nostre idee i nostri comportamenti sono inadeguati alla dinamica delle cose, rispetto all'attualità delle prospettive. Nel 2015 entrerà in vigore il fiscal compact, votato da tutti i partiti, che imporrà manovre di 40 miliardi l'anno. Si aumenteranno le tasse? improbabile! Si continuerà a tagliare mettendo gli uni contro gli altri. Dove si prenderanno i soldi per la ricostruzione? Ci metteremo contro i disabili, gli insegnanti e studenti? Forse l'idea di cominciare a discutere profondamente i patti di stabilità va affrontata immediatamente. Cosi come i proponimenti di Mosler, Brancaccio, e altri economisti che da tempo ci mettono in guardia, vanno subito presi in considerazioni. Essi devono essere una prima base di conflitto democratico verso il governo centrale e europeo. Altrimenti quando L'Aquila e i paesi del cratere saranno ricostruiti noi saremo tutti morti. Di fronte ad una evidenza così immanente trovo strabiliante la cecità di questa città
La banalità del revisionismo. A proposito di “Anni spezzati”
di Luciano Muhlbauer
Quello che colpisce nella fiction “Gli anni spezzati” non è tanto l’ennesimo tentativo di ri-scrivere la storia recente del nostro paese e nemmeno il fatto che l’artefice dell’operazione sia la Tv di Stato, con il patrocinio dell’Associazione nazionale della Polizia di Stato. No, quello che colpisce e offende è che lo si faccia con tanta spudorata banalità, grossolanità e approssimazione e senza che ci sia almeno un accenno di scandalo pubblico.
Segno dei tempi anche questo, perché fino a non troppi anni fa almeno ci si sforzava un po’, si producevano ri-letture un po’ più sofisticate e confezionate meglio. Specie quando si toccava il tasto del periodo della strage di Piazza Fontana. E non perché la memoria storica fosse molto di più solida di oggi, come aveva evidenziato già nel 2006 un’inchiesta della Provincia di Milano tra gli studenti medi (vedi “Piazza Fontana, sono state le Br. O la mafia”, Corriere della Sera 13.12.2006), ma molto più semplicemente perché bisognava attrezzarsi in vista delle prevedibili reazioni pubbliche.
Oggi, invece, la prospettiva della polemica pubblica non sembra più preoccupare nessuno e i fatti, ahinoi, paiono dare ragione alla Rai, perché a due giorni dalla messa in onda del primo capitolo della trilogia, Il Commissario, la polemica, le reazioni, la critica e la stessa discussione sono fondamentalmente confinate in un pezzo di mondo assai caratterizzato. Come mi ha scritto ieri una mia amica su facebook: “Preoccupante è il fatto che ovviamente se ne parla solo tra noi”.
Beninteso, non che sui mezzi di informazione mainstream ci siano le standing ovation, ma ci si limita a far finta di niente oppure a parlarne criticamente soltanto a pagina 42, come fa oggi La Repubblica. Davvero un po’ poco per una fiction che è ha stravinto la gara degli ascolti televisivi (share del 18,66% per la prima parte e del 17.14% per la seconda).
E così, ci troviamo di fronte a un prodotto televisivo mediocre, dove la sciatteria nella cura dei dettagli, come quel manifesto contro Casa Pound in casa di un anarchico del ‘69 (vedi segnalazione di Militant), costituisce un semplice sottoprodotto di una più generale e grossolana noncuranza per la realtà di quegli anni, che porta a ignorare il clima politico, i movimenti di massa e l’autunno caldo e a ridurre la strage di Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi di Stato, a mero e inintelligibile sfondo per una telenovela il cui unico fine è l’esaltazione di una versione alquanto irreale del Commissario Calabresi. Come stupirsi dunque che alla fin della fiera la fiction proponga sulla strage del 12 dicembre, sulla stagione della strategia della tensione e sulla stessa morte in Questura di Pinelli un livello di verità persino molto inferiore a quella che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva definito “una verità storica conseguita”.
Un’operazione di falsificazione storica, senza dubbio, offensiva per la coscienza e la memoria storica, per non parlare dei familiari di Giuseppe Pinelli e degli anarchici, ma anche un’operazione che ha spopolato in prima serata e che dunque ha raccontato la sua verità su anni cruciali della nostra storia a milioni di persone. Ecco perché è sbagliato il troppo silenzio da parte di troppi, che invece la possibilità di parlare pubblicamente ce l’avrebbero. E la qualità infima della revisione storica non è un attenuante per i silenzi, anzi, semmai è un aggravante.
E poi, non è neanche finita qui, perché ci aspettano ancora due puntate. Settimana prossima toccherà a Il Giudice, dedicato alla figura del giudice Mario Sossi, sequestrato dalle Brigate Rosse nel ’74, e poi arriva L’ingegnere, che pretende raccontarci la lotta operaia alla Fiat attraverso gli occhi di un dirigente della multinazionale…
Penso sia chiaro l’intento revisionista della fiction ed è altrettanto chiaro che si possa perseguire questo intento in maniera talmente banale e grossolana perché il vento che tira lo permette, perché l’egemonia culturale è ormai di qualcun altro, perché siamo passati dal pensiero debole a quello liquido, perché la storia lo scrivono i vincitori ecc. ecc. ecc. Eppure, tutto ciò non è una giustificazione per non dire e non fare, anzi, perché come sempre, quando si riscrive il passato, l’obiettivo è il presente e il futuro.
Sono 9.500 i detenuti per solo possesso e spaccio di cannabinoidi
www.agenzia.redattoresociale.it –
Secondo la relazione di Sabrina Molinaro (Ifc-Cnr) alla Camera, circa il 14% dei soggetti in carcere uscirebbe se fossero approvate le proposte di legge in discussione in Parlamento. Nel 2012 sono state 12.500 le persone condannate
ROMA – Sono circa 9.500 le persone in carcere esclusivamente per il possesso e spaccio di cannabinoidi. In pratica, se l’uso della cannabis venisse depenalizzato, il 14% dei detenuti potrebbe lasciare il carcere. La notizia, rilevante, è estrapolata dalla relazione di Sabrina Molinaro, responsabile della Sezione di Epidemiologia e Ricerca sui Servizi sanitari Ifc-Cnr, effettuata nel corso della sua audizione presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati. Un’audizione in occasione della discussione sulle proposte di legge C.1203 (modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, n. 309/90, in materia di coltivazione e cessione della cannabis indica e dei suoi derivati) e C.971 (modifiche al testo unico, in materia di depenalizzazione della coltivazione domestica di piante dalle quali possono essere estratte sostanze stupefacenti o psicotrope), rispettivamente a firma Daniele Farina (Sel) e Sandro Gozi (Pd). Il tutto mentre si accende il dibattito, politico e scientifico, proprio sulla sulla “legalizzazione” della cannabis e dei suoi derivati. Con prese di posizione a favore e contro tale eventualità che si stanno moltiplicando.
Detenuti. In generale, dal 2002 al 2006 il numero di detenuti nelle strutture penitenziarie è aumentato, decrescendo nel 2007, per effetto dell’indulto, e riprendere a crescere successivamente.
Andamento sostanzialmente simile si riscontra anche per i detenuti per reati previsti ex DPR 309/90 (testo unico sulla droga) anche se, dal 2008 in poi, la loro proporzione è leggermente aumentata.
Nel 2011 i detenuti per reati previsti dalla legge sulle droghe erano 27.947, il 41,5% del totale (67.394) dei detenuti. (daiac)