Il nodo dell’euro non può più essere eluso

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di Andrea Ricci * docente di Economia internazionale all’Università di Urbino

 

Nell’ultimo semestre i mercati finanziari europei hanno vissuto una situazione di tranquilla bonaccia. Gli spreads tra i titoli di Stato dei PIIGS e quelli della Germania, pur se storicamente elevati, si sono assestati su valori ben inferiori a quelli registrati nel biennio 2011-12. Per l’Italia il differenziale tra BTP e Bund decennali ha oscillato intorno a quota 270, circa la metà del livello toccato nei momenti più acuti della crisi. Gli indici azionari sono ovunque aumentati nel continente, con la Borsa italiana in testa al gruppo, avendo incrementato la propria capitalizzazione di oltre il 30% nel corso dell’ultimo anno. Di fronte a queste rassicuranti notizie si è via via smorzato nei media l’allarme per un imminente crollo dell’euro. Rimane alta la preoccupazione per il debito pubblico, ma come dato strutturale di lungo periodo, destinato comunque a condizionare le politiche economiche dei prossimi anni.

 

Stridente è la contraddizione con l’andamento dell’economia reale, che invece ha visto peggiorare tutti gli indicatori, primi fra tutti quelli relativi al tasso di disoccupazione e al tasso di crescita della produzione. In Italia gli ultimi dati sul calo delle esportazioni, dopo mesi d’incremento della domanda estera che aveva generato incauti ottimismi, appaiono particolarmente preoccupanti. Segnali drammatici di una precipitazione della crisi sociale si colgono quotidianamente nelle notizie di cronaca. In tale situazione, non solo attenti osservatori, ma ormai anche autorevoli responsabili delle politiche economiche europee, come ad esempio il ministro dell’Economia italiano ed ex direttore generale della Banca d’Italia, Saccomanni, hanno parlato esplicitamente negli ultimi giorni del rischio di una nuova bolla finanziaria. In questo scenario, pensare che la questione del crollo dell’euro sia ormai alle nostre spalle è quantomeno imprudente e questa convinzione deriva da un’errata comprensione delle cause strutturali che stanno dietro alla crisi monetaria europea.

 

La divaricazione tra gli andamenti finanziari e gli andamenti reali dell’economia europea (e italiana in particolare) sono il frutto delle politiche monetarie fortemente espansive condotte, attraverso strumenti non convenzionali, dalle principali banche centrali. BCE, Fed, Bank of Japan e Bank of England hanno inondato nell’ultimo anno i mercati finanziari con un’enorme massa di liquidità, che in assenza di prospettive di profitto nel settore industriale, si è riversata nell’acquisto da parte degli operatori bancari e istituzionali di titoli obbligazionari e azionari. Di nuovo, e in forma ancor più gigantesca rispetto alle politiche monetarie accomodanti dell’era Greenspan, è con la costruzione di una piramide di debiti che si stanno sostenendo i mercati finanziari e le grandi banche globali.

 

Questa enorme massa liquida fluttuante può in qualsiasi momento prendere direzioni opposte a quelle finora intraprese e scatenare di nuovo, e con una violenza ancor più devastante, un attacco speculativo contro l’euro. Le probabilità che ciò accada, in assenza di cambiamenti strutturali nella politica economica europea, non sono trascurabili, perché ne esistono le condizioni oggettive. Quando ciò accadrà dipende invece dalle decisioni soggettive di un numero ristretto di operatori finanziari globali. Certamente, l’approssimarsi delle elezioni tedesche, previste per il prossimo 22 settembre, rappresenta un momento particolarmente critico perché può essere forte il desiderio di condizionarne i risultati attraverso manovre finanziarie, in un senso o nell’altro a seconda delle rispettive convenienze strategiche dei capitali finanziari in concorrenza.

 

Un eventuale nuovo attacco speculativo contro l’euro sarebbe stavolta ben più difficile da respingere perché la BCE ha già utilizzato gran parte del proprio arsenale a disposizione. Soltanto una radicale modifica dei compiti istituzionali della BCE che, in completa rottura con il suo atto costitutivo e la sua storia, consentisse il finanziamento monetario diretto dei deficit e dei debiti pubblici dei Paesi membri potrebbe forse essere efficace, se accompagnato da concrete e immediate misure d’integrazione fiscale europea. Questo passaggio tuttavia potrebbe essere compiuto soltanto in seguito ad un accordo politico dei Governi e dei Parlamenti europei di ridisegno complessivo dell’architettura istituzionale e dei compiti dell’Unione Monetaria Europea nel senso della costituzione di uno Stato federale. Una tale prospettiva appare però assolutamente irrealistica, dato il prevalere e addirittura l’approfondirsi degli egoismi nazionali non solo nelle classi dirigenti ma nei popoli europei.

 

Le cause profonde della crisi dell’euro sono insite nella sua stessa costruzione iniziale. L’idea di dotare 11 Paesi, poi divenuti addirittura 17, di una moneta unica in presenza di enormi divergenze nella struttura delle loro economie reali, senza contemplare meccanismi automatici di integrazione e redistribuzione fiscale, come avviene per qualunque altra moneta, è risultata folle. D’altra parte non era questo il progetto iniziale dichiarato per una parte delle classi dirigenti europee, come quella italiana. L’euro doveva rappresentare soltanto il primo passo verso gli Stati Uniti d’Europa. L’oltranzismo europeista, illusorio e velleitario, è stato la principale fonte di legittimazione delle corrotte e decadenti classi dirigenti italiane nella ricerca di un consenso politico e sociale dopo il crollo della Prima Repubblica e la fine della divisione del mondo in blocchi. Infatti, accanto a corposi interessi materiali di una parte della borghesia italiana, la retorica dell’euro ha funto da collante politico-culturale per tenere insieme un Paese sempre più alla deriva, in preda alla frammentazione territoriale, sociale e politica e alla devastazione culturale e morale delle sue classi dirigenti.

 

I passi successivi alla nascita dell’euro non si sono però realizzati perché è apparso evidente che la Germania, e il blocco di stati satelliti che ruotano intorno ad essa, non perseguivano lo stesso obiettivo. Con l’euro la Germania ha ottenuto due risultati storici: il via libera politico e diplomatico alla propria unificazione e l’eliminazione di due strumenti fondamentali, tra loro interconnessi, di politica economica per i Paesi mediterranei (Italia e Francia in particolare), come la politica monetaria e la manovra sul tasso di cambio. Nelle discussioni intorno all’euro, capita spesso di assistere al levarsi di alti strali da parte dei coriacei difensori della moneta unica contro lo spettro della svalutazione, ricorrente negli ultimi venti anni di vita della lira. Si dimentica però che il tasso di cambio non è altro che un prezzo, più o meno amministrato dalle autorità di politica economica, pienamente rispondente al normale funzionamento di un’economia di mercato. Le sue fluttuazioni, spontanee o prodotte, servono per riallineare andamenti divergenti di fondamentali variabili economiche tra diversi Paesi. La fissazione irrevocabile di un tasso di cambio richiede necessariamente meccanismi alternativi che svolgano la stessa funzione. L’alternativa liberista al tasso di cambio, utopica e mai realmente esistita in nessuna epoca e in nessun posto, è la completa e istantanea flessibilità dei prezzi di tutti i beni e servizi, a cominciare dai salari. L’altra alternativa è quella seguita da tutte le monete esistenti ed esistite in passato, cioè la piena integrazione fiscale all’interno di uno Stato unitario, in cui operano meccanismi di redistribuzione sociale e territoriale delle risorse.

 

Con l’euro si è scelta, contro ogni logica, una “terza via”, quella di “una moneta senza Stato”. Ciò che ne è risultato è stato l’affermarsi dell’egemonia politica ed economica dello Stato più forte, la Germania, sul resto d’Europa spazzando via in un colpo solo e senza spargimenti di sangue, il precario equilibrio che dalla pace di Westfalia (1648) in poi aveva costituito il sacro principio delle diplomazie europee. Dapprima esercitata in forme morbide, con lo scoppio della crisi finanziaria l’egemonia tedesca è andata assumendo forme sempre più brutali, sino a sfociare in manifestazioni esplicite di neocolonialismo come nel caso greco, non dissimili da quelle esercitate dall’imperialismo USA nel Paesi dell’America Latina.

 

Di fronte a questa situazione, sempre più instabile, il problema dell’euro non può più essere eluso da parte delle forze della sinistra europea e italiana. Da questo punto di vista, non appare di buon auspicio la sconfitta all’interno della Linke tedesca di Oskar Lafontaine, che recentemente aveva sostenuto il superamento dell’euro e la necessità di un nuovo sistema monetario europeo. Non è più adeguato all’evolversi della situazione reale affermare la necessità di una svolta nelle politiche europee, abbandonando la logica dell’austerità e del rigore finanziario e le sovrastrutture istituzionali che all’interno dell’Unione Europea la sorreggono, senza affrontare la questione euro. Questa della svolta di politica economica è stata una partita aperta fino allo scoppio della crisi finanziaria globale del 2008. La partita si è chiusa con una sconfitta, perché le forze della sinistra europea, nelle diverse collocazioni di volta in volta assunte, non sono riuscite ad imporre l’abbandono delle politiche neoliberiste in Europa né ad impedirne il rincrudimento. Oggi il paradosso di questa posizione è che essa può realizzarsi soltanto se prima salta l’euro, perché l’euro reale, non quello immaginato, è un impedimento strutturale per politiche economiche alternative. Di ciò, sia pure in forma rozza, sta crescendo una consapevolezza di massa in Grecia, come in Italia e in tutti i Paesi più duramente colpiti dalla crisi. La vecchia, consolidata posizione, un tempo espressa nello slogan “Si all’euro, No a Maastricht”, che anch’io personalmente, come responsabile economico nazionale di Rifondazione Comunista per tanti anni ho contribuito a diffondere e ad articolare, non risulta più comprensibile, appare essa sì una scorciatoia velleitaria per sfuggire ai problemi e alle responsabilità reali e concrete. Per usare categorie gramsciane, quella linea era adatta a una fase di “guerra di posizione” e non ad una fase di “guerra di movimento”, come quella in cui la crisi sistemica del capitalismo ci ha condotti.

 

Una valuta non è mai semplicemente uno strumento neutro che può essere indifferentemente utilizzato per servire da sfondo a diversi modelli sociali. Nel sistema capitalistico la moneta è la sintesi finale, la più astratta e quindi la più complessa, di un ordine sociale storicamente determinato, frutto di sedimentazioni successive che costituiscono la concreta configurazione di classe realmente esistente. È ovvio che il crollo dell’euro (perché questo avverrebbe se un Paese delle dimensioni dell’Italia decidesse di uscirne) non equivale alla “vittoria finale”, né essa produrrà sicuramente immediati effetti positivi per le classi popolari. È ovvio che molto dipenderà da come avverrà e da quali saranno le forze trainanti di questo processo. Ciò che è certo è che la fine dell’euro ridislocherebbe le forze su scala europea e mondiale e aprirebbe nuovi scenari in cui svolgere il conflitto politico e sociale, che oggi in Europa appare chiuso a ogni ipotesi progressiva.

Il crollo dell’euro è oggi nell’ordine delle cose possibili, perché ne sono date le condizioni oggettive. La sinistra europea, e paradossalmente la sua componente oggi più disastrata, quella italiana, si trova di fronte ad un passaggio strategico cruciale. Essa, indipendentemente dalle sue volontà, deve decidere come collocarsi in questo scenario potenziale se vuole continuare ad esistere come forza attiva e non solo come scoria di un passato glorioso. Il nodo dell’euro è posto dalla storia, non dalle nostre elucubrazioni. Non rimane più molto tempo per scioglierlo.

Prato-L’aquila Rossoblù chiamati al definitivo rilancio

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L’Aquila torna al Lungobisenzio di Prato due anni e mezzo dopo il finale folle che decretò l’eliminazione dei rossoblù dai play off promozione di lega pro 2 nella stagione 2010/2011. La squadra di Pagliari arriva all’appuntamento con diverse indisponiblilità. Alle partenze di Infantino e Ciotola bisogna sommare il mancato arrivo del transfert per Ignacio Pià , le squalifiche di Del PintoScrugli e l’infortunio di Gizzi.  L’attaccante classe 92 di scuola Juventus Libertazzi arriverà in città solo martedì. Piena emergenza quindi in una gara che può rappresentare il definitivo rilancio delle ambizioni rossoblù in questo campionato. La società comunica che per la trasferta NON sarà valido il programma “porta un amico allo stadio”. Previsti un centinaio di tifosi al seguito.

Probabile Formazione

L’Aquila Calcio 1927 (4-3-3): Testa, Gallozzi, Dallamano, Pomante, Zaffagnini, Agnello, Carcione, Corapi, De Sousa, Frediani, Ciciretti

“SIAMO DENTRO GAZA”. LA DELEGAZIONE ITALIANA E’ RIUSCITA AD ENTRARE

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Ci hanno creduto mentre ormai noi non ci speravamo più, hanno insistito e alla fine la solidarietà ha vinto! La delegazione italiana è arrivata a Gaza!Qui la notizia su Contropiano
 
Giovedì, 02 Gennaio 2014 15:50

Intorno alle 14.00 la delegazione di attivisti italiani è riuscita a varcare il “valico maledetto” di Rafah ed entrare nella Striscia di Gaza. Ad attenderli la popolazione palestinese e le autorità. Gli attivisti italiani celebreranno insieme ai palestinesi i cinque anni trascorsi dal massacro dell’operazione Piombo Fuso scatenata dagli israeliani. Seguiranno aggiornamenti.

La delegazione italiana intende visitare i campi profughi palestinesi dentro la Striscia di Gaza nel quadro della campagna per il Diritto al Ritorno dei profughi nelle loro case dalle quali sono stati cacciati nel 1948 e che ogni anno vede una delegazione recarsi nei campi profughi palestinesi in Libano (quasi 500mila) per ricordare il massacro di Sabra e Chatila nel 1982. Inoltre si recherà all’ospedale Al Awda con il quale da cinque anni è attiva una campagna di sostegno. Infine si incontrerà con tutte le componenti del movimento palestinese all’insegna dell’unità della resistenza contro l’occupazione israeliana.

 

 

 

 

Approvata all’unanimità la mozione Prc Apl per la dislocazione uffici comunali e a maggioranza la cittadinanza onoraria ai bambini stranieri nati in Italia

 

 

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Il Consiglio comunale dell’Aquila ha dato il via libera (astenuto Enrico Perilli, Federazione della sinistra) all’ordine del giorno con il quale è stato dato mandato al Sindaco di intervenire sull’Anas affinché realizzi la viabilità complanare a servizio dell’abitato di Bazzano. Il documento – primi firmatari Alì Salem (Pd), Giustino Masciocco (Sel) e Daniele Ferella (Tutti per L’Aquila) – osserva che numerosi cittadini della frazione in questione avevano fatto richiesta all’Anas per un intervento del genere, attraverso un innesto sulla rotatoria che si trova tra la superstrada e il paese. Di qui la richiesta di far proprie, da parte dell’Assemblea, le ragioni dei residenti e il conseguente mandato dal Sindaco affinché si faccia parte attiva con l’Anas, per la costruzione della viabilità complanare nell’ambito dei lavori in corso per migliorare la circolazione nella zona. Approvato anche l’ordine del giorno del consigliere Guido Quintino Liris (Pdl) sul mancato svolgimento a Roma del Presepe vivente di Pianola, organizzato dal Gruppo artistico “Come a Betlemme”. Nel documento – si sono astenuti Antonello Bernardi (Pd), Ettore Di Cesare (Appello per L’Aquila), Giuliano Di Nicola (Idv) e Vincenzo Vittorini (L’Aquila che vogliamo) – è stato fatto rilevare come, dopo 8 anni, il Comune di Roma ha deciso di interrompere la tradizione che voleva lo svolgimento del Presepe vivente di Pianola nella Capitale, il giorno dell’Epifania, dopo l’evento che viene proposto all’Aquila il giorno di Natale da oltre 40 anni. Nell’ordine del giorno, viene chiesto al Sindaco e alla Giunta di verificare i reali motivi di tale situazione e di promuovere ogni azione utile affinché venga ripristinata questa collaborazione con la Municipalità di Roma. L’Assemblea ha successivamente approvato all’unanimità la mozione dei Consiglieri Di Cesare (Appello per L’Aquila) e Perilli (Federazione della Sinistra), con la quale vengono impegnati il Sindaco e l’Amministrazione attiva affinché sia emanato un nuovo avviso pubblico per la ricerca di locali a beneficio degli uffici comunali attualmente dislocati a via Roma. Il documento prende spunto dal fatto che in Comune “non risulta essere presente un contratto di locazione tra l’Ente e la società Bahia”, proprietaria dell’immobile che si affaccia su via Roma e via Vicentini e dove si trovano alcuni servizi della Municipalità dal marzo 2012. “I parcheggi di pertinenza del servizio, inclusi nella proposta di locazione – prosegue la mozione – sono oggetto di cessione per obblighi convenzionali, come da varie attestazioni del Comune”. Viene inoltre sottolineato come “La polizia municipale è intervenuta per procedere all’acquisizione dell’area interna dei parcheggi di via Vicentini” e che “la società Bahia non ha ottemperato agli obblighi convenzionali e non è di conseguenza in possesso dei certificati di abilità e agibilità”. Di qui la richiesta del nuovo bando per la ricerca di un immobile dove trasferire gli uffici di via Roma, prolungando “eventualmente la permanenza degli uffici in questione solo per il tempo strettamente necessario per l’espletamento delle procedure di locazione dei nuovi locali”. Inoltre, è sempre scritto nella mozione, nell’avviso pubblico “va inserito l’obbligo, per coloro che intendono rispondere alla gara, di produrre l’attestazione di ottemperanza a eventuali obblighi convenzionali” per quanto concerne l’immobile offerto. Il documento, infine, chiede che venga condotta “un’indagine, da completarsi in 60 giorni, per verificare se altri stabili che il Comune ha in affitto appartengano a società che non hanno ottemperato a obblighi convenzionali negli immobili in locazione o in altri stabili di proprietà dello stesso locatario”. Il Consiglio ha infine conferito (contrario D’Eramo di Prospettiva 2022, astenuto Ferella di Tutti per L’Aquila) la cittadinanza onoraria ai minori nati in Italia, figli di genitori stranieri residenti all’Aquila, “quale importante atto simbolico e segno di accoglienza nella comunità cittadina”. Con la stessa delibera è stato inoltre disposto per il futuro “il conferimento automatico della cittadinanza onoraria del Capoluogo d’Abruzzo a tutti i nuovi nati” in Italia e figli di genitori immigrati e residenti in città. La prima consegna ufficiale della cittadinanza onoraria in questione avverrà nel corso di una cerimonia in programma il 6 gennaio alle 11, all’Auditorium del Parco, durante la quale a ogni bambino presente sarà consegnata una pergamena “simbolo della cittadinanza onoraria della Città dell’Aquila” e una Costituzione tradotta in più lingue.

Fiera dell’Epifania, 380 bancarelle alla 66esima edizione del 5 gennaio; le strade interessate e i servizi di bus e soccorso

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Saranno 380 le bancarelle che animeranno la 66esima edizione della Fiera dell’Epifania dell’Aquila, in programma domenica 5 gennaio. Il dettaglio dell’iniziativa è stato reso noto stamani nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta in Comune. All’incontro hanno partecipato l’Assessore alle Attività Produttive Giancarlo Vicini, il dirigente del Suap Lucio Nardis e la funzionaria Cinzia Savini; il consigliere Gianni Padovani; il presidente di Fiva Confcommercio Alberto Capretti (organizzatori della Fiera) ed il direttore Celso Cioni; il presidente AMA Agostino Del Re ed il direttore Angelo De Angelis. Era inoltre presente una delegazione dell’Aquila Rugby 1936 il cui responsabile marketing, Marco Molina, ha colto l’occasione per ringraziare il Comune dell’Aquila e la Fiva Confcommercio per aver dedicato uno spazio alla società nero verde nel corso della Fiera, in cui i Rugbisti incontreranno la Città per uno speciale “terzo tempo” di socializzazione, condivisione e sensibilizzazione.
La postazione dell’Aquila Rugby, è prevista nell’area di San Bernardino.

Discorso di Josè Pepe Mujica, Presidente dell’Uruguay al G20 in Brasile

Discorso del Giugno 2012
Ringrazio le autorità presenti di tutte le latitudini e organismi. Ringrazio il popolo del Brasile e la sua signora Presidente, e molte grazie alla buona fede che sicuramente hanno manifestato tutti gli oratori che mi hanno preceduto.Come governanti, esprimiamo l’intima volontà di accompagnare tutti gli accordi che questa nostra povera umanità possa sottoscrivere.Tuttavia, dobbiamo porci alcune domande ad alta voce.
Per tutta la sera si è parlato di sviluppo sostenibile, di liberare masse immense dalla povertà…Cos’è che ci passa per la testa?

Il modello di sviluppo e di consumo è quello che oggi appartiene alle società ricche? Mi faccio questa domanda: cosa accadrebbe a questo pianeta se gli Indù avessero la stessa proporzione di auto per famiglia che hanno i tedeschi? Quanto ossigeno ci resterebbe per poter respirare?

Più chiaramente: il mondo oggi ha le risorse per permettere a sette, otto miliardi di persone di avere lo stesso grado di consumo e di spreco che hanno le più ricche società occidentali?
È possibile o un giorno dovremo fare un altro tipo di discussione?

Perché abbiamo creato una civilizzazione, la nostra, figlia del mercato, figlia della concorrenza, che ha prodotto un progresso materiale portentoso ed esplosivo. Però quella che era “economia di mercato” ha creato delle “società di mercato” e ha prodotto questa globalizzazione, che significa guardare a tutto il pianeta.

Ma siamo noi a governare la globalizzazione o è la globalizzazione che governa noi?

È possibile parlare di solidarietà, dell’essere tutti uniti, in un’economia basata sulla concorrenza spietata? Fin dove arriva la nostra fratellanza?

Non lo dico per negare l’importanza di questo evento, al contrario. La sfida che abbiamo davanti è di portata colossale e la grande crisi non è ecologica, è politica.

L’uomo non governa oggi le forze che ha scatenato, sono le forze che ha scatenato a governare l’uomo. E la vita.

Perché non veniamo sul pianeta per svilupparci in termini generali, veniamo alla vita cercando di essere felici.
Perché la vita è breve e se ne va. E nessun bene vale quanto la vita, questo è elementare.
Però se la vita mi sfugge lavorando e lavorando per consumare un “di più”. La società del consumo è il motore perché, in definitiva, se si paralizza il consumo o si ferma, si ferma l’economia. E se si ferma l’economia, c’è il fantasma della stagnazione per ognuno di noi.

Però, questo iper-consumo a sua volta è quel che sta assalendo il pianeta. E questo iper-consumo deve generare cose che durano poco perché si deve vendere tanto.
Una lampadina elettrica non può durare più di mille ore accesa. Ma ci sono lampadine che possono durare 100 mila… 200 mila ore, però non si possono produrre perché il problema è il mercato. Perché dobbiamo lavorare e dobbiamo avere una civilizzazione di uso e smaltimento. E siamo in un circolo vizioso.

Questi sono problemi di carattere politico che ci mostrano la necessità di iniziare a lottare per un’altra cultura.
Non si tratta di regredire all’uomo delle caverne, né di fare un “monumento all’arretratezza”. È che non possiamo indefinitamente continuare a essere governati dal mercato, ma dobbiamo governare noi il mercato. Per questo dico che il problema è di carattere politico, nel mio umile modo di pensare.

Perché i pensatori antichi, Epicuro, Seneca, gli indio Aymara, dicevano: “Povero non è chi possiede poco, veramente povero è chi necessita di infinitamente tanto” e desidera, desidera… desidera sempre di più.

Questa è una chiave di carattere culturale.
Quindi, saluto lo sforzo e gli accordi che si fanno. Lo accompagno come governante perché so che alcune delle cose che sto dicendo “stridono”, però dobbiamo renderci conto che la crisi dell’acqua, che la crisi dell’aggressione ambientale non è una causa. La causa è il modello di civilizzazione che abbiamo costruito. Quello che dobbiamo rivedere è il nostro modo di vivere!

Perché?

Appartengo a un piccolo paese, ricco di risorse naturali per vivere. Nel mio paese ci sono 3 milioni di abitanti o poco più, 3 milioni e 200 mila, però ci sono 13 milioni delle migliori vacche al mondo e 8-10 milioni di ovini stupendi. Il mio paese è esportatore di cibo, di latticini, di carne… è una pianura, quasi il 90% del suo territorio è utilizzabile. I miei compagni lavoratori lottarono molto per le 8 ore di lavoro e ora stanno ottenendo le 6 ore. Però chi ottiene le 6 ore ottiene due lavori pertanto lavora più di prima.
Perché? Perché deve pagare un mucchio di rate: il motorino che ha comprato, l’auto che ha comprato… e paga rate! E paga rate! E quando arriva a estinguere il debito è un vecchio reumatico come me, e la vita se ne va.

E uno si fa questa domanda: è questo il destino della vita umana? Queste cose sono molto elementari: lo sviluppo non può essere contro la felicità, dev’essere a favore della felicità umana, dell’amore, della Terra, delle relazioni umane, del prendersi cura dei figli, dell’avere amici, di avere ciò che è fondamentale.
Perché questo è il tesoro più importante che abbiamo. Quando lottiamo per l’ambiente, il primo elemento dell’ambiente si chiama: la felicità umana. Grazie.

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Fidel in ottima forma incontra Ignacio Ramonet

 

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 Fidel Castro con Ignacio Ramonet

 

Il Comandente  en Jefe della Rivoluzione cubana ha incontrato all’Avana il giornalista Direttore di Le Monde Diplomatique Ignacio Ramonet.  L’incontro avvenuto in un clima amichevole,  è durato oltre due ore spaziando dai temi di politica internazionale a quelli economici.  Lucido e attento Castro ha dato la possibilità al giornalista e scrittore spagnolo di trarre  un articolo, pubblicato oggi sul quotidiano “Il Manifesto”  dal titolo: “I semi di gelso” , sull’attuale pensiero del leader cubano . Fidel è apparso in ottima salute  e con lo” spettacolare entusiasmo intellettuale di sempre”. 

Rapagnà:edilizia pubblica inutilizzati 124 milioni di Euro

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Di Pio Rapagnà (Mia Casa)

 

I soggetti attuatori, ATER e Provveditorato alle Opere Pubbliche, devono essere “sollecitati e obbligati”, mettendoli nelle condizioni necessarie per farlo, di dare avvio immediatamente ai lavori di ricostruzione pesante della Edilizia Residenziale Pubblica classificata E.
Dispiace essere costretti a denunciare alla Opinione Pubblica dell’Aquila e dell’Abruzzo intero, che il Consiglio regionale non ha avuto il tempo, la volontà politica e la “capacità legislativa” di affrontare la problematica relativa alla ricostruzione e messa in sicurezza sismica del patrimonio abitativo pubblico e privato.
Sino ad ora nessun cantiere è stato aperto per la ricostruzione “pesante” degli edifici classificati E e per la loro messa in sicurezza antisismica, nonostante che le somme necessarie siano state messe a disposizione sin dal 15 agosto 2009, anche con il fattivo intervento dell’allora Prefetto Gabrielli.
Al 31 dicembre 2013 sono rimasti così ancora inutilizzati 124.7 milioni di euro per la ricostruzione degli edifici e delle abitazioni di proprietà dell’ATER e del Comune dell’Aquila: tali risorse non spese per la ricostruzione pubblica, rischiano adesso di essere “anticipati” dal CIPE a favore della ricostruzione privata.
In tutto questo tempo trascorso dopo il terremoto, almeno 2.000 famiglie di Inquilini e di Assegnatari avrebbero potuto rientrate negli alloggi dell’ATER e del Comune dell’Aquila: la “tremenda e pesantissima” responsabilità di questa mancata ricostruzione “pubblica” pertanto deve essere attribuita, rispettivamente, al Ministero delle Infrastrutture, al Presidente della Regione Gianni Chiodi, al Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente e ai “soggetti attuatori” che sono l’ATER ed il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche.
Questi rappresentanti delle rispettive “massime Istituzioni” nazionali e Locali, hanno in dovere di “metterci la faccia” ed impegnare la loro “onorabilità e dignità” davanti alle famiglie ancora sfollate, assumendosi per intero la responsabilità dando concreto e immediato inizio ai lavori di “ricostruzione pesante” di tutti gli alloggi pubblici e dei più importanti complessi residenziali lasciati nel completo abbandono e siti nel Centro Storico dell’Aquila e nelle Frazioni.
E’ ancora possibile al Consiglio regionale “riparare” ad un grave danno fino ad ora arrecato al patrimonio abitativo pubblico e alle famiglie ancora sfollate, poichè, pur in una fase di aministrazione straordinaria della Regione, le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate “limitatamente” agli interventi, come la ricostruzione e la messa in sicurezza sismica, che presentano il carattere della urgenza e necessità.
In tale contesto, pertanto, le competenze del Consiglio regionale sono “specifiche”, poiché attengono alla ricostruzione e ad ogni intervento necessario per favorire e garantire il ritorno alle normali condizioni di vita nelle aree colpite dal sisma del 6 aprile 2009, sulla base delle competenze previste dagli articoli 114 e seguenti della Costituzione, in maniera da assicurare prioritariamente il “completo rientro a casa” degli aventi diritto.

 

 

Lettonia nell’Europa unita. Bravi, bravi, bravi!

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Di Tina Massimini e Alfonso De Amicis

E con viva è vibrante emozione che apprendiamo l'entrata in Europa
della Lettonia. Bravi, bravi, bravi. Hanno fatto i compiti a casa come
meglio non si poteva. Nel giro di quattro anni sono passati da un PIL
di meno 18% a un più 4%. Miracolo dell'austerità espansiva, o come è
già successo con qualche paese piigs c'è qualche trucco contabile
sapientemente calibrato da commissari guerci? I dubbi,  malfidati?
Certo siamo poco inclini nel credere ai miracoli. La potica
politicienne è l'arte dell'impossibile. Settantanni sono passati da
quando per conquistare terreno e persone c'era la necessità di super
armamenti e sofisticate macchine amministrative. Oggi la finanza (il
finanzismo come lo chiama Franco Berardi Bifo) conquista e distrugge
in un batter d'occhio intere nazioni. La pervicacia con cui hanno
sprofondato una nazione come quella Ellenica rappresenta l'essenza del
capitalismo odierno. Altresì vergognoso  è il modo in cui è stato
abbandonato questo popolo dalle centrali sindacali e dalle
socialdemocrazie europee.

2014

idea










Di Alfonso De Amicis
Cinque anni poco è cambiato. La ricostruzione ha riguradato per lo più
le periferie. Molti, dopo aver perso la casa, hanno perso anche
lavoro. Le due crisi si combinano perfidamente. Depressione,
impotenza, sconfitta, alimentano una frustrazione senza fine.
Affacciati su balconi delle nuove case ci immaginiano come i paesani
in attesa della partenza della processione. Uno, due, tre, inizia la
musica della banda la processione parte qualcuno grida "Viva la
Madonna di Loreto..." Mentre noi preghiamo o imploriamo, lassù a
Palazzo Margherita è calma piatta. Massimo dopo aver promesso
sfraceli, mobilitazioni, riconsegna della bandiera, oggi si consegna
all suo popolo dietro l'aureola della nuova comunicazione. Arcore
tornata alla sua vita di provincia ha tuttavia lasciato il senso della
della comunicazione. Finita l'epoca del racconto del legame storico
tra vecchie e nuove generazioni tutto si narra dentro la democrazia
del web. Il nostro sindaco occupa la scena pubblica prendendo molto da
Grillo piuttosto che dal "dudu" della Brianza. Le nuove determinazioni
pubbliche non escono da Palazzo Margherita ma da facebook e youtube.
Sul più bello, come nelle poesie di Trilussa circa la "modernità"
Cialente Massimo lascia le reprimende contro i vari governi, per
convincerci della virtuosita del cronoprogramma del comune. Siamo in
perfetto orario. Come i treni del ventennio. Verrà rispettato, anche
nei nostri anni di grazia, come e quando ricostruire. Un sogno.

Non sappiamo se tutto questo somigli al film di Emir Kusturica
"Underground". E dunque se la vita vera, sia quella sotto, piuttosto
che quella sopra. Ma il pedalatore del Torrione può continuare
indisturbato nel suo girovagare. Non ha rivali. Il rapporto è diretto:
lui con gli aquilani.

Opposizioni, partiti (dove sono?) movimenti sono fuori gioco. Renzi
chi era costui? Nel suo piccolo rappresenta, indica, le nuove tendenze
del governare senza democrazia. Le vecchie impalcature consiliari sono
solo foglie di fico. Se ne esce? Ho qualche dubbio. Solo una sorpresa
della storia, come a volte è accaduto, ci può tirar fuori da questo
cono d'ombra. Ad ogno buon conto dovremmo, soggettivamente,e
collettivamente aiutare questo percorso e provare a rovesciare il
tavolo.